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La globalizzazione: un processo irreversibile?

Quanto detto sulla globalizzazione induce anche a specificare come questa sia da ritenersi un processo irreversibile nel complesso panorama mondiale. In grado di riassumere una serie altrettanto complessa di fenomeni riguardanti ogni ambito del nostro vivere quotidiano, ciascuno interrelato e condizionato all’altro. Come già messo in evidenza la globalizzazione di fatto investe differenti dimensioni: la dimensione tecnico-comunicativa, quella civile, quella ecologica, quella economica, quella dell’organizzazione del lavoro, e molte altre.

Da un punto di vista molto ampio i fenomeni interrelati tra loro e che costituiscono gli aspetti più importanti nella dissertazione sulla globalizzazione sono costituiti dal mercato e la politica. La dialettica in tal caso si sintetizza sul come il mercato sia entrato prepotentemente a tirare i fili di una politica sempre più assoggettata alle economie. Un mercato che oggi agisce su una dimensione transnazionale prima che locale, divenendo nuova arena di discussione politica. Lì dove la globalizzazione investe il sistema economico mondiale odierno, in cui si assiste all’internazionalizzazione dei mercati finanziari, la libertà dei movimenti di capitali, il decentramento e la delocalizzazione dei beni, lo sviluppo del commercio internazionale, la circolazione delle merci a livello mondiale, la tendenza di grandi aziende a stabilire alleanze e fusioni internazionali. La globalizzazione dell’economia è ancora una volta un fenomeno complesso sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. La globalizzazione riguarda così tutti gli aspetti della sfera economica, dalla produzione alla circolazione di merci e alla finanza, travolgendo tutti gli attori

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Tale definizione lascia intendere, come specifica anche Tarrow, che di certo non rientrano nella società civile transnazionale le mafie ed altre organizzazioni criminali pur se possono ritenersi un networking internazionale. Cfr. S. Tarrow, 1994, Power in Movement: Social Movements, Collective Action and

che partecipano ai processi economici, dai più piccoli ai più grandi. La globalizzazione inoltre tende ad elidere la distinzione, un tempo esistente, tra mercati nazionali e internazionali, attivando anche una serie di conseguenze sul piano politico e della politica economica. Infatti se nel ventesimo secolo gli Stati assumevano una leva di controllo economica sui mercati interni, oggi tale controllo si va assottigliando sempre più, conseguenza del fatto che gli scambi finanziari e mercantili avvengono a livello internazionale, sfuggendo all’azione diretta dei singoli governi. De facto con la globalizzazione i processi economici raggiungono una dimensione planetaria che varca i confini degli Stati-nazione. Ma accanto alle opportunità messe in atto dalla globalizzazione si consolidano una serie di conseguenze negative e potenziali, rischi per le economie. Soprattutto perché agire su vasta scala, come quella globale, necessita di competitori di taglia piuttosto grande. Questo è il motivo per cui molti settori strategici decidono per una politica di fusione e acquisizione in grado di dare origine a giganti mondiali. Il rischio in tal caso è di dare vita a situazioni di oligopolio o monopolio a cui si è assistito in passato ancor prima della liberalizzazione dei mercati e che investirebbe tutti i settori economici e non solo. Un tale raggruppamento di forze economiche corrisponde ad una evidente riduzione della domanda di lavoro e una crescente disoccupazione industriale non sempre riassorbita dalla nascita di nuovi settori economici. Anche solo per la possibilità, di cui oggi questi grandi colossi godono, di sottrarre alla società risorse materiali quali capitali, tasse, posti di lavoro. Accanto alle grandi multinazionali, poi, anche le aziende globali tendono a dislocare i settori della produzione che necessitano di maggiore forza lavoro in Paesi emergenti dove il costo del lavoro è più basso rispetto a quello dei Paesi avanzati. In questa possibilità di gioco globale, le industrie aggiungono sempre maggiore benessere. Con la conseguenza che la prosperità delle industrie non coincide più e necessariamente con quella di lavoratori a volte sfruttati per non essere più tutelati dal punto di vista sindacale. Allo stato dell’arte questo ha fatto sì che a contare non è più e solo la “divisione del lavoro” ma la “divisione della disoccupazione”, cioè di nuove forme miste di occupazione/disoccupazione (quali ad esempio lavori a termine, lavoretti part time) che ora sono ufficialmente percepite come “piena-occupazione”. Trasferimenti di lavoro che se in un primo momento hanno interessato il mondo della produzione oggi investono anche il mondo dei servizi50. Il capitalismo globale dunque, dove le imprese accrescono i propri margini di profitto sottraendo posti di lavoro a Stati diventati troppo costosi sia nel mantenimento dei posti di lavoro sia a livello fiscale, tende ad eliminare quella democrazia del lavoro in grado di garantire un lavoro salariato. Perché non esiste una “visione capitalistica del mondo” globale, non esiste una “civiltà capitalistica” vera e propria: il capitalismo può adattarsi a tutte le civiltà51.

