Lo sviluppo delle tecnologie di informazione e comunicazione hanno svolto un ruolo rilevante nel processo di globalizzazione le cui sedi sono nelle città. Tecnologie in grado di modificare la struttura del sistema attorno al quale si organizzano le funzioni politiche, economiche, sociali e culturali. La velocità con cui le nuove tecnologie trasmettono i dati ha modificato la percezione personale di tempo e spazio. Così che uomini e culture del mondo si “percepiscono come reciprocamente legati, pur nelle loro differenze”. Una (auto)percezione del tutto nuova di una transnazionalità che si avverte nei media, nel consumo, nel turismo. Portando a compimento quella che viene definita una “globalizzazione delle informazioni” (Beck. 2009, p. 35) per cui gli stati-nazione sono facilmente inseriti nello spazio della comunicazione globale. Ciò grazie principalmente alle
nuove tecnologie che sono organizzate all’interno di reti globali e che avverte Castells (2002a) “costituiscono la nuova morfologia sociale della nostra società e la diffusione della logica di rete modifica in modo sostanziale l’operare e i risultati dei processi di produzione, esperienza, potere e cultura”.
Sono le reti il nuovo paradigma di organizzazione sociale all’interno delle quali si svolgono le funzioni e i processi dominanti. All’interno di esse le dimensioni di tempo e spazio perdono di significato nella contemporaneità o a dirla con le parole di Castells “le fondamenta materiali della società, dello spazio e del tempo vengono trasformate” (2002a) così che oggi, nella complessità, si parla di spazio dei flussi e di tempo acrono. Lo spazio dei flussi frammenta le “funzioni subordinate” e le persone nello “spazio dei luoghi” che è dato da località sempre più isolate e slegate l’una dall’altra. Il tempo acrono “sembra essere la negazione del tempo – passato e futuro – nelle reti dello spazio dei flussi” (Castells, 2002a). Ciò a dire che si possono avere non solo le informazioni in tempo reale ma anche comunicare con chi è dall’altra parte del mondo con chiunque in modo veloce e a basso costo. Anche lo spostarsi fisicamente da un luogo ad un altro diviene meno dispendioso. La globalizzazione reca in se l’annullamento delle distanze, catapultando cose, idee e persone a livello transnazionale, gettando tutti in stili di vita transnazionali. Una perdita dei confini “dell’agire quotidiano” nelle differenti dimensioni: economica, dell’informazione, dell’ecologia, della tecnica, dei conflitti transculturali e della società civile. Qualcosa di “familiare e inconcepibile”, ci dice Beck (2009), che però trasforma “radicalmente” la percezione della “vita quotidiana”, costringendo tutti ad adeguarsi e trovare nuove risposte. Anche per Giddens la globalizzazione è da intendersi nel senso di “(con)vivere e agire al di sopra delle distanze (mondi apparentemente separati degli Stati nazionali, religioni, regioni, continenti)57. Ridefinendo di fatto le variabili spazio-temporali. Così che seppur le società “moderne” sono per definizione non politiche, l’agire politico è sistemato meccanicamente, invece, all’interno dei confini dello Stato58. Dando luogo all’immagine di tante società singole pur se limitate, ordinate e strutturate, non solo all’esterno ma anche all’interno, da una base statale nazionale, capace di un’autoraffigurazione e autocoscienza evolutiva di quelle che sono le società moderne (Beck, 2009, p.43), nella prospettiva di un autogoverno democratico, traducibile nella “liberazione dell’uomo dalla condizione di inferiorità”. Una condizione che richiama quel diritto alla felicità universale che nel tempo si è tradotto da una “storia di violenza del colonialismo e dell’imperialismo europeo” ad una “politica di sviluppo” o anche una “teoria di sviluppo” o dei paesi in via di sviluppo dopo la seconda guerra mondiale e che oggi, per Bauman come per Beck (2009), sfugge dalle logiche del “maggior lavoro maggior profitto”. Dunque una “felicità” che non trova più espressione nella quantità di lavoro, intendendo ciò come
57 Cfr A. Giddens, 1997, Oltre la Destra e la Sinistra, Il Mulino, Bologna, pp. 33. 58
Nel febbraio 1848 in “Il Manifesto del partito comunista” Marx ed Engels già argomentavano sullo “sfruttamento del mercato mondiale come di posizione marxiste che a ben vedere molto si assomigliano a quelle neoliberali, oltre a una prospettiva nazional statale messa in discussione negli ambienti politici del capitalismo industriale.
