• Non ci sono risultati.

Dalla crisi di metà decennio al boom delle prime vision

Cap I: Quadro storico del panorama produttivo italiano (1919-1965)

I.4. Dalla crisi di metà decennio al boom delle prime vision

Per la prima volta, nel 1956 i biglietti venduti iniziano a calare, mentre contestualmente si verifica anche un brusco rallentamento della produzione: dopo anni di crescita ininterrotta si produce così una nuova crisi, le cui ragioni sono complesse e i cui effetti in alcuni casi prendono pieghe drammatiche.

La storiografia36 concorda in genere nell’individuarne la causa scatenante nel vuoto legislativo che si verifica allo scadere della legge Andreotti, nel 1954: i benefici garantiti da quest’ultima vengono infatti percepiti dall’ANICA come una condizione indispensabile per la sopravvivenza della produzione, e il fatto che la legge venga semplicemente prorogata di anno in anno senza venire sostituita da un altro intervento a lungo termine genera un’atmosfera di sfiducia, che frena le iniziative private. La legge 897 del 31 luglio 1956, che conferma con minime modifiche la precedente37, viene così accolta come una benedizione e ha l’immediato effetto di ristabilire l’antica curva di crescita, mentre contestualmente arrivano segnali rassicuranti anche sul fronte della vendita dei biglietti.

Tuttavia vi è un altro elemento da tenere in considerazione:

Le ragioni specifiche di questa crisi, peraltro, restano un po’ vaghe. Riferendosi più a tendenze generali che italiane si è parlato della concorrenza della tv, che tuttavia in Italia ha iniziato le

35 Per le vicende dell’IFE si rimanda a Q

UAGLIETTI (1980).

36

In particolare QUAGLIETTI (1980) e CORSI (2001). SPINAZZOLA (1974), invece, ritiene che la flessione della vendita dei biglietti sia stata generata dall’ingordigia degli esercenti i quali, negli ultimi anni, avrebbero aumentato in maniera ingiustificata e sproporzionata il costo degli ingressi; BIZZARRI (1979) sottolinea al contrario il ruolo che avrebbero avuto la diffusione della televisione e la contestuale maggiore offerta del settore dell’intrattenimento, elementi che vengono normalmente utilizzati per spiegare la flessione degli introiti delle industrie cinematografiche negli Stati Uniti del dopoguerra.

37 Eliminando da una parte i criteri di discrezionalità nell’assegnazione dei premi, e dall’altra aumentando

il controllo politico, dal momento che tra i documenti da presentare per richiedere i benefici di legge è ora prevista anche la sceneggiatura del film.

35

programmazioni regolari solo nel 1954 e ha in questi anni una diffusione ancora molto limitata. […] Il direttore della SIAE Antonio Ciampi in un suo intervento del 1956 ne indica però anche di più concrete e più legate al sistema produttivo: la contrazione del credito bancario, l’aumento eccessivo dei costi, la “inflazione della circolazione filmistica” e lo “spezzettamento delle imprese, talvolta improvvisate per la produzione di un singolo film” (Farassino 2004, 408)38

La sovrabbondanza dell’offerta cinematografica, dovuta ai benefici della legge Andreotti, paradossalmente si rivela essere letale proprio per gli organismi più robusti dell’assetto industriale. I caduti sono infatti eccellenti: mentre la Scalera aveva già chiuso i battenti nel 195239, tra il 1955 e il 1956 si assiste al ritiro dalla produzione della Lux, al fallimento dell’Excelsa/Minerva40 e alle ultime uscite della statale Cines, che verrà liquidata nel 1958. Le ragioni della fragilità delle case di produzione di maggiori dimensioni andranno analizzate in seguito, in rapporto all’evoluzione dei modi di produzione in Italia e all’estero; per ora occorre notare come la crisi abbia l’immediato effetto di provocare dei cambiamenti di strategia da parte di quelle società che, come la Titanus, rimangono invece in campo: dopo una prima fase, segnata da una maggiore cautela e dal ritorno a lavori di basso profilo (e quindi a basso rischio) si assiste a un rinnovato impulso all’internazionalizzazione del mercato e alla realizzazione di superproduzioni, prodotti più costosi e spettacolari che facciano la differenza rispetto alla miriade di film a basso costo diffusi nelle sale.

Questo cambiamento di politica è d’altra parte coerente con i profondi mutamenti che a cavallo tra i due decenni investono la domanda, la quale non solo aumenta sensibilmente, ma sembra orientarsi maggiormente verso prodotti di qualità:

All’aumento dello standard di qualità dei prodotti si accompagna un implemento sia della

quantità, sia della qualità della domanda. Invertendo una tendenza alla contrazione che già si fa

sentire nella seconda metà degli anni ’50 […], quello che si reca al cinema nei primi anni ’60 è ancora un “grande pubblico”, di circa due milioni di spettatori al giorno, un pubblico non ancora decimato dalla televisione e giustamente “di massa”, trasversale alle classi, indifferente alla collocazione geografica o all’età. Il cinema resta la voce principale nel consumo di spettacoli nel primo quinquennio dei ’60, assorbendo oltre il 54 per cento del capitale complessivamente investito. Inoltre il favore del pubblico si sposta progressivamente dai film americani […] ai film italiani. Il 1962 è l’anno del “sorpasso” del cinema italiano sul cinema americano. […] Questo miglioramento del profilo dello spettatore medio è forse in parte una conseguenza del processo selettivo innescato dallo sfruttamento sempre più intenso ed esclusivo delle sale di prima visione (che porterà nel giro di pochi anni alla scomparsa delle sale di seconda e di terza visione e allo spostamento del loro pubblico verso la televisione), ma anche di una diversa disposizione del pubblico verso l’esperienza di consumo. (Fanchi 2001, 344-345).

