“Il potere44 è più che comunicazione, e la comunicazione eccede il potere. Ma il potere si fonda sul controllo della comunicazione, come il contropotere dipende
dall’infrangere quel controllo”.
(Manuel Castells, 2010) Max Weber definiva la sfera di azione di ogni stato delineandola in senso territoriale, tanto da scrivere “oggi dobbiamo dire [in contrasto con varie istituzioni del passato basate sulla forza] che lo stato è una comunità umana che rivendica (ottenendolo) il monopolio sull’uso legittimo della violenza all’interno di un territorio. Si noti che il territorio è una delle caratteristiche dello stato” (1919, p. 78)45. Uno stato-nazione che oggi perde parte del suo potere all’interno degli immaginari confini che delimitano il territorio di uno stato. Lì dove nazione, stato e territorio definivano i confini della società, sono stati ridefiniti dalla globalizzazione nei limiti territoriali dell’esercizio del potere. Bauman teorizza una nuova letteratura della politica del mondo globalizzato. Mentre Saskia Sassen (2006) ha messo in luce l’evoluzione delle relazioni di potere che è operata dall’evoluzione della struttura sociale verso gli “assemblaggi globali”. Relazioni di potere che esistono in specifiche strutture sociali sulla base di formazioni spazio-temporali non collocabili più a livello nazionale ma globali e locali allo stesso tempo. Se di fatto lo stato-nazione non scompare, le relazioni di potere divengono una delle dimensioni in cui operano
44 Per gli antropologi il Potere è il superamento della morte. Questa branca di studi fa risalire la costituzione di società ad un atto di violenza. La convivenza tra gli uomini ha inizio con la violenza diretta verso un essere la cui morte è da ritenersi benefica per il mantenimento dell’ordine sociale. All’origine del potere dunque esiste una vittima che espropriata della sua innocenza dalla collettività le conferisce lo stato di colpevole potenziale e ciò sottrae la vittima dall’uccisione. “La vittima diviene una sorta di morte vivente, che certo apporta ordine e pace, ma solo perché restituisce, concentra e moltiplica quella stessa minaccia di annientamento che l’ha costituita come vittima” (Cfr. L. Alfieri, L’immaginario
e il potere, p. 44). Il potere nasce, dunque, dalla violenza ed è costituito di violenza.
45 Per Max Weber «Il potere è la possibilità che un individuo, agendo nell'ambito di una relazione sociale, faccia valere la propria volontà anche di fronte a un'opposizione». Non a caso Weber definendo il potere parla di forza e consenso (dalle parole tedesche Macht ed Herrschaft). La forza è intesa come la capacità di far valere, anche di fronte a un'opposizione, la propria volontà; il consenso come l'abilità di trovare obbedienza da parte di determinati individui in cui vi è un minimo di volontà di ubbidire, cioè un interesse all'obbedienza – il consenso è nella credibilità, frutto della percezione che il ricevente ha dell’integrità della fonte.
potere e contropotere. Andando verso l’evoluzione di una nuova forma di stato: “lo stato a rete” (Castells, 2010, p. 11). Per Mann “le fonti sociali del potere offrono una possibilità di lettura della questione […] le società come costituite da multiple reti socio-spaziali di potere, che si sovrappongono e intersecano”. Non sono più da cercare i confini territoriali dunque ma le reti socio-spaziali del potere. O come sostiene Sassen “le forme degli assemblaggi né locali né globali ma entrambe le cose”. Per tanto la società in rete è costituita da configurazioni di reti globali, nazionali e locali in uno spazio multidimensionale di interazione sociale. L’ipotesi di Castells (2010) si fonda sulla configurazione che reti globali e locali possono ridefinire una nuova società. Se la rete, poi, è un insieme di nodi interconnessi di cui quelli più importanti sono chiamati centri ogni componente è un nodo, nella vita sociale le reti sono strutture comunicative. Quando un nodo della rete perde la sua utilità le reti tendono a riconfigurarsi. Per tanto le reti elaborano flussi che sono correnti di informazioni tra i nodi, in cui programmi e obiettivi rappresentano i codici di reti che cooperano e competono tra loro. Nella logica binaria di inclusione-esclusione, la distanza tra ogni nodo tende a zero quanto più questo è connesso con gli altri. I sistemi mediali sono divenuti i regolatori della sfera pubblica. “Il potere è più che comunicazione, e la comunicazione eccede il potere. Ma il potere si fonda sul controllo della comunicazione, come il contropotere dipende dall’infrangere quel controllo.” (Castells, 2010, p. 20). Ma lo stesso sociologo spagnolo spiega “in che modo il potere è costruito nelle nostre menti mediante processi di comunicazione, dobbiamo andare al di là del come e da chi i messaggi sono originati nel processo di formazione del potere e trasmessi/formattati nelle reti elettroniche di comunicazione”. Pratiche di potere che cambiano continuamente, assumendo forme e dimensioni differenti, in conformità alle modalità che lo rendono tangibile, un “meccanismo sociale”. Divenendo uno “stato di relazioni”, una modalità di tipo relazionale che si manifesta principalmente con l’a-simmetria dei ruoli sociali degli attori, così che l’una comunica i propri valori e significati sull’altra che si limita a consumare e condividere il contenuto del messaggio. Ma il “potere comunicativo” diviene sempre più globale coinvolgendo una sfera pubblica che non sottostà ai confini degli stati-nazione, ad una sfera privata che viene pervasa dalla comunicazione nella sfera quotidiana. Ma se il potere è “relazionale” il “dominio è istituzionale”. Ciò a dire che anche nella sfera della politica, il potere si fissa nella riproduzione delle istituzioni che poggiano sul dominio sociale. Un potere a cui oggi non ci si può riferire non richiamando il concetto di consensus popolare inteso come legittimazione data dal voto. Una policy making che è da intendere come “making power” soprattutto per via dei network sociali che divengono mezzi importanti per la conoscenza di massa di significati condivisibili. Per Innis il bias sulla tecnologia della comunicazione è da intendere come la tendenza verso una centralizzazione o decentralizzazione del potere (ad es. Eric Michaels aveva notato già nell’uso delle tv da parte degli aborigeni australiani come la comunicazione sia centralizzata per il controllo delle èlite. La cultura aborigena che dà valore al tempo, al luogo e alle relazioni familiari è in contrasto con il modello di trasmissione standard delle tv che la minacciano). Il bias delle tecnologie della comunicazione sono dirette al web, in cui si tende a una decentralizzazione anche se la sua democratizzazione non è scontata.