5.9 Cittadinanza autoattualizzata: modello S.A.C (Self Actualizing
5.9.1 Democrazie e impegno civico dei giovani nelle comunità on line
Il concetto di cittadinanza che Bennett raccoglie essenzialmente alla luce di due paradigmi interpretativi ci porta a riflettere anche sulla questione che la civic engagment e la (e)-democracy nell’età digitale siano due concetti strettamente legati anche alle generazioni più giovani che abitano le comunità politiche on line. Soprattutto in via del fatto che la democrazia non è più una cosa sicura (Bennett, 2008a). Infatti, nonostante i governi e i sistemi di partito si sforzino di agire contro i cambiamenti nelle società, magari cadendo preda di corruzione e cattive politiche, i soggetti della rete tentano di riaffermare i propri diritti di (e)-governance attraverso azioni di riforma creativa. Mentre oggi la politica si pone al centro di mutamenti personalizzanti, il senso di partecipazione ne costituisce la differenza. Così che il sentimento di sfida
nell’influenzare il corso delle nazioni come di affrontare questioni globali trovano soluzioni creative nelle generazioni dei giovani cittadini che hanno accesso agli strumenti di comunicazione digitale. La crescente diffusione di software sociali come di piattaforme multimediali consente di raggiungere livelli senza precedenti di produzione e distribuzione di idee, di deliberazione pubblica e organizzazione di rete (Bennett, 2008). Età digitale in cui molti giovani cittadini- consumatori hanno dimostrato la propria volontà a contribuire in società. L’impegnarsi con il governo o con la politica diviene per molti giovani una sfida scoraggiante per numerosi motivi. Tra questi il fatto che molte delle democrazie, anche tra le più affermate, stanno dimostrando segni di superamento, nonostante l’impegno a reinventarsi tentando goffamente di mantenersi al potere (Bennett, 2008, pp. 1-3). I mezzi di massa quali la stampa presentano spesso le conversazione più bieche dei politici che hanno così lasciato percepire la politica come sgradevole piuttosto che un vocabolario da poter accettare. Un aspetto questo che si accentua se si pensa alle generazioni più giovani che si sono allontanate dalla politica di governo tradizionale in numero elevato. Un distacco dalle forme di governo che hanno messo in luce percorsi differenti: se da un lato gli adulti percepiscono negativamente la politica, la stampa non risparmia battute ciniche e i candidati politici si rivolgono raramente agli elettori più giovani cercando di rispondere alle loro preoccupazioni. Una politica avvertita come non autentica che fa uso di una comunicazione che segue ancora le vecchie logiche. Parallelamente a ciò il distacco dalla vita pubblica è dovuto all’emergere delle reti di amicizia on line in cui si incrociano ambienti di intrattenimento e consumo. Aree non governative in cui è alto l’impegno civico da parte anche dei giovani, sia nelle comunità di volontariato ma anche attraverso l’attivismo dei consumatori con un loro coinvolgimento impressionante alle cause sociali come l’ingiustizia economica locale e globale, l’ambiente. Molte forme di condivisione di attività on line (blog, siti di intrattenimento, social network in cui si mettono in gioco conflitti e comportamenti di protesta) rappresentano forme di impegno civico (Jenkins, 2010; Ito, 2008 et al.). Inoltre le molte forme di espressione collettive on line, spontanee e creative, divengono più attraenti, soprattutto per i più giovani, rispetto alle opzioni offerte nei siti dei governi o delle organizzazioni non governative. Si rende a tal punto evidente chiedersi cosa si intende per “civico”?. Questo concetto intanto implica una certa idea di pubblico (come la polis o la sfera pubblica), intendendo con ciò un dibattito aperto sui temi di generale interesse sociale tra le persone, su cui non sempre tutti concordano. Un interesse che a volte in Internet assume le tendenze non solo dell’individualizzazione e della frammentazione sul dibattito sociale/politico, ma si costituisce come argomento di gruppi di