“La lontananza e l’irraggiungibilità della struttura sistemica, associata allo stato fluido, non strutturato, dello scenario prossimo e immediato della politica della vita, cambiano radicalmente tale condizione e impongono un ripensamento delle vecchie nozioni che ne caratterizzavano la descrizione” (Bauman, 2008). La liquefazione della società ci consegna quindi un risultato paradossale che consiste in un’organizzazione sociale che tanto più è fluida, tanto più produce un ordine sociale rigido72. La modernità è nata all’insegna della liquidità, per “fondere i corpi solidi”73 ed emancipare l’individuo, attraverso la ragione, dai legami troppo rigidi della tradizione e delle consuetudini. In una società in cui i vecchi equilibri erano stati scardinati, la ragione si è emancipata dall’individuo in una dinamica ricorsiva, fine a se stessa; applicata all’economia ha contribuito alla sua emancipazione dai vincoli morali e politici. Quello che ne è emerso, è un sistema basato sulla razionalità strumentale e centrato sul primato dell’economia rispetto alle altre sfere del sociale.
A farne le spese è stata soprattutto la politica, quell’ambito della vita sociale, che ha la funzione di tradurre i bisogni e le aspirazioni dei singoli individui in obiettivi condivisi e pubblici. Sono entrati in crisi gli strumenti e le istituzioni di rappresentanza degli interessi dei cittadini e delle categorie del lavoro. Lo Stato, che da sempre è il soggetto principale dell’azione politica, è entrato in sofferenza e ha visto il suo ruolo ridimensionato. Le scelte politiche sono condannate all’impotenza nei confronti di un sistema globale che vede l’economia e la finanza disegnare gli equilibri e definire la gamma delle possibilità d’azione. A fianco della politica, l’altro elemento centrale ad essere entrato in crisi è il lavoro e la sua centralità nella società. Intorno al lavoro, alla sua organizzazione, alla posizione assunta dai soggetti nell’ambito della vita lavorativa, si è strutturata l’organizzazione sociale e si sono sviluppati i modelli culturali dominanti della modernità. La fiducia nel progresso, la scoperta di nuovi mezzi e le tecnologie che aumentano la capacità produttiva hanno rappresentato i tratti dominanti della società negli ultimi tre secoli. Il modello d’organizzazione fordista nell’ambito del lavoro ha segnato il punto culminante di un sistema basato sulla produzione e ha accompagnato lo sviluppo della società di massa nel ventesimo secolo. Intorno al lavoro si è organizzata la società in classi e si sono sviluppate le grandi narrazioni che volevano interpretare la società e le trasformazioni in atto. Lo stato sociale si è strutturato
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Per quanto liberi e volatili possano essere i sottosistemi di quell’ordine, presi singolarmente o nel loro complesso, il modo in cui sono interrelati è rigido, privo di qualsiasi libertà di scelta. L’ordine complessivo delle cose non è aperto a opzioni; non è assolutamente chiaro quali tali opzioni possano essere e ancora meno chiaro è come concretizzare un’opzione presumibilmente praticabile nell’improbabile caso in cui la vita sociale sia in grado di concepirlo e crearlo. Cfr. Z. Bauman, 2008,
Modernità liquida, Laterza, Roma Bari
73 I liquidi, a differenza dei corpi solidi, non mantengono di norma una forma propria. I fluidi, per così dire, non fissano lo spazio e non legano il tempo. Laddove i corpi solidi hanno dimensioni spaziali ben definite ma neutralizzano l’impatto, del tempo, i fluidi non conservano mai a lungo la propria forma e sono sempre pronti a cambiarla; cosicché ciò che conta per essi è il flusso temporale più che lo spazio che si trovano a occupare e che in pratica occupano solo per un momento. Cfr. Z. Bauman, 2008, Modernità
