Cap V: La Titanus e il neorealismo
V.1. Il cinema dell’ANPI e Giuseppe De Santis
Non è del tutto chiaro quale sia stato l’esatto ruolo della Titanus nella realizzazione di
Giorni di gloria, ma il fatto stesso che la compagnia vi abbia legato il proprio nome
pone una serie di questioni interessanti, data la natura eccezionale dell’opera. In primo luogo, Giorni di gloria è un oggetto che è stato visto pochissimo negli anni successivi alla sua uscita, è sopravvissuto in poche copie conservate all’interno di archivi legati alla memoria storica della Resistenza e soltanto di recente, nel 1996, è tornato a circolare grazie al restauro effettuato dal Centro sperimentale di cinematografia- Cineteca nazionale, in collaborazione con l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e l’ANPI (Associazione nazionale partigiani d’Italia)259: un oblio durato cinquant’anni,260 del quale è forse responsabile l’asperità e la violenza del materiale del quale il film è composto. In secondo luogo questo documentario, prodotto dalla stessa ANPI, è il primo film – insieme a Roma città aperta (Roberto Rossellini, 1945), che
259 Cfr. C
ALZINI (1998). Il film nell’A.A. 2003-2004 è anche stato oggetto di un seminario che ha coinvolto la Videoteca del Consiglio regionale dell’Emilia Romagna, l’Istituto storico Parri, la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna e il DAMS dell’Università di Bologna (cfr. SERVETTI –ASQUINI:2004).
260 Si noti in proposito che anche nella bibliografia riguardante il film sussiste un considerevole gap tra gli
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esce nelle sale poche settimane prima di Giorni di gloria – a offrire una rappresentazione “a caldo” della Resistenza italiana e a tentare di edificarne un’immagine epica, alla quale negli anni successivi si conformeranno le rappresentazioni della lotta di Liberazione che appariranno nei diversi media261. Infine,
Giorni di gloria è l’unico documentario di rilievo realizzato da soggetti strettamente
legati al neorealismo262: come è noto, infatti, sebbene il movimento si proponesse esplorare la quotidiana vita nazionale nella maniera più immediata possibile, al suo interno non è mai esistita una vera e propria scuola documentaristica263. Un ultimo elemento che rende Giorni di gloria un’opera di profondo interesse consiste nel fatto che, sebbene sia firmato dal solo Serandrei, la sua natura è quella di un’opera collettiva alla quale hanno partecipato altri tre cineasti (Marcello Pagliero, Giuseppe De Santis e Luchino Visconti) nonché il principale teorico del neorealismo stesso (Umberto Barbaro, autore del commento insieme a Umberto Calosso, voce di Radio Londra): una rosa di nomi che evidenzia quanto sia una forzatura l’abituale esclusione del film dalla letteratura dedicata al movimento, e come invece sia un’opera chiave per comprendere il passaggio tra la sua fase pre-bellica, rappresentata in primo luogo da Ossessione (Luchino Visconti, 1943), e quella postbellica che ha inizio con l’uscita di Roma città
aperta.
Rivisto oggi, Giorni di gloria si rivela essere un’opera estremamente eclettica e disomogenea, come già era stato rilevato da alcuni recensori dell’epoca264. Ciò deriva evidentemente dalla molteplicità di materiali dai quali essa è originata: infatti Giorni di
gloria è sostanzialmente un film di montaggio, costituito tanto da girato preesistente
quanto da riprese effettuate in funzione della realizzazione del film. Alla seconda categoria appartengono ad esempio alcune ricostruzioni di azioni dei Gap265 firmate da Giuseppe De Santis, realizzate con uno stile evidentemente debitore del cinema
261 Per la dimensione mitopoietica di Giorni di gloria e le modalità con le quali essa raggiunge il proprio
obiettivo si veda RANZATO (1998).
262 Con l’eccezione, soltanto parziale, di Gente del Po (Michelangelo Antonioni, 1948): infatti, sebbene
quel film denunci una notevole consonanza con il cinema del movimento (così come accadrà per altri documentari di Antonioni), risulta tuttavia difficile poter considerare il regista ferrarese un membro a pieno titolo della temperie neorealista.