50 Si legge in Beck (2009) “Il servizio annunci dell’aeroporto di Berlino, dopo le diciotto ora locale, viene fornito on line dalla California, e questo per motivi semplici e comprensibili: in primo luogo laggiù non viene pagato nessun sovrapprezzo per il servizio a tarda ora, in secondo luogo i costi salariali (accessori) sono sensibilmente più bassi a quelli pagati in Germania per la stessa attività. La telecomunicazione lo rende possibile”.

51 Per capire il mutamento in atto è legittimo dire che il processo di globalizzazione ha alterato quel processo di industrializzazione che aveva avuto luogo in Inghilterra durante la metà del Settecento, definito da Karl Marx il “modo capitalistico di produzione”. Un modo industriale di produzione che

I punti di vista economico e finanziario dunque sono tra i più significativi nel descrivere la globalizzazione. Oggi infondo il sistema economico-finanziario è quello dominante: tutto si misura sulla variabile del denaro. L’economia è il motore di tutto. Ogni attività non può prescindere dal sistema economico sia che esso rappresenti lo scopo principale dell’attività, sia che si manifesti come fattore di condizionamento. Le imprese delocalizzate, al fine di abbassare i costi e tenere testa alla concorrenza, tendono sempre più ad accettare una riduzione degli stipendi pur di non perdere il lavoro, nella tremenda concorrenza del mondo globalizzato. Mentre il partito politico è alla ricerca di risorse per competere nell’arena mediatica e le organizzazioni di volontariato si affidano sempre più al cinque per mille destinato dalla detrazione dei redditi. Flussi finanziari si spostano da una parte all’altra del pianeta con effetti destabilizzanti per le conseguenze che producono. Un’azienda che invia segnali di incertezza può significare una fuga di capitali e il crollo in borsa delle azioni, così come una speculazione sulla valuta di un Paese può generare una sua svalutazione con conseguenze pesanti per l’economia dello Stato e per i suoi abitanti. L’economia e la finanza, attraverso lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie, hanno accompagnato il sistema capitalista verso un mondo sempre più globalizzato. Castells (2010) suggerisce che oggi l’economia è diretta e rinvigorita da persone la cui caratteristica principale è la capacità di manipolare le informazioni. Così che per esempio molti gestiscono gli affari della società secondo capacità diverse. Tutti gli analisti concordano che gli occupati dell’informazione abbiano attività variegate, ad esempio alcuni si occupano di network finanziari, altri lavorano nel fiorente settore mediatico o in ambito legale, nell’istruzione superiore, contabilità, nelle pubbliche relazioni, nel governo locale, nel design e si occupano del valore aggiunto di materiali di uso comune. Importante diviene sempre e più il capitale umano, per indagare strategie di sviluppo identificando forze e debolezze di un dato ambiente52.

utilizzava sinergicamente il lavoro degli uomini, le macchine e le fonti di energia inanimata. Così da far crescere con una certa regolarità la produzione. E’ da qui infondo che prendeva forma l’idea di progresso sulla base di uno sfondo storico e culturale noto come Illuminismo, un movimento nato inizialmente in Francia durante il XVIII secolo. Un movimento culturale, che aveva preso avvio come critica all’ordine feudale, in nome della ragione. Una ragione che trova espressione nell’opinione pubblica borghese. Divulgando l’idea che il governo della nazione non fosse cosa propria del sovrano o dei nobili ma cosa pubblica, cioè di tutti e nessuno in particolare. La ragione è insomma il principio di un dialogo e insieme una critica. Critica che trova la sua massima espressione nelle forze neoliberali quando hanno liberato un mercato che era, prima di tale liberazione, addomesticato dalle politiche dello Stato-nazione. Uno Stato- nazione che ora si ritrova però impossibilitato ad esercitare il proprio potere all’interno dei propri confini. 52