intorno alla famiglia patriarcale e alle classi sociali sotto la spinta delle grandi organizzazioni politiche di massa. Classe operaia, imprenditori, piccola e media borghesia, legati da un filo che ne determinava i ruoli e l’identità all’interno della società. Era attraverso il tipo di occupazione, che spesso accompagnava il soggetto per l’intero arco della propria esistenza, che l’individuo identificava se stesso, il proprio ruolo, la propria condizione e appartenenza sociale. Questa identificazione nel lavoro nei tempi attuali è sempre più difficile. Il lavoro cambia in continuazione, sempre più articolato in nuove tipologie e nuove professioni ed è quasi impossibile impegnarsi in un lavoro che impieghi tutto l’arco dell’esistenza o almeno un periodo sufficientemente lungo da potersi identificare in esso. Anche la divisione della società in classi è andata sfumando, e comunque non è più il lavoro a segnare l’appartenenza ad una determinata classe sociale. Si comincia da giovani con occupazioni sempre provvisorie e chissà quante se ne cambieranno durante la propria vita. La diversa articolazione del sistema produttivo ha ridimensionato la classe operaia e generato una molteplicità di lavori e professioni. Assieme al lavoro è cambiata la struttura familiare. Queste modificazioni si accompagnano ad un generale indebolimento del ruolo dello Stato, specificamente nella sua funzione d’assistenza e tutela dei soggetti più deboli: il welfare-state, una delle più grandi conquiste del ventesimo secolo. Il prodotto di questa trasformazione è una generale insicurezza, sia dal punto di vista dell’identità, venendo a mancare le basi solide per i processi d’identificazione, sia dal punto di vista dell’esistenza in senso più materiale, essendo il lavoro e l’esistenza quotidiana segnata dalla precarietà e dalla provvisorietà.
Un altro aspetto da tenere in considerazione ha a che fare con l’informazione, che se da una parte favorisce la conoscenza degli argomenti, dall’altra parte crea dei problemi nella gestione e nell’elaborazione dell’informazione stessa, in considerazione dell’enorme massa di dati che si riversano quotidianamente sulle persone. I mass-media, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e le nuove tecnologie trasmettono informazioni notizie in tempo reale, subito sostituiti da nuove informazioni. La capacità di elaborazione e di trasmissione dei dati produce un volume d’informazioni a disposizione dell’utente che non ha paragoni con il passato.74 Le conseguenze sono di quantità e qualità. Dal punto di vista della quantità alle persone è richiesto uno sforzo per selezionare le informazioni utili o interessanti e “difendersi dal 99,99 percento delle informazioni che ci vengono offerte e di cui non abbiamo bisogno”.(Eriksen, 2003). Il punto di vista della qualità presenta due aspetti che sono determinati dal venir meno di “filtri”, in rapporto alla quantità d’informazioni veicolate dai media. Il primo aspetto è in riferimento alle fonti ed alla loro serietà e veridicità nel trattare gli argomenti. Il secondo aspetto concerne la capacità di analisi e valutazione delle informazioni. Nel momento in cui appare sul giornale, sul televisore o sul computer, una notizia è già superata, perché nell’attimo successivo subentra già una ulteriore notizia e così via. L’interpretazione dei fatti diventa difficile e così la loro sedimentazione
74 Un solo numero domenicale del New York Times contiene più informazioni di quante ne poteva consumare un erudito del Settecento in tutta la sua vita. Cfr. I. Ramonet, 1999, La tirannia della
come elementi integranti della cultura se non in modo temporaneo, e di conseguenza anche i codici culturali ai quali affidarsi cambiano continuamente. E’ un mondo che scorre come un treno in corsa e del quale fatichiamo a percepirne la direzione. Anche le grandi teorie che ci hanno accompagnato fino ad oggi ci aiutano solo in parte nella comprensione di una realtà in continua trasformazione.