nicchia, minando così quel senso civico che dovrebbe abbracciare e coinvolgere ogni cittadino. Forme che si sono rese evidenti a causa di un venir meno della fiducia verso le istituzioni che non deve essere inteso come contingente all’ascesa di Internet ma antecedente, come anche Bennett sottolinea, all’uso di massa di Internet. Oggi però si può dire che il futuro della democrazia è nelle mani dei giovani cittadini dell’era digitale così che molti cittadini (ma anche giovani cittadini) delle società economicamente più prospere, hanno nelle proprie mani gli strumenti del cambiamento, attraverso computer portatili o telefonini di ultima generazione,
per le convergenze tecnologiche. Tanto che è da credere che i nuovi media hanno riposizionato i propri utenti nella società come produttori e consumatori di informazioni. I new media permettono la rapida formazione di reti su larga scala in cui poter concentrare le proprie energie nei momenti più critici come nel caso dei Smart Mobs, come li definisce Rheingold (2000), in cui si utilizzano differenti dispositivi digitali per coordinare le proteste. Tecnologie che consentono la formazione di grandi reti politiche come la formazione di Indymedia (una rete globale creata attraverso la distribuzione di software open source in cui condividere o produrre informazioni di attivisti giovani sotto il motto “Essere il Media”). Rete che ha avuto avvio nella già nota protesta di Seattle (1999) contro l’organizzazione mondiale del commercio o come nel caso del networking attivato per la guerra in Iraq il 12 febbraio 2003, in cui si stimavano tra i tredici ed i venti milioni di partecipanti, divenendo le più grandi proteste della storia umana. Un impegno civico che si diffonde dunque nelle comunità on line e che coinvolge anche i giovani (intendendo la fascia di età che va più o meno dai 15-25 anni) delle comunità on line, in cui si delineano due paradigmi differenti (Bennett, 1998, 2008):
1. i giovani cittadini-consumatori ragionevolmente attivi e impegnati; 2. i giovani cittadini-consumatori disimpegnati (unCivic culture)
Il primo paradigma, quello dei “giovani impegnati”, evidenzia implicitamente una differenziazione generazionale delle identità sociali, che hanno poi condotto alla crescente importanza delle reti tra pari nelle comunità on line. In tal caso nonostante un calo di credibilità e autenticità nei confronti di numerose istituzioni pubbliche ma anche dei loro discorsi da parte principalmente delle generazioni più giovani e che sono parte della più tradizionale vita politica, soprattutto per le performance del governo e le narrazioni delle notizie che li allontanano maggiormente non trovando un punto di contatto, la responsabilizzazione di questi, in quanto individui espressivi in grado di fare liberamente e simbolicamente le proprie scelte creative, facilita anche il dovere alla partecipazione nelle attività centrate di governo. Aprendo nuove azioni civiche nelle arene dei media sociali.
Al contrario il paradigma dei “giovani disimpegnati” riconosce il crescere delle forme autonome di espressione pubblica come la politica fatta dai consumatori, dando forza al declino generazionale nei legami con i governi ed il coinvolgimento civico con questi ultimi. Si rende evidente per i “giovani disimpegnati” una personalizzazione e privatizzazione della sfera politica (consumatori-cittadini che vivono in mondi on line pesantemente commerciali) concentrandosi maggiormente su come promuovere azioni pubbliche che puntano al governo come il centro della politica democratica. Sono questi punti che fanno emergere un impegno politico che riflette i reali cambiamenti generazionali nella natura della stessa cittadinanza (superando il modello centrato su doveri e obblighi) incentrato sulle variazioni di identità da parte dei cittadini più impegnati (coinvolgendo maggiormente la realizzazione di sé, divenendo espressione personale e di individualità) nella società tardo moderna della globalizzazione. Il paradigma vive di nuovi mutamenti generazionali negli
