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Immaginario e immagini: forme di autorappresentazione sui Social Media

La comunicazione di massa permette la diffusione del contenuto della comunicazione all’intera società. La diffusione di Internet ha permesso non solo una comunicazione multiderezionale, many to many, in tempo reale o momenti stabiliti. La comunicazione è point to point e può avvenire in narrowcasting o broadcasting in base allo scopo e alle pratiche comunicative in atto. O entrambe, come nel caso di Rai per una notte, evento organizzato per l’oscuramento delle trasmissioni televisive di approfondimento giornalistico a causa di un’interpretazione restrittiva delle norme che governano la par condicio italiana in periodo pre-elettorale per le elezioni amministrative del 2010. Sciopero bianco contro la decisione di chiudere il programma di infotaintment “Anno Zero” trasmesso sulla seconda rete pubblica italiana, messo in scena al Paladozza di Bologna da Michele Santoro e la sua squadra operativa e diffuso attraverso differenti canali di Internet (televisivamente da Current TV sulle frequenze Sky, e da una miriade di televisioni locali che hanno aggirato le restrizioni del satellite e che hanno consentito che in diverse piazze d’Italia nascessero dei gruppi d’ascolto). Ma è in Internet che si è assistito ad un’autocomunicazione di massa nella potenzialità di raggiungere un pubblico di massa, per cui i contenuti “i messaggi” sono autogenerati e autodiretti verso destinatari, e specifici messaggi del Word Wilde Web vengono autoselezionati. Immagini e immaginari di autorappresentazione raggiungono forme inedite con conseguenze importanti sulle mutazioni culturali e l’organizzazione sociale. Un mix composito e interattivo di contenuti anche audio video, che nella loro diversità, divengono un arcobaleno di espressioni culturali veicolate dall’interazione umana (Castells, 2010, p. 60). Una “rivoluzione della comunicazione” (McChensey, 2007). Un processo di trasformazione multi stratificato della comunicazione la cui dimensione è la cultura, che oltre ad osservare lo sviluppo di culture e identità multiple, di contro vede la nascita dell’individualismo e comunismo. Attori sociali e singoli cittadini-consumatori di cultura che usano la propria capacità di comunicazione in rete al fine di portare avanti i propri progetti e difendere i propri interessi, affermare i valori (Downing,2003; Juris, 2008). La descrizione del web 2.0 coniata nel 2004 da Dale Doughery, il vicepresidente della O’Reilly Media Research, durante la Conference 2.0, sembra rispondere all’osservazione di quel “io” indistinto nella comunicazione ad una relazione della comunicazione.

Si può leggere nel Clutrain Manifesto di De Kerkhove:

“strumento condiviso che abilita e facilita relazioni, giudicato sulla base della coesione delle relazioni (frequenza, continuità, ricchezza, intensità) e quindi ben diverso dalle comunità 1.0 che tendono invece ad aggregare le persone intorno a un interesse comune e sono giudicate in base alla quantità di partecipanti. Il focus di un social network risiede nella molteplicità e versatilità degli strumenti offerti per interagire e relazionarsi”.

La Rete è divenuta un’ideologia, caratterizzata da una maggiore democrazia, l’apertura ad una moltitudine di voci, redistribuzione dei poteri e

