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Pubblici connessi e nuova sfera pubblica

«Se l’obiettivo è stabilire nuove e migliori connessioni con i cittadini, bisogna anche trovare il modo di permettere ai cittadini di interagire e di contribuire alla creazione della conoscenza sociale […] e non solo costruire dei consumatori della conoscenza di intellettuali che si immaginano se stessi come “pubblici” e il cui scopo è solo “persuadere”. […] Non sto dicendo, alla Monty Python, che “siamo tutti intellettuali”. Anzi, sto dicendo che la distinzione tra “l’intellettuale” e il cittadino è spesso esagerata e tende a essere antidemocratica, assegnando alla massa il ruolo di spettatore passivo in moltissimi dibattiti sociali.»

(Tim Dunlop, evatt.labor.net.au/publications/papers/91.html) Affrontare un ragionamento biunivoco di incroci dialettici tra sistemi sociali e soggettività, tra una struttura ed una sovrastruttura, tra evoluzione culturale e tradizione, per una politica di vita tesa all’happines, ad una felicità intesa come perseguimento dei beni comuni, nell’incrocio di realtà intersecanti non può essere più sufficientemente sintetizzato dall’iconografia che per Hobbes rappresentava lo Stato-nazione, per cui l’apparato statale era raffigurato nel mostruoso gigante, il “Leviatano”, costituito da piccole parti che rappresentavano le interiora divise dai corpi delle persone (i cittadini dello Stato)22. Un’iconografia usata per descrive un macro ed un micro che anche per Mazzoli (2009) non si rende più necessaria per comprendere come questi due livelli siano oggi di fatto incrociabili. Un passaggio avvenuto nella “tardo modernità” o “postmodernità” per cui i livelli macro e micro divengono piani convergenti di un mondo che sfugge da differenti paradigmi che andavano bene nel passato e che oggi sembrano essere fortemente in crisi, come quello sullo Stato-nazione. La fine delle grandi narrazioni, come delle grandi ideologie, dei sistemi politici e delle utopie del Novecento, la loro fragilità ha scardinato i loro confini, siano essi politici, culturali, geografici e comunicativi. Così che se si è assistito da un lato ad un lento decadimento delle vecchie forme di certezza, si è potuto osservare con grande rapidità l’evoluzione di una rete di comunicazione che ha permesso di mettere in relazione persone, idee, ideali,

22 Allontanandosi dalla tradizione classica dell’antropologia politica, per Hobbes, l’uomo decide di convivere con i propri simili non per affiliazione o piacere ma spinto dai benefici che ciò li può procurare rispetto ad ogni altra situazione che negherebbe ogni sicurezza. Infatti, seppur esistono differenze a livello di forza fisica tra gli individui, non sono tali da garantire la sicurezza neanche del più forte. L’uomo al di fuori dello Stato è uguale ai propri simili. La condizione dell’uomo prima della cultura era il caos (lo scontro di tutti contro tutti). Il potere a cui i sovrano o uno Stato fa ricorso è infondo la parte negativa a cui ogni suddito o individuo ha rinunciato per rimanere in vita. E’ in quanto negativo che il Leviatano ha delle caratteristiche ben lontane da quelle di un cittadino modello, ma governa poiché detentore di violenza e del terrore verso tutti. Per Hobbes il Potere possiede due facce contrapposte:• l’una è quella sin qui esaminata del Leviatano (forza ordinatrice,capace di piegare il caos al volere e ai bisogni della comunità) • l’altra è quella di Behemoth il distruttore, la violenza, generatore di discordie e distruttore dello Stato. Entrambi sono presenti e attivi, immagini speculari del potere e della violenza degli uomini. L’ombra della morte è però sempre presente, anche nella politica, per la minaccia continua della violenza. L’importanza di un sistema democratico è sostanzialmente nel fatto che «[…] L’avversario battuto nella votazione […] si limita a dichiararsi sconfitto […] giacché non gli accade nulla di male […] nessuno dei suoi è stato ucciso» (Cfr E. Canetti, Massa e potere). Alla fine di un conflitto democratico si contano i voti mentre il perdente ha la possibilità di ripresentarsi nuovamente e il conflitto è solo un simbolo. L’uomo forte, il Leviatano, è pronto a cercare una soluzione per i suoi sudditi e “dietro ogni forma di investitura popolare risiede lo spettro della comunità vissuta come organismo, come entità etica”