maggior possibilità di arricchirsi guadagnando di più59. Un processo di razionalizzazione che se pur radicato nella coscienza di ciascun individuo, è sottomesso al contempo dal ricordo di una speranza possibile: il ricordo del desiderio della felicità60. Desiderio che ha trovato la possibilità di esprimersi già con l’industria culturale divenendo in essa cultura “di intrattenimento”. Svuotandosi così come era stato all’epoca della borghesia, dagli ideali che vanno al di là di quello che è l’ordine imposto (“dato”) divenendo luogo di intrattenimento e meccanismo di adattamento all’ordine sociale esistente. Comunicazioni di massa ritenute da sempre dotate di alta ‘democraticità’ in quanto permettevano di disporre delle medesime informazioni da parte di tutti. Una democraticità che se un tempo era messa in dubbio da una comunicazione verticistica di massa, in cui solo in apparenza emittenti e riceventi sono sullo stesso piano, oggi di fatto è presente in quella comunicazione circolare e orizzontale che si riconosce al web 2.0. ”A Internet si riconosce di essere una rete informativa globale che ricopre la terra come una tela di ragno” dove “le infrastrutture offerte per gli user (utenti che generano contenuto) sono di grande utilità. Così che la comunicazione può circolare per tutto il mondo senza difficoltà, “libera come il vento che soffia sugli oceani” (Beck, 2009). Questo è il motivo per cui gli Stati Uniti in primis (tra i primi produttori delle nuove tecnologie e sede delle industrie più importanti), mirando alla globalizzazione del mercato, hanno spinto con tutto il loro peso verso la deregulation, per far sì che il maggior numero possibile di Paesi aprisse i propri confini al ‘libero flusso delle informazioni’61. In un contesto altamente democratico soprattutto per soddisfare l’immaginario di desideri frustrati, così da rinunciare a prendere atto della divergenza tra la libertà cui si aspira e l’ordine sociale in cui è si è immersi ma producendo contenuti che ridefiniscono immaginari non più e solo legati a gerarchie esistenti ma ad esperienze di vissuti. Nuovi immaginari globali dunque, frutto di una modernizzazione che riflettendo su se stessa, spinge a ragionare su nuovi paradigmi, in un certo qual modo come già Max Weber
59 Su tale concetto anche l’economista Stefano Bartolini ha scritto un saggio dal significativo titolo “Manifesto per la felicità”, sottolineando l’irritazione che ha teso dalla società del “ben-avere” a quella del “ben-essere”. Una lettura del benessere che oggi si rende inattendibile se interpretata ancora e solo dalla lente del PIL (Prodotto Interno Lordo). Una situazione paradossale. Bartolini parte dall’ipotesi che nonostante l’aspettativa di vita sia più alta, vi sia una maggiore democrazia, migliore istruzione e un largo accesso ai beni di consumo, soprattutto nei Paesi ad economia avanzata, questi non si traducono di fatto in un aumento del benessere dei cittadini. Nel “paradosso della felicità” della società contemporanea, per Bartolini il cuore del problema è relazionale: sul lungo periodo, nelle società occidentali, si è registrato infatti un degrado nella qualità delle interazioni sociali. Lo sviluppo sempre maggiore dell’individualismo compromette, per l’autore, le esperienze relazionali che divengono meno frequenti e gratificanti. Secondo Bartolini diviene possibile e necessario trovare alternative per coniugare prosperità, economia e felicità.
Cfr. S. Bartolini, 2010, Manifesto per la felicità, Come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere, Donzelli editore, Roma.
60 L’aspirazione alla felicità costituisce già, per gli studi sull’industria culturale della la Scuola di Francoforte di Horkheimer e Adorno (in La dialettica dell’Illuminismo), una parodia. Al tempo del capitalismo maturo l’industria culturale coincide con l’amministrare lo svago. Così che i lavoratori trovano nell’industria culturale, ad esempio nei film di Hollywood o in programmi radiofonici/televisivi commerciali, una compensazione solo temporanea ai sacrifici a cui si sottopongono. Al termine dello svago ogni lavoratore si ritrova immerso nella solita routine produttiva, che è costantemente alimentata e riconfermata dalla morale nascosta ad esempio in ogni film. Cfr. Horkehimer M., Adorno T. W., 1947,
Dialettica dell’Illuminismo, trad. it., 1974 Einaudi, Torino.
aveva sostenuto: la civiltà nel continuare il proprio cammino, costringe gli scienziati sociali a modificare il modo di concettualizzare nella molteplicità di un mondo senza confini.