Lo spostamento dei grandi incassi dal cinema americano a quello italiano, e dai prodotti di basso profilo al cinema di qualità, è un dato incontrovertibile rilevato già da Spinazzola (1974): è un fenomeno che permette alle case di produzione maggiori di concentrarsi soprattutto sul circuito di prima visione, il quale permette un più rapido recupero delle spese di realizzazione e conseguentemente di diminuire l’esposizione finanziaria delle società; ma è anche una strategia che premia quei piccoli soggetti i quali decidono di investire in produzioni prestigiose e quindi remunerative anche sulla lunga distanza, come fanno la Vides di Franco Cristaldi e, nella prima fase della sua

38 Il documento citato da Farassino è C

IAMPI (1956).

39 Sebbene per motivi estranei alla crisi e legati piuttosto a scelte estetiche troppo appiattite sui canoni

della produzione prebellica e su di una politica delle superproduzioni troppo rischiosa. Cfr. CORSI (2003a, 393-397).

40 Le cui cause sono legate tuttavia a problemi inerenti il noleggio piuttosto che la produzione, ovvero alla

fine della concessione per lo sfruttamento delle opere della London Films di Alexander Korda, la quale viene acquistata dalla britannica Rank che ha già le proprie agenzie sul mercato italiano.

36

storia, la Arco Film di Alfredo Bini. Inoltre Cosulich (2001a, 481-482) sottolinea ancora – seppure non siano disponibili dati precisi – come siano soprattutto i film italiani d’autore a farsi strada nei mercati esteri più prestigiosi, da quello nordamericano a quello francese.

Queste analisi sembrano però trascurare due fattori: in primo luogo, in questi stessi anni si assiste anche a un rinnovo del panorama dei generi, sempre più caratterizzato da una serie di cicli – o “filoni”, come preferisce la critica italiana – che constano di moltissimi esemplari prodotti da una miriade di piccole case all’interno di un periodo relativamente circoscritto. Perciò, mentre nelle sale di prima visione trionfano prodotti di qualità medio-alta41 come il cinema d’autore e la nuova commedia italiana degli anni ’60 – la quale differisce da quella del decennio precedente per forme e pubblico di riferimento – così come prodotti meno sofisticati quali il documentario sensazionalista, inaugurato da Europa di notte (Alessandro Blasetti, 1959) e proseguito prima da una pletora di film sui divertimenti notturni delle capitali europee e poi dai film di Gualtiero Jacopetti (a partire da Mondo cane, Paolo Cavara, Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi, 1962)42, negli altri circuiti – che non scompariranno completamente fino agli anni ’70 inoltrati – si assiste ad esempio alle epopee del peplum – diffuso approssimativamente tra il 1957 e il 1963 – o del western, i cui anni di maggiore fortuna vanno dal 1964 al 1970. In secondo luogo, anche questi prodotti trovano facilmente spazio nei circuiti minori delle altre nazioni europee, così come in quelli del nord America43, ma soprattutto continuano a fiorire a prescindere dai risultati commerciali delle singole pellicole, dal momento che i benefici statali, anche dopo il varo della legge n. 1213 del 4 novembre 1965, continuano a favorire le speculazioni44 e di conseguenza la sovrapproduzione.

Sulla lunga distanza, insomma, la politica dei film destinati ai circuiti di prima visione, che viene perseguita dalle case italiane a partire dalla fine degli anni ’50 in poi, non sembra favorire le società più grandi: in mancanza di un mercato altrimenti disciplinato, gli aiuti statali che i produttori si ostinano a voler mantenere si rivelano essere un’arma a doppio taglio perché aumentano la concorrenza, mentre i film di maggiore spettacolarità comportano investimenti ad alto rischio che non sempre rientrano in tempi brevi. Tra la metà e la fine degli anni ’60 si assiste così al ritiro dalla produzione di quei soggetti che con più decisione avevano puntato proprio su di una produzione di qualità e sull’internazionalizzazione dei propri mercati di riferimento: il ramo produttivo della Titanus chiude nel 1964, quello della Galatea nel 1965, le società cinematografiche di Rizzoli non sopravvivranno alla morte dell’editore (1970) e anche De Laurentiis, dopo la fallimentare esperienza degli studios «Dinocittà», si trasferirà definitivamente negli Stati Uniti a partire dal 1971.

Le ragioni della debolezza delle maggiori case di produzione italiane vanno però indagate anche a livello dei modi di produzione utilizzati: è perciò il caso di ripercorrere la storia della Titanus e poi di esaminare la sua struttura in relazione a quella delle principali case concorrenti.

41 Il termine “qualità”, utilizzato da entrambi gli studiosi, è però abbastanza generico, in quanto può

riferirsi in maniera piuttosto ambigua sia al valore estetico che ai valori di produzione del singolo prodotto.

42 Per un’analisi del panorama dei generi del cinema italiano degli anni ’60, seppure viziata da un

atteggiamento denigratorio talora fuori luogo, si veda MICCICHÉ (1975). È comunque assodato che questi prodotti riscuotevano un grande successo principalmente presso il pubblico borghese dell’Italia settentrionale, cfr. RISÉ (1964).

43 Per esempio, per la penetrazione dei peplum della Galatea negli Stati Uniti si veda V

ENTURINI (2001).

44 Per un esame delle ragioni che fanno della legge «Corona» una “legge tradita” si veda Corsi (2001,

37