facendo convergere il tutto nel “cosmo socio semiotico che è la rete” (Mazzoli, 2009). Una convergenza che si può ben notare anche in politica, per cui tra le definizioni importanti da esplicitare vi è quello di cittadinanza. Un concetto che ha perso valenza già con le grandi ondate migratorie che, per la caduta delle vecchie immaginarie barriere divisorie dei Paesi, hanno investito l’Europa così come l’Italia. Indebolito la capacità di riconoscersi in una storia condivisa e in progetti politici comuni, in comunità culturali, che idealmente hanno abitato l’immaginario della gente, nella loro memoria collettiva. L’impossibilità di vivere il mondo che ci circonda senza evidenti contraddizioni diviene quasi impossibile soprattutto per non riconoscerlo più in una grande narrazione. La lingua rimane l’unico incastro della cultura contro un mondo che ci vorrebbe tutti d’accordo e uguali, pedina attraverso cui guadagnare il proprio spazio nell’immaginario collettivo ricomponendo simboli e idee.

Una disgregazione/ricomposizione dell’immaginario sia individuale che collettivo per cui ogni individuo aderisce a gruppi sociali, stili di vita, idee “come un nomade” (Maffesoli, 2000). Una cultura nomade che permette ai soggetti di aderire in una moltitudine di legami deboli attraverso scelte contraddittorie. Interessante, ma anche complesso, appare il comprendere come oggi i vissuti di ogni singolo individuo e le loro rappresentazioni sono legate alle tecniche dei professionisti della comunicazione, così che sempre più spesso le esperienze vissute dai soggetti non sono reali ma rappresentazioni delle stesse. Come avviene nel grande “globo socio semiotico che è la rete” (Mazzoli, 2010). In cui, a dirla alla Bauman, la società del tessuto socioeconomico, i fenomeni sociali delle metropoli occidentali, è liquida. Una società che viene cercata di indagare anche da una politica che, come detto, oggi più che mai si pone nella sfida di definire il concetto di cittadinanza. Un concetto questo messo a dura prova non solo dalle grandi ondate migratorie ma anche da differenti contraddizioni. E’ la lingua in tale contesto a rivestire un ruolo fondamentale di resistenza culturale contro l’uniformazione del mondo. Lingua dunque come resistenza simbolico- concettuale capace di creare un proprio spazio nell’immaginario collettivo. Agevolando le scelte identitarie che i soggetti compiono spesso in modo incoerente e in risposta della fine delle grandi narrazioni. Accanto a tali esperienze si sono affiancate, sino a poco tempo fa, le rappresentazioni che i media unidirezionali facevano dei vissuti individuali, espressione di scelte tattiche comunicative, che hanno dato luogo ad una decolonizzazione dell’immaginario frutto delle tecniche di rappresentazione dei media. Tuttavia questa rappresentazione tipica dei mezzi mainstream, compreso il web 1.0, deve oggi tenere conto delle nuove rappresentazioni del sé offerte dalle arene digitali del web 2.0. Arena mediatica in cui gli individui costruiscono la rappresentazione di sé in prima persona attraverso questi mezzi, raccontando la propria biografia in modo autografo. Un ritorno all’etica dell’estetica da parte di soggetti di fronte alla grave crisi con cui oggi bisogna fare i conti. Crisi non solo economica, ma valoriale. Le persone ricorrono spesso ai media come volano positivo. Rincorrendo caratteri che designano un ritorno ad ideologie che permeano una società fluida, una lingua sempre più frammentata come specchio di una realtà che si infrange nella rete virtuale. Divenendo quest’ultima terreno che ancora Mazzoli definisce “d’elezione all’interno del quale si giocano