263
«[Il documentario dei vari Ivens, Flaherty, Vertov, Ruttmann, Grierson e Vigo], spazzato via in capo a qualche decennio dallo sviluppo progressivo del realismo cinematografico con il suo “verismo” addomesticato, non ha trovato neppure nell’Italia della ricostruzione postbellica o della contestazione studentesca-operaia del 67-69 grandi interpreti al di fuori del ghetto della specializzazione di genere, e tantomeno ha mai visto profilarsi qualcosa di simile a una “scuola” nazionale. Dal momento in cui i registi sono scesi per le strade a procurarsi uno scenario oggettivo per fornire verità attuale ai loro copioni sul modello di un Rossellini ridotto in pillole, la funzione del documentario ha finito più o meno con l’atrofizzarsi, regredendo ad un livello decorativo da attualità dei Lumière, o recuperando con intento eversivo, sotto l’egida dell’infaticabile neorealista Cesare Zavattini, l’idea del “cinegiornale” come contro-informazione.» MURRI (2001, 86-87).
264 Si può citare la recensione di Antonio Pietrangeli, che sottolinea come «comporre in un corpo coerente
e compatto, dare unità narrativa a un materiale così frammentario [fosse] compito difficilissimo», portato a termine però brillantemente nonostante che «migliori possibilità, maggiore spazio di tempo disponibile avrebbero evitato a Serandrei e De Santis alcuni fin troppo evidenti errori» (PIETRANGELI 1945). All’estremità opposta dello spettro politico italiano Mino Caudana – futura firma de «Il Borghese» – scriveva: «[Giorni di gloria] vorrebbe essere una sintesi dell’ultima, tragica epopea degli Italiani; ma non potremmo giurarvi che si tratti di un’ambizione soddisfatta. A brani d’indubbia efficacia documentaria seguono, in Giorni di gloria, pezzi evidentemente “fasulli”; e lo sbalzo di temperatura è sempre avvertito da quegli spettatori che non indulgono volentieri alla facile retorica.» (CAUDANA 1945, 3)
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gangsteristico americano266. Del primo gruppo fanno invece parte materiali di diversa provenienza: per esempio filmati realizzati dal PWB267 dell’esercito alleato – che spesso erano a loro volta costituiti dalle riprese di missioni già concluse e rimesse in scena a beneficio della macchina da presa; oppure girato confiscato alle truppe nazi-fasciste, o infine riprese effettuate – prima e indipendentemente dal progetto di Giorni di gloria – da Luchino Visconti (la documentazione effettuata, nel 1944 e per conto del PWB, del processo a Pietro Caruso268 e della sua esecuzione nonché, nel 1945, della fucilazione di Pietro Koch269) e da Marcello Pagliero (le riprese del recupero dei cadaveri dei martiri delle Fosse Ardeatine). A dare unità alle diverse parti interviene, oltre al montaggio eseguito da Serandrei in collaborazione con Giuseppe De Santis, il commento di Barbaro e Calosso: come nel primo documentario sonoro – e in particolare come nei cinegiornali fascisti, dei quali Giorni di gloria segue inevitabilmente l’impostazione retorica270 – il parlato serve a dare un’unità e un senso alle immagini, che spesso costituiscono una mera illustrazione delle argomentazioni della voice over, con l’importante eccezione delle riprese effettuate da Visconti che sono invece caratterizzate dall’uso del sonoro in presa diretta.
Un aspetto controverso della vicenda produttiva del film riguarda il reale apporto fornito dalla Titanus: mentre alcune fonti271 accreditano la compagnia di Lombardo come coproduttrice del film, Musumeci considera all’opposto un dato curioso il reperimento, nell’iscrizione alla SIAE del film
[dell’indicazione] della Titanus, tout court, quale “produttrice” del film: in realtà, dai documenti finora noti, non sembra che la società romana, fino al settembre 1945, quando il film fu ultimato nella sua veste definitiva (nella quale, come vedremo, erano, a un certo punto, confluiti almeno due preesistenti progetti, originariamente separati272) sia stata in alcun modo coinvolta nella realizzazione del film; quando, nell’autunno, entrò in scena, risultò investita del solo compito della distribuzione. (Musumeci, 56-57).
266 In proposito F
ARASSINO (1978, 18) scrive: «suo è nel film, insomma, ciò che più evidentemente è finzione, messa in scena, e la cosa appare emblematica, sia per la carriera futura di De Santis sia per tutto il cinema italiano resistenziale.»
267 Il Psychological Warfare Branch (traducibile come “Divisione per la guerra psicologica”) era quel
settore dell’esercito alleato che si occupava della gestione dei mezzi di comunicazione (e perciò della propaganda) nei territori occupati durante e immediatamente dopo la seconda guerra mondiale.