una ricca e conveniente esperienza da parte dell’utente. Così che i fattori che hanno inciso sulla creazione del nuovo ordine mediatico globale è la crescente concentrazione della proprietà: i media globali sono dominati da pochi e potenti gruppi imprenditoriali. Si è assisto ad un passaggio dalla proprietà pubblica a quella privata: la liberalizzazione economica ha spinto alla privatizzazione delle aziende dei media e delle telecomunicazioni. Mentre lo sviluppo di strutture aziendali transnazionali, che operano sempre più al di là dei confini nazionali; sta crescendo. Esiste un’integrazione dei prodotti mediali da quando l’industria dei media è meno segmentata rispetto al passato; aumento delle fusioni aziendali: alleanze tra aziende appartenenti a segmenti diversi dell’industria dei media. In cui si assiste ad una promozione della “folksonomia” (Vander Wal, 2007), “wisdom of crowds” o “saggezza della folla” (Surowiecki, 2004), “crowdsourcing” (Howe, 2006; Shirky, 2008), “remix culture” (Lessig, 2008) e “produsage-bases journalism” (Bruns, 2008). Per quanto i siti di social network si possono far risalire al 1995 con Classmates.com, attraverso cui si affacciava una prima distinzione tra reti di relazione professionali (circle to trust) e reti di relazioni amicali (circle to friends), essi hanno una velocità di sviluppo e innovazione pari ad un tasso annuo del 200%. Il web 2.0 si distingue in social browsing (collezione di indirizzi web significativi), reti di interesse (si strutturano intorno a un oggetto sociale comune come Flickr), reti di azione (MoveOn.com risulta il primo network di democrazia diretta o meetup), personal social network (come ad esempio Facebook, MySpace et. al.), personal social network per bambini, aggregatori di social network (come Flock). «la cultura comune della società in rete globale è una cultura di protocolli di comunicazione che permettono la comunicazione tra culture diverse sulla base non di valori condivisi ma della condivisione dei valori della comunicazione». Ciò vuol dire che la nuova cultura non è fatta di contenuti ma di processi. La cultura globale è una cultura della comunicazione per la comunicazione. Facebook pertanto non è solo un personal social network sites ma anche “un fatto sociale totale” (Borgato, Capelli, Ferraresi, 2009) intendendo con ciò un avvenimento che accade in un momento particolare della società e che la coinvolge ad ogni livello. Per tal motivo la sua osservazione e studio coinvolge dimensioni multidisciplinare.

Superando quella disparità ancora evidente nei mezzi di massa per cui i paesi industrializzati si trovano in una posizione dominante nella produzione e nella diffusione di prodotti mediali dando luogo ad un imperialismo mediatico, il controllo dell’informazione da parte delle maggiori imprese di comunicazione occidentali fa sì che a livello globale sia costantemente privilegiato il “primo mondo”; si presti attenzione ai paesi in via di sviluppo solo in occasione di catastrofi, crisi, guerre o altre violenze.

Spingendo i fili di un immaginario che coglie la narrazione politica come fruitrice di codici dettati dai sistemi di comunicazione generalisti che hanno reso chiunque alfabetizzato alle sue forme espressive ricercabili dal pubblico connesso. Tanto che nelle nuove forme comunicative il concetto di potere è letto come “la capacità relazionale che permette ad un attore sociale di influenzare asimmetricamente le decisioni di altri attori sociali in modo da

favorire la volontà, gli interessi e i valori dell’attore che esercita il potere” (Castells, 2009). D’altronde anche per Foucault non c’è potere ma “relazioni di potere che nascono incessantemente, come effetto e condizione di altri processi” e che “aprono uno spazio all’interno del quale si sviluppano le lotte” (Foucault, 1994). Una delle sfide diviene la responsabilità, legame importante non solo per una collocazione temporale nel presente ma anche per il futuro, lì dove “i programmi di riforma non riescono a trovare un’istanza di responsabilità di fronte alla memoria corta degli elettori” (Innerarity D., 2008, p. 211). Con lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione, in particolare “dalle prime forme di stampa [i] detentori del potere politico si sono dovuti occupare anche della loro auto-rappresentazione”25. Una comunicazione che fa i conti con la globalizzazione, piegandosi a forme simboliche che permettono di dare voce ai fatti. Svuotandosi, però, di quel legame che sino ad ora aveva costretto un ricevente ad un emittente unico, e quest’ultimo, ad un “sistema capitalistico di produzione, sottolineato eccessivamente dal ruolo dei valori consumistici e [sottovalutando] la grande varietà di temi, immagini e rappresentazioni che caratterizzano l’industria mediale” (Thompson J.B., 1998, p. 241). Esperienze mediali che sono avvertite da ogni individuo, in base all’importanza per il sé, come reali o potenziali26 e a cui ciascuno dà consenso, “consensus” (nell’accezione di Comte). “Una nuova forma di comunità, che unisce le persone online intorno a valori e interessi condivisi”27..