stili di cittadinanza (Bennett, 2008) che sono emersi già nelle democrazie post industriali. Il senso di base della cittadinanza, in cui le giovani generazioni si dimostrano maggiormente responsabili è legato alla definizione di una propria identità utilizzando gli strumenti offerti dai social network come dai mezzi di comunicazione digitale. Si respira di fatto un passaggio generazionale transnazionale dalle democrazie post-industriali in cui sussisteva un modello di cittadino “rispettoso” (aderente alle vecchie dinamiche di rappresentanza in cui le generazioni si posizionano su contesti sociali più tradizionali) – ad un modello di cittadino “attualizzante” che gode di un attivismo di rete per affrontare le questioni che riflettono valori personali. Ancora Bennett sostiene come la cittadinanza self actualizing di marchio politico può essere tangenziale al governo e alle organizzazioni politiche convenzionali. Chi appartiene a culture civiche consolidate nell’off line, radicate in forme di partecipazione sia convenzione (i partiti) che de-istituzionalizzati (movimenti, collettivi e associazioni) considera le forme di partecipazione on line come parziali e provvisorie quando non si collocano in forme pre-esistenti off line correndo il rischio di non consolidarsi off line in nuove culture civiche (Mascheroni, 2010). La capacità di alimentare il senso di appartenenza e di partecipazione non è, continua Mascheroni, generalizzabile ma si lega alla stessa issue. Nel modello SAC (self actualizing citizenship), in cui come è gia emerso si registra una diminuzione di fiducia nel governo, cresce il senso nel perseguimento di scopi individuali per cui il voto diviene meno significativo rispetto ad altre azioni come il consumo. Le informazioni sulle questioni di governo sono sostenute attraverso amicizie e relazioni tra pari in cui si respirano legami “deboli” gestiti dalle tecnologie informatiche interattive che entrano in organizzazioni della società civile in cui poter esprimere insieme agli altri connessi i propri interessi. Così che gli ideali tradizionali delle Dutiful citizenship si scontrano con l’ideale emergente della cittadinanza auto-attualizzata (SAC) che non riesce a riconoscersi nell’immagine di una cittadinanza tradizionale (DC). Ciò che emerge è la necessità, avverte Lance Bennett, della costruzione di un ponte tra i due paradigmi necessario per promuovere il dialogo tra la politica e la pratica di cittadini-consumatori. Si rende così necessario da parte dei politici e dei funzionari pubblici, che rappresentano il mondo ufficiale della politica, conoscere meglio la cittadinanza e la comunicazione per trovare con questi un miglior modo di comunicazione; così che anche chi partecipa on line come anche le agenzie governative, le fondazioni e organizzazioni non governative possano avere maggiore conoscenze sul modo di operare dei siti governativi on line. In modo da “attivare partenariati” con le generazioni che manifestano la necessità di riconoscerli come autentici e credibili. Si rende così importane un’organizzazione di notizie e di informazione pubblica capaci di attirare l’interesse del cittadino AC nell’interazione e co-produzione di contenuti digitali per una migliore integrazione delle informazioni da parte delle dimensioni/azioni della cittadinanza. Si rende necessaria la diffusione di una cultura per colmare il gap tra i due paradigmi in modo da arginare uno scenario di disconnessione nei confronti della politica convenzionale e gli stili di cittadinanza DC. Uno sfondo questo, ci dice Bennett, che porterà, se non aiutato da una cultura nuova, alla crescita di generazioni giovanili che si auto-attualizzano per cui la politica avviene con “altri mezzi. Consumerism politico, contestazioni attraverso le reti
di intrattenimento […] emettendo hardware locali per problemi globali”. L’obiettivo dovrebbe essere quello di una cultura non solo di responsabilità, capace di garantire alle generazioni future le stesse possibilità di quelle attuali, ma anche in grado di avvicinare la politica alle giovani culture creative.