le battaglie simboliche dell’oggi, prima ancora di quelle politiche, economiche e sociali”. Molti dei conflitti a cui si può assistere si generano inizialmente nell’arena della comunicazione e nella realtà aumentata. Le reti rappresentate da grafi, sono legate tra di loro da link che possono essere “causali o non causali”. Ogni nodo, poi, quando deve scegliere a chi connettersi, solitamente sceglie nodi che hanno un grande numero di link. Per quanto l’universo della rete sia complementare e parallelo a quello reale, ad esempio si è amici su Facebook ma non ci si riconosce nella vita reale. Ciò suggerisce una prima ipotesi: la rete è un ambiente sociale in cui ri-mediare le identità di ciascuno. Un’ulteriore ipotesi è che la rete può essere di fatto letta come un luogo di cittadinanza, in cui poter definire il proprio profilo, scrivere la propria identità, interagendo così con altri come “se si fosse in una modernissima agorà” (Mazzoli, 2010). La Rete diviene dunque il luogo ove esercitare un “ruolo civile istituzionalizzato” (ibidem, p.10). Spazio tra un macro e un micro link, detto altrimenti tra una dimensione macro sistemica ed una soggettiva, che diviene un modello che coniuga le dimensioni razionalizzanti e astratte dei sistemi sociali con elementi derivanti dalla creatività, imprevedibilità dei soggetti. Apportando un cambiamento culturale soprattutto grazie ai social networks. Micro link in cui i soggetti esprimono la propria consapevole intenzione a riconoscersi nelle rappresentazioni della società, del macro, attraverso la comunicazione. I sistemi sociali, politici, economici, della comunicazione, delineano i soggetti come consumatori o ancor meglio come pubblico nei media. Dal canto dei soggetti non solo accettano di essere rappresentati in qualità di consumatori di servizi, ma si comunicano a loro volta in tal modo. Infondo è ciò che ogni soggetto pratica quando costruisce un profilo sui social networks: decidendo la propria identità, le azioni e le affiliazioni. Scelte non neutre ma che implicano ulteriori decisioni (non casuali) da parte di istituzioni mediatiche ma anche politiche. Utenti autodefiniti tali perché è il sociale che lo fa (Jenkins, 2007). Relazioni inclusive che avvengono sulla base di una riflessività individuale su posizioni asimmetriche. Nella possibilità di osservare in tono critico ciò che accade nel mondo, nell’empowerment del cittadino, che è da intendersi come empowerment comunicativo. Di fatto i social networks, Facebook, Twitter, My Space, Youtube e altri, hanno dettato in molti casi le linee politiche non solo per le attività programmatiche ma anche per i contenuti ed i messaggi da diffondere. Come nel caso delle elezioni del presidente americano Barak Obama o del referendum italiano in difesa dell’acqua come bene comune. Con possibilità di replica quasi istantanea da parte degli utenti. Un mondo vitale che lascia il fianco a soggettività collettive, vite liquide che nascono e si costruiscono in parallelo con le forme della comunicazione. Così la forma digitale entra a far parte “del Dna dei soggetti” (Mazzoli, 2009). Nel caso della politica si verificano forme di “politica informale”, forme di partecipazione e associazione a legami deboli. (Guidicini, Mazzoli, 1986). Attraverso spazi virtuali in cui si costruiscono identità e relazioni, condivisioni di contenuto. Nuove forme di esperienza ove si rafforzano le capacità riflessive dei soggetti, che mettono in crisi il rapporto gerarchico tra soggetti e sistemi sociali. Questi ultimi sistemi sono esposti, come mai sino ad ora, a opinioni provenienti dal basso. Un empowerment comunicativo in virtù del quale i soggetti riflessivi sono capaci di attivare rapporti orizzontali con il macrosociale. Una nuova cultura