A tal proposito si è discusso durante la conferenza sul tema “Più ricchi e più poveri. La crescita delle diseguaglianze in Italia”, tenutasi presso la Facoltà di Economia dell’Università di Bologna il 25 maggio 2011, il giorno seguente la pubblicazione dei dati Istat sulla realtà delle emergenze ed emarginazioni, organizzata dalla Fondazione Unipolis e a cui ho partecipato. L’indagine mette in evidenza come le vulnerabilità sociali colpiscono prevalentemente i giovani e le donne con differenze anche geografiche tra il Sud ed il Nord. L'Italia si dimostra il Paese ove è aumentata maggiormente la diseguaglianza sociale principalmente rispetto a Usa, Messico e Gran Bretagna. L’intervento di Franzini, ordinario dell’Università Sapienza di Roma, ha evidenziato come il capitale umano, inteso come l’istruzione, (insieme di conoscenze, titolo di studio o anni di istruzione) spiega una quota piuttosto ridotta delle diseguaglianze. Difatti, in Italia circa il 18% delle diseguaglianze dei redditi di lavoro cade all'interno (with in) di titoli di studio che si dispongono. Punto importante per le politiche dettate a livello Europeo è stata la convinzione

Una globalizzazione finanziaria i cui rischi e devastazioni si sono ripetutamente vissuti negli ultimi anni. Una economia virtuale di flussi monetari transnazionali che perdono sempre più legami con il substrato materiale e che viaggiano sempre più su dati e informazioni. Dando corpo alla grande crisi economica che agli inizi del XXI secolo si affaccia nel panorama mondiale a causa del crollo principalmente dei mercati finanziari che trovano un tracollo nelle bolle dei mutui subprime53. che hanno messo a tappeto l’intero pianeta.

Dal punto di vista politico le istituzioni, rappresentate soprattutto dagli Stati, possono interagire nel processo di globalizzazione attraverso la loro portata di azione e mediazione dei fatti internazionali all’interno dei propri confini simbolici nazionali e attraverso le istituzioni internazionali (come quella Europea) che di frequente si sovrappongono alle politiche degli stessi Stati-nazione. La globalizzazione ha in effetti agito sullo Stato-nazione, principalmente sulla sua capacità di autoderminarsi come soggetto politico e di influire sulle questioni internazionali. Capacità politica che viene oggi messa all’angolo da un’economia che opera a livello globale e dalle istituzioni internazionali che fissano i parametri economici delimitando le azioni e la possibilità di attuare le politiche che si propone. In tale ottica prende forma una politicizzazione della

Difatti il 40% dei giovani laureati vive in una condizione bassa (lavoratori che non riescono ad arrivare alla fine del mese: working poor). L’Italia in tale panorama è al primo posto. Il riferimento ai titoli di studio è insufficiente, così come il contratto lavorativo, come la differenza di reddito su base annuale, i salari temporali dove tale differenza esiste anche in Italia. La diseguaglianza è alta. Se fosse un'esperienza temporanea su orizzonte temporale a più lungo termine, la diseguaglianza sarebbe differente tra il primo, secondo e terzo anno da quando cioè si entra con contratti atipici per poi potersi regolarizzare nel tempo. La trasmissione intergenerazionale del lavoro (da padre a figlio) del reddito da lavoro è molto alta in Italia. Qui non opera solo l'istruzione sulla diseguaglianza dei redditi (anche questa molto alta in Italia) a parità di capitale umano. Ad esempio un padre con 2 figli avrà il 50% di probabilità di tendere verso le diseguaglianze dei poveri. L’intervento di Franzini che mette in luce le diseguaglianze di idee nel tempo volte a garantire il progresso sociale ed economico, è affiancato da quello della sociologa italiano/berlinese Saraceno. La studiosa pone la riflessione su come oggi si renda difficoltoso distinguere tra la classe operaia e quelli che vengono riconosciuti come benestanti ma che un tempo costituivano la cosiddetta “classe media”. Aspetti questi che compromettono il Paese e i suoi cittadini, in riflesso a fenomeni di trasformazione per nulla interpretati, per la studiosa, dall’opinione pubblica nel dibattito pubblico. Nella consapevolezza che la ricchezza e le povertà ci riguardano proprio come cittadini. Tutti. La democrazia di cui parla Saraceno, di rimando al pensiero di Armatya Sen, non rappresenta solamente un punto sociale di Libertà e democrazia, ma rimanda alla questione che chi è povero non riesce a partecipare alle gestioni dei

fatti di democrazia della società.

53 La crisi che ha colpito il sistema finanziario nel 2007, da cui l’economia internazionale non si è ancora ripresa, ha costituito materia di analisi di numerosi contributi. “A circa due anni dall’emersione di una serie di fenomeni strettamente interconnessi, (…) nel loro lungo periodo di genesi e sviluppo, le cui manifestazioni nel campo della finanza e dell’economia reale internazionale hanno concorso a generare quella che è stata definita una “crisi globale”. In proposito, va precisato che la crisi ha avuto almeno due fasi distinte, passando da una fase idiosincratica, in cui gli eventi traumatici sono rimasti per lo più circoscritti al mercato immobiliare e, nel mercato finanziario, ai titoli a questo agganciati, ad una fase