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Questore di Roma al tempo dell’occupazione nazista. Durante il processo venne linciato l’ex direttore del carcere di Regina Coeli: le cineprese disposte nell’aula e fuori dal tribunale da Visconti ripresero l’accaduto, tuttavia il montato si ferma nel momento in cui l’uomo viene portato via dalla folla. Per un esame dell’apporto di Visconti a Giorni di gloria si veda MUSUMECI (2000).
269 Capo di un reparto speciale di polizia della Repubblica Sociale Italiana (detto “Banda Koch”), Pietro
Koch divenne tristemente famoso per le torture inflitte ai suoi prigionieri, tra i quali figurò anche, per un breve periodo di detenzione, lo stesso Visconti. Secondo le testimonianze dell’attrice, il regista sarebbe stato rilasciato su richiesta di Maria Denis, amica dell’aguzzino.
270 «La prima ondata [di documentaristi del periodo postbellico] conta molti esordi di giovani registi
(spesso arenatisi all’opera prima) nell’arco di una decina d’anni ma, salvo alcuni tentativi d’eccezione, risulta nel suo modello espressivo sostanzialmente non molto distante dall’estetica dei cinegiornali Luce. Al fondo della maggior parte di simili produzioni resta cioè intatto un “contenutismo” che si limita a contrapporre verbalmente alla retorica dannunziana dell’epoca fascista i retaggi severi dell’idea nazional- popolare gramsciana. […] Un lavoro che fa da matrice a diversi altri su questo piano è quello di Giorni di
gloria (1945).» MURRI (2001, 88).
271
BERNARDINI –MARTINELLI (1986);LUSETTI (1981);le pagine dedicate al film negli archivi del sito de «La rivista del cinematografo» (http://www.cinematografo.it/) e dell’archivio dell’Anica (http://www.anica.it/archivio.htm).
272 Musumeci fa qui riferimento alle riprese di Visconti e Pagliero, che interviste apparse sulla rivista
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Che fosse effettivamente coproduttrice o solamente distributrice, si tratta però di capire il perché la casa di Lombardo abbia partecipato alla realizzazione di un film simile, in un momento in cui il suo catalogo, nel 1945, è caratterizzato dalla continuità rispetto alla produzione prebellica – gli altri due film da essa distribuiti in quello stesso anno, La carne e l’anima (Vladimir Strichewsky) e Storia di una capinera (Gennaro Righelli), sono infatti stati realizzati prima della fine del conflitto. Si è già fatto cenno alle simpatie socialiste della famiglia Lombardo, tuttavia difficilmente ciò spiegherebbe la sua adesione a un film celebrativo nei confronti della Resistenza, che prevedibilmente non avrebbe realizzato alti introiti e che contrasta con la generale cautela dimostrata dalla casa romana nei confronti della politica prima e dopo la guerra. Inoltre, come si è già sottolineato in precedenza, Giorni di gloria è un documento insostituibile proprio per la violenza e per l’atteggiamento anti-conciliatorio con cui sono trattate le ultime fasi della Liberazione: si vedano in particolare le sequenze girate da Visconti, nelle quali è possibile vedere la prima fase del linciaggio di Carretta – direttore del carcere di Regina Coeli durante l’occupazione nazista – o la fucilazione di Caruso e di Koch; oppure le riprese effettuate da Pagliero, nelle quali vengono mostrati i cadaveri dei martiri delle Fosse Ardeatine. Una spiegazione per il coinvolgimento della compagnia può essere forse individuata nella volontà di far dimenticare gli incarichi ufficiali ricoperti in epoca fascista da Gustavo Lombardo all’interno di alcune istituzioni legate all’industria cinematografica273: in questo senso si potrebbe ribaltare la frase di Bernardini e Martinelli ([1986] 2004, 92) secondo cui Giorni di gloria costituirebbe «il tributo molto interessante, che Lombardo paga al nascente neorealismo italiano» e vedere invece nel film un pegno, un po’ opportunista, pagato alle forze sostenitrici della Resistenza in modo da far dimenticare i passati rapporti con il regime274. Tanto più che Sanguineti, parlando del lungo rapporto che lega il montatore Serandrei alla casa di produzione, ricorda come esso ebbe inizio proprio con l’esperienza di questo film, a cui la Titanus partecipò in quanto un’istituzione governativa le fece un’offerta che non si poteva rifiutare:
Mario Serandrei lavora [per la Titanus] dalla fine di settembre del ’45. Da quando il Ministero per le Terre Occupate affida alla ditta della famiglia Lombardo lo sfruttamento di un film di montaggio sulla resistenza già praticamente ultimato, Giorni di gloria di Visconti-Pagliero-De Santis-Serandrei in cui la Titanus diventerà tout court, a livello filmografico, una specie di produttrice ex post. (Sanguineti 2001, 273)275
L’apporto della Titanus a Giorni di gloria, quali ne fossero le modalità e le motivazioni, è tuttavia importante anche per un secondo aspetto, in quanto questa
273 «[Lombardo] dal 1926 è nel direttivo della nuova Federazione nazionale fascista degli industriali dello
spettacolo, che riunisce produttori, noleggiatori ed esercenti; e dal 1934, nella nuova Corporazione dello Spettacolo, egli rappresenterà le imprese di produzione nel consiglio generale; sarà inoltre presidente del Comitato Nazionale Esercenti Cinema e membro della giunta esecutiva della Federazione nazionale fascista degli industriali dello spettacolo.» BERNARDINI –MARTINELLI ([1986]2004,71).