L’individuo contemporaneo si ritrova senza punti di riferimento solidi, solo, nella ricerca del senso alla propria esistenza e nella ricerca di una propria identità. Più correttamente si dovrebbe parlare d’identità al plurale, dal momento che la maggior parte degli individui si ritrovano ad ricoprire differenti ruoli nell’arco della propria giornata e della propria esistenza. Tendendo ad assumerne più di una identità nel corso della propria vita. Ma forse è meglio non strutturarsi in modo troppo “solido” in un mondo che diventa sempre più “liquido”. In un mondo in cui le certezze sono poche e dove il lavoro, la cultura, i costumi cambiano velocemente ed in continuazione. Principalmente perché un soggetto “solido” non può essere funzionale ad un sistema sempre più veloce, orientato alla “deregulation”, che non vuole paletti sul proprio percorso, o smagliature nella propria rete. Tanto che le identità deboli e variabili in perfetto “accoppiamento strutturale” sono migliori con una società in continua trasformazione (Luhmann, 1996). Ecco allora il mercato, col suo carattere erratico e volatile e la sua inesauribile inventiva, diventa il luogo ideale per superare tutte queste contraddizioni. I beni di consumo, durevoli o momentanei, non sono destinati, per definizione, a durare in eterno. Si usano e si gettano (Bauman, 2004a). E’ quello che serve per affrontare le sfide della vita contemporanea, nella sua richiesta di identità variabili e multiformi, come appunto una gamma di articoli intercambiabili, sostituibili, destinati a non durare a lungo, che si possono trovare in un negozio.
Nella società industriale il consumo era legato alla necessità di soddisfare dei bisogni. Nella società contemporanea l’offerta di prodotti è vasta e cambia così velocemente, che si può dire esaurita la soddisfazione del bisogno. Soprattutto dal momento in cui si consuma un prodotto se ne rendono già disponibili altri sul mercato e si determinano altri bisogni da soddisfare in un meccanismo che si ripete all’infinito. Il momento saliente non è più il consumo come soddisfacimento del bisogno, ma il desiderio che precede il consumo e che si esaurisce e si rinnova continuamente nell’atto del consumo. Anche il desiderio non è più sufficiente a mantenere il consumo dei prodotti ad un livello adeguato, serve qualcosa di più versatile, di più immediato. Ecco allora il capriccio, l’acquisto spontaneo, casuale, imprevedibile che porta il piacere alla massima e immediata soddisfazione.
L’acquisto ed il consumo di un prodotto non sono più legati oggi al bisogno di quel prodotto. Nell’acquisto di un prodotto dato dalla necessità, si guarda alle caratteristiche intrinseche del prodotto, alla sua qualità, alla sua capacità di garantire la funzione per cui è stato acquistato e per quanto tempo e di conseguenza anche alla sua durata. Quindi è importante il modo in cui è stato prodotto, la qualità del lavoro in esso contenuta. Nella società attuale l’acquisto o il consumo di un prodotto hanno lo scopo di produrre emozioni, sensazioni
piacevoli. Il consumo spesso non è una necessità impellente se non nella misura in cui esso rappresenta un’occasione da non perdere. I mass-media giocano un ruolo fondamentale nel proporre sempre nuovi modelli da imitare o nuovi prodotti da acquistare. Il consumatore è come un corridore che corre senza sapere di preciso quale siano le mete da raggiungere. La sua corsa è lo shopping, che rappresenta l’archetipo di una società di consumatori (Bauman, 2008). Il consumo deve apparire come un diritto di cui godere, non come un dovere imposto. E i consumatori devono essere guidati da interessi estetici, non già da norme morali.