5.10 “Il voto diviene meno significativo di altre azioni”: il consumo critico
I cittadini, lì dove il voto diviene meno significativo, si dotano di azioni che confluiscono nella fluidità dei tanti ruoli che rivestono, compreso quello di consumatori. Una società civile connessa tramite le nuove tecnologie della comunicazione che danno vita a forme di autorappresentazione (Castells, 2010), distanziandosi dall’idea di specifica cultura politica strettamente connessa al buon funzionamento dei sistemi democratici. Cultura civica appartenente sia alla tradizione che alla modernità, pluralista, basata sulla comunicazione e sulla persuasione, del consenso e della modernità, che non ha permesso i cambiamenti ma li ha moderati (Almond, Verba, 1963). Una cultura civica che si è autoattualizzata nella ricerca di nuove soluzioni in risposta alle crisi valoriali che si sono andate accentuando negli ultimi anni. Richiamando l’ipotesi che le crisi valoriali, che hanno prepotentemente fatto il loro ingresso nella società globale, non trovano più soluzioni nelle tradizionali forme di rappresentanza istituzionale (che un tempo si facevano carico delle istanze dei cittadini), si è osservato come tali istanze sono sempre più frutto di cittadini/consumatori, di una cittadinanza tesa oggi a farsi autoportatrice del bene comune. Nell’obiettivo di una nuova partecipazione che, lasciando la rappresentazione democratica tradizionale, fa leva sul mercato attraverso azioni responsabili tese ad un consumo critico di beni principalmente immateriali. Azioni che trovano nell’autocomunicazione di massa forme nuove e inedite di connessione e potere. Il potere di una comunicazione che nell’eco dei social media mettono in relazione i pubblici connessi in spazi e tempi differenti, dando luogo ad azioni collettive come nel caso degli indignados che dalle piazze spagnole si sono collegati con migliaia di altri indignados per dar voce e sostenere la narrazioni di giovani senza lavoro, per cui si affacciano allarmanti diseguaglianze con sistemi di welfare inesistenti. Come nel caso dei “99%” (come si sono descritti i partecipanti di Occupy (occupiamo) Wall Street, che levano la propria voce dagli spazi simbolici dei detentori del potere finanziario (l’uno percento). Come “Rai per una notte”, evento cross mediale, primo in Italia, che ha unito differenti mezzi di comunicazione di massa, ma anche quelle che Smythe (1981) definisce merce-audience: prodotta solo in parte dall’industria culturale e che riproduce se stessa nelle innumerevoli interazioni comunicative quotidiane che passano anche dagli spazi virtuali globali. Una produzione di senso il cui valore d’uso dona alla merce-audience un valore di scambio ad esempio nel passaggio dalle industrie culturali agli inserzionisti che aggiungono alle merci “valore di senso” nel contenuto informativo-culturale. Un valore accentuato da innumerevoli interazioni comunicative quotidiane. In spazi
che vanno dall’abitazione alla grande distribuzione, dal locale, ai nuovi spazi virtuali globali. Lì dove l’atto di consumo non è da intendere come mera considerazione economica ma come scelte legate ai prodotti, produttori e servizi in base alla politica dei prodotti. Nella logica di una responsabilità che garantisca alle generazioni attuali, come a quelle future, uguali possibilità. Prendendo atto che la politica non è più in grado di rispondere alle istanze dei cittadini, schiacciata dal colosso mercato. E’ qui che il cittadino nella sua mutuata veste di consumatore cerca di intraprendere azioni differenti dall’atto del voto attraverso cui imporre la propria etica politica, i propri valori e le virtù. Cercando di far rientrare la politica nel mercato attraverso le azioni/scelte dei consumatori e delle loro organizzazioni, utilizzando la messa in rete di informazioni/contenuti che fluiscono nel mondo attraverso le reti digitali di relazione. Mentre le economie sono appese al filo del debito nel rincorrersi delle crisi, i responsabili politici sono chiamati a delle scelte sulle sorti dei propri Paesi, tentando di mettere una toppa ai buchi lasciati dalla finanza. In tale panorama molti auspicano un ritorno al passato, tanto che i movimenti no global fanno ancora sentire la propria voce in merito, altri, come chi guarda con sguardo colto e attento all’economia ed alla finanza, ritengono possa essere una soluzione controproducente. Difatti una “deglobalizzazione” del processo di globalizzazione in atto171 potrebbe compromettere i delicati equilibri e nulla garantisce che si possa ricostituire il tutto come era un tempo. La globalizzazione a oggi è un processo irreversibile che persino l’economista Patrick Artus che nel 2008 aveva dichiarato “il peggio deve ancora arrivare” è oggi pronto a sostenere che sarebbe folle “rifiutare la globalizzazione”172. Anche se, avverte l’economista Elie Cohen, “il discorso della globalizzazione felice è oggi difficile da fare”173, in cui si rende evidente che “il problema centrale è quello della governance mondiale”, ribatte Daniel Cohen174. La forza di opporsi alle regole del mercato arriva dai cittadini-consumAttori. Cittadini che si caricano di sempre maggiori responsabilità nelle proprie scelte di acquisto e di consumo e che divengono l’estensione di un intendere la politica e l’economia in relazione tra la vita pubblica e quella privata175. Di fatto esiste una correlazione rilevante tra le scelte quotidiane di ogni cittadino-consumatore e le questioni globali legate all’ambiente, ai diritti umani, a quelli dei lavoratori per uno sviluppo sostenibile. Detto diversamente si rende percepibile una politica dei prodotti di consumo che si lega alle scelte di ogni individuo nel pensare in modo politico a livello privato. Una politicizzazione dunque del privato che rende ancora più evidente la vicinanza tra la sfera economica e la sfera politica.