partecipativa, differente dalle forme di partecipazione sociale e politica tradizionali, espressione della capacità riflessiva offerta dai media ai soggetti, favorita dalle forme di connessione. Così se da un lato mercato e società civile si muovono al fine di ricostituire il bene comune e ridefinire una nuova “felicità” intesa, non più come un tempo, come maggior sviluppo maggior progresso, dall’altro sono proprio i nuovi media digitali il supporto e la realtà in cui si tenta un ritorno alla centralità delle relazioni. Ridefinendosi come nuovo spazio pubblico virtuale, ricordando come sottolineava Hanna Arendt (1994), che lo spazio della politica è lo spazio di “inter-esse” o “dell’essere fra”, il fatto dunque di esistere in uno spazio che è anche costitutivo di rapporti specificamente politici, di rapporti che si fondono tra i diversi attori. Infondo già con la modernità “pubblico” significava “aperto” o “accessibile a tutti”, come visibile e osservabile, in contrapposizione al privato inteso come nascosto alla vista, distinzione che rimanda a quella tra “pubblicità” e “riservatezza” (Thompson, 1998, p.178) che trova massima espressione con la nascita della stampa e nel suo pubblico di lettori, un “pubblico senza luogo” che aveva accesso alla cosa pubblica attraverso “la parola stampata” capace di stimolare relazioni “faccia a faccia”, conversazioni che se un tempo avevano inizio e continuazione nei “luoghi della socialità borghese” oggi si articolano in luoghi “altri”, virtuali. Qui i rapporti possono assumere anche forma politica, ricollocandosi all’interno di un sentiero segnato ancora da Arendt e che definisce “non politici” quei rapporti che si fondano su “essere la stessa cosa”, così che non è la fratellanza, quanto l’amicizia ad essere un legame specificamente politico, in quanto la politica è l’arte, essenzialmente, della pluralità. Pertanto è negli spazi di mediazione comunicativa che prende forma una cultura civica e un impegno civico che assumono nuovo vigore, dove cittadini creano i propri legami nella ragnatela delle reti di comunicazione virtuale “fare media” (Boccia Artieri, 2002-2004, 2009) nelle trame della cultura civile mediata dal computer “farsi media” (Boccia Artieri 2002-2004, 2009). Paul Virilio definisce il nuovo soggetto/individuo della networked society nei termini di un citizen terminal, un hub per differenti flussi e network. Wellman parla di un networked individualism e Manuel Castells mette l’accento su un individuo inserito in movimenti globali e locali che attraversano il nuovo spazio dei flussi al cui interno individui e gruppi si muovono (across place). Un complesso scenario, un “ecosistema” dove le nuove tecnologie della comunicazione, i soggetti e gli spazi interagiscono diventando agenti di nuove geografie e dinamiche della relazione tra presenza/assenza, reale/virtuale, privato/pubblico, individuale/individualismo, collettivo/glocale.

Nei suoi studi Habermas (2002), attraverso l’analisi della sfera pubblica borghese, ha messo in luce i fondamenti di razionalità legittimità dello stato democratico a partire dall'istituzione della discussione critica tra gli individui, che prescinde dalla tradizione o dalla condizione sociale dei cittadini, e si basa sulla sola forza dell'argomentazione razionale. Ma proprio il confronto critico e razionale tra differenti punti di vista e la scelta che viene di conseguenza è data dall’argomento trattato in seno alla discussione. Non l’influenza della persona che argomenta. Quando questi presupposti, che fondano lo spazio pubblico, entrano in crisi è sintomo di trasformazioni socioeconomiche della società. La sfera pubblica si espande nelle democrazie di massa, includendo sempre più

partecipanti. Spesso nella perdita della qualità dei rapporti politici in cui manca un reale confronto politico. Allontanandosi dall’interpretazione che si è andata diffondendosi a partire dal sedicesimo secolo di “pubblico” inteso come attività legate allo Stato in contrapposizione a “privato” di cui fanno parte le sfere di vita escluse o indipendenti (Thompson, 1995). La sfera pubblica connessa non può oggi non ricoprire un ruolo di integrazione della società, soprattutto come rappresentazione della rete di relazioni digitali che integra, nel confronto, la diversità degli individui nella propria comunità politica. L’azione comunicativa, intesa come pratica di confronto pubblico, teorizzata ancora da Habermas (2002), è uno dei modi possibili attraverso cui si possono coordinare le vite degli individui. Ma la sfera pubblica mediata diviene l’arena del pubblico dibattito in cui possono essere discusse questioni di interesse generale e dove le opinioni che si formano si svincolano dal controllo e manipolazione dei mass media, ritrovando le forme di una discussione aperta e razionale in cui gli individui si incontrano tra eguali. La Comunicazione Mediata da Computer in Internet, ancor meglio nel web 2.0, si riconosce come uno spazio di pubblico dibattito, in cui narrare, comparare, dissentire, contronnarrando, condividendo opinioni comuni, includendo tutti nella narrazione/ascolto. Così che la sfera pubblica mediata, tanto quanto la sfera pubblica, favorisce lo sviluppo iniziale della democrazia. Una ideologia che si alimenta in una “concezione neutrale” (Thompson, 1995) per cui sussiste l’influenza delle idee su credenze e azioni a cui si contrappone e contrasta quella “concezione critica” posizionandosi a sfavore (ripercorrendo il filone ideologico di Karl Marx) di classi dominanti che ancora controllano le idee che circolano nella società e che giustificano la loro posizione di dominio.