274 De Santis si spinge oltre, sottolineando come «si trattò di una scelta politica non facile e senz’altro
coraggiosa anche per una casa di produzione-distribuzione di grande prestigio come la Titanus. La decisione di distribuire due film [Giorni di gloria e Caccia tragica] di impostazione chiaramente di sinistra, anzi marxista, appare legata, comunque, al clima particolare che si era creato nell’immediato dopoguerra quando le forze della sinistra erano appena uscite dalla Resistenza. Nella scelta di Lombardo si può leggere, forse, anche la volontà di prospettare un futuro di distribuzione alla sua casa nell’eventualità che le sinistre prendessero il sopravvento. Cosa che, come si sa, non avvenne.» (BARLOZZETTI 1986, 31).
275 Vale la pena di sottolineare come il testo di Sanguineti sia completamente privo di note, e come sia
perciò impossibile verificare se il coinvolgimento della Titanus da parte del Ministero per le Terre Occupate – peraltro accreditato tra i produttori del film – sia realmente avvenuto a film finito.
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produzione instaura un primo contatto tra la casa e il quasi esordiente Giuseppe De Santis. Il regista ciociaro, come si è visto, aveva preso direttamente parte alla realizzazione del film: in primo luogo aveva girato ad hoc alcune sequenze fortemente influenzate dal cinema americano e in particolare dal noir276 – un genere che, come si è visto, contagerà buona parte della produzione melodrammatica della casa romana; in secondo luogo, De Santis aveva collaborato anche ad alcune delle riprese effettuate dai propri colleghi, ma è difficoltoso stabilire l’esatta misura del suo apporto, a causa di incongruenze riscontrabili nelle fonti circa l’attribuzione delle riprese effettuate alle Fosse Ardeatine. La già citata recensione di Pietrangeli (1945, 7) attribuisce con sicurezza quel segmento a Pagliero, così come fanno anche Calzini (1998, 39-40) e Farassino (1978, 18); Giuseppe De Santis, invece, rievocando la vicenda in due diverse occasioni, si contraddice. In un suo recente scritto sul film, questi racconta:
Io girai parte delle riprese alle Fosse Ardeatine e cioè le interviste ai parenti delle vittime. Girai all’esterno perché non ebbi proprio il coraggio entrare dentro alle fosse, avevo perso molti compagni, molti amici, c’erano sette, otto nostri compagni là dentro. Quella parte la girò Marcello Pagliero – grande amico di Rossellini, a suo modo un personaggio rosselliniano, un bohemién sempre a caccia di donne e di soldi – con l’operatore Carlo Carlini. (De Santis 1998, 22-23)277.
Nella stessa occasione De Santis racconta anche di essere stato incaricato in prima battuta anche di riprendere la fucilazione di Caruso – realizzata da Visconti – ma di non essere riuscito a giungere in tempo per effettuare le riprese278. Tuttavia in un’intervista lo stesso De Santis rimuove ogni riferimento al contributo di Pagliero, attribuendo solo a sé e all’operatore Carlini la paternità delle riprese effettuate alle Fosse Ardeatine:
Personalmente girai tutto il pezzo alle Fosse Ardeatine, nonché le interviste ai famigliari dei caduti, con l’aiuto dell’operatore Carlini. Ricordo che alle Ardeatine, quando entrai là dentro e sentii proprio l’odore della morte, fui colto da una commozione talmente intensa che, appena stabilita l’inquadratura, dovetti uscirmene alla luce e lasciai il compito di proseguire a Carlini. (Faldini – Fofi 1979, 118-119).279
Un dato, questo, che è indicativo al tempo stesso della difficoltà di attribuire una paternità ai singoli elementi di cui è composto il film ma al tempo stesso evidenzia la tendenza di De Santis ad attribuire a se stesso anche parte del lavoro dei propri
276 «C’è un motivo “storico” che spiega perché tutti i primi film di De Santis sono anche delle gangster-
stories. All’interno della strategia neorealista, che ambiva a portare sullo schermo tutte quelle realtà che ancora non vi erano apparse, il banditismo si poneva come un tema particolarmente carico di necessità: alludeva a un fenomeno sociale vivo nel dopoguerra e nello stesso tempo risarciva il cinema dalle vecchie proibizioni fasciste di mostrare il malessere sociale e il suo sbocco violento e illegale.» (FARASSINO 1978, 72). Si è visto nei precedenti capitoli come questa strategia neorealista avesse avuto un esito più marcatamente sensazionalista all’interno del cinema italiano mainstream.