171
Cfr. F. Lordon, La deglobalizzazione e i suoi nemici, in Le Monde Diplomatique, settembre 2011. 172 Cfr. P. Artus, Ce n’est pas le moment de refuser la mondialisation, in Flash économie, Natixis, n. 472, 21 giugno 2011.
173 E. Cohen, L’idéologie de Davos a buté sur la crise, nouvelobs.com, 26 gennaio 2010. 174 D. Cohen, Sortir de la crise, Le Nouvel Observateur, Parigi, 7 settembre 2009.
175 L’esempio più classico ripreso anche da Micheletti (2010) è quello del Nike e-mail Exchange per cui un giovane studente raggiunse con facilità milioni di persone divenendo la celebrità dei media mondiali con uno scambio di e-mail per denunciare la delocalizzazione della forza lavoro e delle conseguenze della globalizzazione sui Paesi in via di sviluppi. Nonostante le differenti critiche, molti ritennero questo scambio di e-mail un nuovo modo di fare politica e di influenzare i potenti attori mondiali. Persino la stessa multinazionale Nike decise di affrontare le condizioni nel lavoro con il giovane autore nei media di massa, per l’eco che si era diffuso sulla questione.
Scelte di consumo che inducono a pensare che di fatto non sussista alcun confine tra sfera politica e sfera economica”. L’arena del mercato viene ad intesa come arena politica176. Tanto che il comportamento nella vita quotidiana di ogni cittadino non è più solo una questione di vita privata ma diviene importante a livello locale sino a quello globale. A tal proposito è interessante la metafora “dell’impronta” per cui ciascun individuo lascia nel suo cammino delle impronte siano esse ecologiche, etiche e pubbliche, come a dire lasciamo agli altri delle conseguenze vivendo quotidianamente una vita apparentemente privata (Mathis, Rees, 1996; Micheletti, 2010). “Gli individui riescono a sentirsi gli artefici delle azioni politiche globali” Beck, Beck-Gernsheim, 2001, p. 45). Parlare dunque di consumo critico vuol dire azioni intraprese da persone che nella loro scelta tra prodotti e produttori tentano di modificare istituzioni e pratiche di mercato ritenute riprovevoli. I consumatori-cittadini critici sono le persone che partecipano a tali scelte come parti integranti di un contesto complesso sociale e normativo (Micheletti, 2003). Agendo a livello individuale e collettivo.
Il consumo critico diviene per molti studiosi un fenomeno in cui i cittadini cercano linee guida che li aiutino a formulare un proprio credo individualizzato ed a vivere al di fuori della politica tradizionale e della società civile tradizionalmente intesa, lì dove denaro e morale non si muovono sulle stesse linee. Una utopia (direbbe Aristotele) che Bloch definisce concreta, una individualizzazione della responsabilità nella collettività. Si rompe così la barriera dell’ossimoro. Dando forza al ruolo del mercato nella politica e di questa nel mercato. Per quanto studi critici sul consumo critico, principalmente di marchio Usa, sostengono che le ricerche empiriche su questo fenomeno siano esse stesse una dichiarazione politica. Ma di fatto nessuno in tale analisi vuol distogliere da una responsabilità che non appartiene solo al cittadino- consumatore, dimenticando il ruolo principale del governo. Di fatto si rende un modo altro di intendere la politica non più centrata sullo Stato-nazione. Il tentativo è qui di delineare come il consumo critico possa essere un buon strumento nelle mani dei cittadini-consumatori dal momento che il voto diviene meno significativo di altre azioni Attraverso un’azione collettiva individualizzata. Azioni che non solo superano il confine tra sfera pubblica e privata, nella separazione tra cittadini nella loro veste di individui politici e consumatori/famiglie in quanto attori privati, ma anche tra sfera politica ed economica. Soprattutto per via della crescente incapacità degli Stati di assicurare il benessere ai propri cittadini. Ripensando la stessa idea di