"Il fatto di avere e di esercitare la possibilità di partecipare alle decisioni collettive che influiranno sulle nostre azioni o sulle condizioni delle nostre azioni promuove lo sviluppo della capacità di riflettere sui nostri bisogni in relazione ai bisogni altrui, di interessarci del rapporto che altri hanno con le istituzioni sociali, di ragionare e di discutere in modo dialettico e persuasivo, e così via . Solo tale tipo di partecipazione, inoltre, può darci il senso di essere in un rapporto attivo con le istituzioni e i processi sociali, il senso che le relazioni sociali non sono fissate dalla natura ma si possono inventare e modificare. Le virtù del cittadino si possono coltivare solo esercitandole".

Di fatto la sfera pubblica borghese ha inizio nel momento in cui un pubblico di privati discorre in modo critico e razionale su questioni politiche per portare ad un’azione statale. Per Primera anche il vagare all’interno di una metropolitana può diventare sfera pubblica per la capacità dei cittadini di contare su argomentazioni genericamente e concettualmente rilevanti. Nel momento in cui la sfera pubblica, come società civile in generale, si contrappose allo Stato, definendolo, in contrasto ad essa, come spazio impersonale dell'autorità, la sfera privata della società assunse una rilevanza pubblica (Habermas, 2002; Arendt, 1994). La società civile, infatti, prendeva forma in antitesi all'autorità statale depersonalizzata, mentre una particolare élite emancipata arrivava a pensare se stessa sia come parte essenziale del pubblico che come controparte della pubblica autorità. La sfera pubblica

borghese, nel campo di tensione tra stato e società, istituzionalizzava la pratica del discorso critico razionale sulle questioni politiche come innovativa pratica decisionale. Il confronto, volto all'interesse generale, non doveva essere distorto da interessi particolari per condurre, secondo ragione, la collettività al vero. Il "vero" non discendeva dall'irrazionalità di regole imposte dall'alto dell'autorità pubblica o dalla pratica dell'imposizione unilaterale, ma dal dibattito critico razionale che elaborava le leggi generali di governo. L'arma più efficace adottata dalla borghesia in questo confronto politico fu il pubblico uso, da parte degli individui, della loro ragione.

"Sviluppare la riflessione collettiva sugli autentici bisogni sociali, sottraendola agli imperativi dei falsi bisogni e del consumismo, significa, per Habermas, contrapporre alla razionalità tecnologica (ideologicamente strumentalizzata dal dominio) l'organizzazione sociale di zone sempre più estese di razionalità discorsiva. Il consenso democratico, inteso secondo l’accezione weberiana di consensus, che dà legittimità alle istituzioni politiche, si realizza in processi di comunicazione simbolica e formazione collettiva della volontà che devono essere idealmente sottoposti ai criteri normativi che guidano ogni razionalità discorsiva: accesso illimitato dei partecipanti e assenza di coazione. "Questo obiettivo, però, secondo Habermas non può essere realizzato nella negazione delle grandi organizzazioni sociali, come propone la teoria liberale, che immagina una sfera pubblica occupata solo da individui privati autonomi, senza grandi organizzazioni e senza divisioni (scontri) di interessi, che impediscono una chiara identificazione del bene generale . Nelle democrazie di massa dello stato sociale assistenziale, secondo Habermas, istituzionalizzare l'idea di pubblicità critica è possibile solo attraverso una "razionalizzazione dell'esercizio del potere sociale e politico" sotto il controllo comune di organizzazioni in competizione, esse stesse sottoposte all'obbligo della trasparenza riguardo la loro struttura interna, i momenti di interazione reciproca e soprattutto riguardo la loro interazione con lo stato. L’ironia, la creatività, spesso anche le prese in giro, conquistano il loro spazio. Ma, soprattutto, a essere diversi sono i modi e i tempi del dibattito politico. Innanzitutto, al di fuori della Rete ci si scontra con un’ormai cronica incapacità delle nostre democrazie di coinvolgere i cittadini sui temi politici. Ovunque si lamenta indifferenza e si annota che la maggior parte degli individui è incapace di inquadrare i problemi e di ricostruire anche solo i temi più importanti

Processo che si configura nella neutralizzazione/riconfigurazione del confine fra sfera pubblica e sfera privata. Una reinvenzione della sfera pubblica creazione di nuove forme di vita pubblica. Poiché al di fuori della sfera dello stato si è formata oramai da tempo una vivace cultura politica. Già con le prime

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