Immagini e immaginari mediatici usati anche dalla politica, che dai tradizionali mezzi di massa è convergente ad Internet. Una politica però incapace di svuotarsi di una logica top-down della comunicazione e per tanto mal percepita dagli abitanti della Rete con dei codici comunicativi e delle logiche orizzontali. Esplodendo, per tal motivo, la peggiore immagine auto comunicativa. Relazioni di potere in larga misura basate sulla capacità di plasmare la mente umana mediante il trasferimento di senso e la costruzioni di immagini (Castells, 2010, p. 241). Infondo le idee sono delle immagini della mente. Per la società la costruzione delle immagini deriva dalla “comunicazione socializzata”. Nel caso ad esempio della media politics è la politica sui media e con i media. Così anche la politica oggi è politica mediatica. I leader, i messaggi come le organizzazioni che non esistono nei media non lo sono neanche nella mente del pubblico (ibidem, p. 241), dei cittadini-consumatori. Il controllo dei media diviene così una forma di potere. Le organizzazioni mediatiche sui mezzi di comunicazione di massa come su quelli di autocomunicazione di massa seguono la logica di aumentare influenza e risorse, espandendo e approfondendo il proprio pubblico. Come nel caso italiano di mediaset o Antenna 3 in Spagna. Per quanto negli ultimi anni la credibilità legata ai media di massa è notevolmente decresciuta. Nella comunicazione di massa gli obiettivi dei politici sono di costruzione del potere, la produzione di immagini più utili all’attore del potere. Spazi privilegiati in cui prende forma l’immagine per cui si rende importante la figura dei gatekeepers, i custodi dei flussi di

.25 Thompson J. B., 1998, Mezzi di comunicazione e modernità. Una teoria sociale dei media, Bologna, Il Mulino.

26 Ibidem, p. 318

comunicazione (Curran, 2002; Bennett 2007; Bosetti, 2007), che devono essere in grado di garantire l’accesso a messaggi e messaggeri da parte delle audience. L’informazione che ha maggior successo è quella che massimizza gli effetti di intrattenimento corrispondenti alla cultura consumistica di marca. Inchieste di intrattenimento e discussione informata che hanno mosso la “democrazia deliberativa” sono in contrasto con la cultura contemporanea, non perché le questioni importanti non rivestano interesse per i pubblici ma per il fatto che necessitano di essere presentati nel linguaggio dell’infotainment (come l’economia, la guerra etc.). Sempre più “l’attività esercitata dai politici, per lo più attraverso consulenti, che consiste nel comunicare le cose in modo favorevole a sé, cercando di nuocere ai loro avversari” (Bosetti, 2007, p.18) e che caratterizza lo spin (inteso appunto come l’uso dei media e l’elaborazione quotidiana dell’informazione). Obiettivo della politica mediata è di “vincere e tenere per sé il più a lungo possibile le spoglie della vittoria”, attraverso un messaggio ai cittadini per sostenere un candidato e respingere gli avversari “The message is the medium” (Castells, 2010, p. 256). L’intrecciarsi degli strumenti della scienza politica e della psicologia della comunicazione ha determinato una nuova forma di politica informazionale. Politiche e strategie servono alla politica mediatica per identificare valori, convinzioni, opinioni, comportamenti sociali e politici di segmenti della popolazione identificati per distribuzione geografica e spaziale. Nonostante tattiche e strategie comunicative per la costruzione della migliore immagine, dai dati Gallup ed Eurobarometro emerge come i cittadini oggi non si fidano dei propri governi o parlamentari e soprattutto disprezza i politici ed i partiti. Si può dire che esiste una sorta di scomparsa della fiducia pubblica e di legittimazione della politica. Ciò si potrebbe ipotizzare essere dovuto non solo dall’insoddisfazione di particolari scelte politiche e lo stato dell’economia. I dati dei sondaggi mettono in evidenza come “la percezione della corruzione è il più significativo elemento di predizione della sfiducia politica” (Castells, 2010, p. 363). Ma la sfiducia politica non vuol necessariamente dire una diminuzione alle urne o la riduzione dell’impegno civile. L’opinione comune porta a pensare però che una sfiducia prolungata possa generare insoddisfazione verso il sistema politico avendo ripercussioni critiche verso la governance democratica (ibidem). Ma nelle istituzioni statali di governo possono muoversi con azioni extra procedurali a favore di gruppi di interesse o individui e questo fa diminuire il rispetto di delega di potere ai governanti. “Ciò che ne segue è una crisi di legittimazione; ossia una crescente sfiducia nel diritto dei leader politici di prendere decisioni in nome dei cittadini per il benessere della società” (ibidem, p. 365).

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