“Il fattore d’integrazione della società, che spesso la salva dalla crisi, è dunque oggi l’estetica, che premia l’esperienza sublime, non l’etica, che accorda un valore supremo al lavoro ben fatto.” (Bauman, 2004a). Il consumo ha quindi sostituito il lavoro quale nesso tra le motivazioni individuali dei soggetti, l’integrazione sociale e la riproduzione del sistema. Nella società attuale per le persone è diventato sempre più difficile esprimere se stessi e trovare soddisfazione nelle proprie azioni. Come abbiamo visto il lavoro cambia continuamente, si vive per molti anni, soprattutto quando si è giovani, sul filo della precarietà; inoltre il mondo del lavoro è sempre più soggetto ad una concorrenza sfrenata, in tutti i settori. Anche l’azione politica si scontra contro un sistema nello stesso tempo potente e inafferrabile. La liquidità della società condiziona anche i rapporti personali, perché per costruire dei rapporti seri, solidali, basati su una buona dose di fiducia, serve un vissuto fatto di esperienze forti, solide. Il consumo permette all’individuo d’esprimere la propria soggettività, le proprie passioni, la propria conformità o il proprio dissenso. Nel consumo trovano soddisfazione gli infiniti interessi e desideri delle persone, continuamente sollecitati dai mass-media, attraverso la vasta gamma di prodotti e possibilità disponibili sul mercato. Nel rito dello shopping, che si consuma nei negozi e nelle grandi “cattedrali del consumo” (Ritzer, 2008), gli individui si immergono in un bagno di folla che li fa partecipi del trascorrere della vita sociale. Così come attraverso le tecnologie, i social network di ultima generazione si inseriscono in una rete di relazioni potenzialmente globali. Attraverso il consumo l’individuo si identifica nei modelli culturali e contribuisce alla loro formazione. Nella corsa allo shopping si soddisfano i desideri e si vivono le emozioni, si soffrono le delusioni e si patiscono le rinunce. Nel consumo si determinano le gerarchie sociali, si evidenziano le differenze tra chi ha i mezzi per partecipare alla corsa e chi no. Nel rito del consumo si genera e rigenera la società. Il consumo ha quindi una funzione fondamentale nella riproduzione del sistema sociale, soprattutto in considerazione del fatto che dietro ogni atto di consumo si cela un aspetto economico importantissimo per il sistema produttivo. Il successo del sistema economico, fondato sulla crescita del P.I.L.75, qualcosa che solo un adeguato livello di consumo può garantire, fa sì che il consumo rivesta un ruolo fondamentale nella riproduzione del sistema.
75 Il Prodotto Interno Lordo è una grandezza aggregata che esprime il valore complessivo dei beni e servizi finali prodotti all’interno di un sistema economico in un certo intervallo di tempo. Nel giugno 2010, in un discorso all’università della Carolina del Sud, il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke nel parlare del Pil come indicatore importante per valutare il benessere di un Paese, ha deciso di parlare dell’economia della felicità. Dato che siamo ancora nel bel mezzo della crisi economica più grave
Per tutte queste motivazioni il consumo rappresenta un punto di vista importante attraverso il quale osservare le trasformazioni in atto, per comprendere la società. Più specificamente, l’analisi di alcuni tipi di consumo, ci permette di cogliere delle tendenze importanti, che sono conseguenti al rapporto dell’individuo con un sistema che tanto più gli lascia libertà di comportamento, tanto più gli nega delle possibilità di cambiamento.
Il consumo sostenibile, che si rapporta strettamente con la scelta di un determinato stile di vita, rappresenta un angolo d’osservazione privilegiato perché permette di cogliere una serie di segnali significativi su vari aspetti. Innanzitutto sul rapporto dell’individuo con se stesso, attraverso la cura che impegna nella tutela della propria persona e in particolare della propria salute fisica e mentale. Un altro aspetto concerne il rapporto dell’individuo con gli altri membri della società, nella ricerca non solo di uno stile di vita più sano, ma anche di rapporti umani più sani, improntati sulla naturalezza ed alla genuinità. Inoltre il consumo sostenibile ci dice molto sul rapporto con l’ambiente in cui vive, non solo perché da esso dipendono le condizioni materiali della nostra esistenza, ma anche perché in esso l’individuo aspira ad una vita piacevole e sana.