sistemica, in cui la crisi ha travalicato gli originari confini e si è riversata in tutto il sistema finanziario alla

stregua di un terremoto di elevata magnitudo. Queste due fasi sono state idealmente delimitate da altrettante date, il 9 agosto 2007 ed il 15 settembre 2008, scelte in ragione degli importanti fatti accaduti ma probabilmente anche perché la memoria collettiva portasse il segno di quanto non dovesse ripetersi (…). Il punto di innesco della crisi è coinciso con lo scoppio della bolla dei mutui subprime degli Stati Uniti nel mercato immobiliare prima e finanziario poi. Cfr. Carolillo G., Cortese F., (Paper), Origine ed

evoluzione del mercato statunitense dei mutui subprime” in www.dseagmeg.unifg.it/dwn/Carolillo-

globalizzazione in cui si assiste ad una rinnovata e maggiore opportunità di potere d’azione delle imprese all’interno del nuovo contesto globale, un tempo “addomesticate” dagli strumenti della politica e dello Stato sociale. Anche il vecchio capitalismo, un tempo organizzato democraticamente, è sfuggito dalla gabbia di uno schema socio-statale democratico così che le imprese, principalmente quelle che hanno potere di azione globale, oltre a rivestire un ruolo importante nell’organizzazione economica divengono attori anche della società. Un’economia che ha potere di azione globale e capace di frantumare “i fondamenti dell’economia nazionale e degli Stati nazione” dando avvio a quella che Beck definisce già nel 1997, quasi profetizzando, una “subpoliticizzazione” le cui dimensioni assumono conseguenze imprevedibili (Beck, 2009, p. 14). Ciò a sottolineare come globalizzazione significhi politicizzazione e dove l’intervento delle moderne società nazionali, avvenuto senza rivoluzioni, senza mutamenti legislativi o costituzionali, ha legittimato il potere di imprese internazionali. Così che se un tempo il movimento dei lavoratori agiva in veste di “contropotere”, le imprese globali odierne operano “senza un contropotere transnazinale”. Una politica della globalizzazione che mette in crisi non solo le fondamenta delle politiche nazionali, pur se non si è del tutto liberata dai vincoli sindacali, ma anche e soprattutto la politica e lo Stato. Tanto da assistere al depotenziamento della politica nazional-statale. In questo modo le imprese godono di potere ed azione nella società mondiale, “al di là del sistema politico”, in quella “subpolitica”, la cui esistenza non ha richiesto alcuna discussione pubblica come alcuna decisione governativa54. Lo stato-nazione, protagonista indiscusso dal XV secolo ad oggi, vive così uno stato di crisi tale da non poter più garantire quelle politiche di welfare state attraverso le quali avevano trovato soluzioni molte delle istanze provenienti dalla società civile. Tanto che le “premesse dello Stato sociale e del sistema pensionistico, degli aiuti sociali e della politica di solidarietà, della politica delle infrastrutture, il potere organizzato dei sindacati, il sistema sovraziendale di regolamentazione delle autonomie tariffarie, come i compiti dello Stato, il sistema tributario e la giustizia fiscale”, passano sotto la lente della globalizzazione nel tentativo di incarnarsi in una forma politica. Questa situazione ha visto una spinta a reagire di tutti gli attori sociali anche se “le risposte non seguono in maniera tipica il vecchio schema destra-sinistra dell’azione politica” (Beck, 2009). Una prima risposta sono stati i movimenti politici locali che si pongono come resistenza al processo di globalizzazione rifiutando l’integrazione ed esaltando fattori come la razza, la religione, la tradizione, il senso di appartenenza. A questi si sommano poi quei movimenti politici che agiscono a livello globale sottolineando le conseguenze positive e negative della globalizzazione (come i no-global).

54 La “globalizzazione” sottintende non più alla fine della politica, ma “colloca il politico al di fuori dello Stato nazione”. Ridefinendo, in tale emergente contesto, anche lo schema che sintetizzava ciò che si definisce come azione “politica” e “non politica”. Beck avverte (2009), a qualunque “contenuto si riferisca la retorica della globalizzazione (dell’economia, del mercato, della concorrenza occupazionale, della produzione, delle merci e dei servizi, dei flussi finanziari, dell’informazione e dello stile di vita)”, affiorano sempre conseguenze politiche legate ai “rischi economici” che la stessa globalizzazione muove. Così che istituzioni socio-industriali possono essere “forzate e soggette all’intervento politico”. Tanto che nel ragionare ancora su un continuum storico, nel XIX secolo per il movimento dei lavoratori si parlava della “questione di classe” costituendo il centro del pensiero di Karl Marx, oggi nel XXI secolo la questione, per le imprese che agiscono in una dimensione transnazionale, diviene la globalizzazione.

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