277 Nel volume non viene chiarito a quando risalgano queste dichiarazioni: se cioè sia uno scritto postumo
del regista che era deceduto nel 1997 – come sembra possibile, dal momento che il saggio è incentrato in massima parte sulla figura di Serandrei – oppure se si tratti della riedizione di un contributo precedente.
278
Nella ricostruzione dell’apporto di Visconti al film, operata da MUSUMECI (2000), non si fa invece alcuna menzione a quest’episodio.
279 È la versione che riporta, senza ulteriori indagini, anche M
ASI (1982, 32-33). RONDOLINO (1998, 26) è tra i primi a rilevare tale discrepanza e a mettere in dubbio la veridicità di quest’ultima versione, anche a causa della giovane età che doveva avere a quel tempo l’operatore Carlini; tuttavia lo studioso attribuisce le imprecisioni alla difficoltà di attribuire meriti individuali alla realizzazione di un film per sua natura collettivo come il presente. Le fonti in merito alla realizzazione del film vengono raccolte con una certa completezza anche da TAGLIATINI (2004).
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collaboratori280, come si vedrà in seguito a proposito della sceneggiatura di Roma ore
11.
In terzo luogo, infine, De Santis ha collaborato al montaggio del film in coppia con Serandrei, anche se lo stesso regista ci tiene a sottolineare che la maggior parte del lavoro è stata svolta dal grande montatore. Il primo contatto della Titanus con un film legato al movimento neorealista avviene quindi in occasione delle ultime fasi del praticantato cinematografico di De Santis (iniziato già prima della guerra sul set di
Desiderio, 1946, girato in parte da Rossellini nel 1944 ma concluso in seguito da
Pagliero), mentre un secondo contatto avviene subito dopo in occasione dell’esordio nel lungometraggio del regista con Caccia tragica (1946), una produzione ANPI che viene però distribuita dalla Titanus. Negli anni successivi De Santis lavorerà prevalentemente per la Lux Film, presso la quale realizzerà Riso amaro (1949) e Non c’è pace tra gli
ulivi (1950), fin quando non si creeranno dissapori con la casa di Gualino a causa della
mancata realizzazione di Noi che facciamo crescere il grano, una sceneggiatura dedicata all’occupazione delle terre in Calabria281. È a questo punto che De Santis viene contattato dall’americano Graetz e concepisce e realizza in breve tempo Roma ore 11, al quale partecipa come coproduttrice la Titanus282. Anche in quest’occasione la casa romana mantiene un ruolo defilato, tuttavia è evidente, come dimostrano le successive collaborazioni del regista a Menzogna e Legione straniera, che tra tutti gli esponenti del neorealismo solo De Santis sembra poter interessare seriamente Lombardo. La ragione di quest’interesse va ricercata nel particolare rapporto che il regista intrattiene con il cinema americano in generale e con il sistema dei generi in particolare. Come evidenzia Farassino, l’utopia di realizzare un cinema senza generi, lontano da qualsiasi modello formale e narrativo, nella pratica si risolse
in quel breve periodo di “disordine” estetico che fu il neorealismo, un cinema plurigenere, che fondeva e mescolava in una “grana grossa” elementi ricavati da generi cinematografici disparati. Il neorealismo rappresentò insomma un breve momento di destabilizzazione di quel modello costruito secondo la logica della suddivisione in generi che il cinema italiano aveva attuato negli anni trenta e che avrebbe ricomposto negli anni cinquanta. […] Il film neorealista è insieme commedia e melodramma, film nero e film di guerra, ma afferma di derivare questa eterogeneità dalla varietà di aspetti del reale e non da una fase di disequilibrio di quel sistema linguistico (il cinema) di cui fa parte. Così che in periodo neorealista il riferimento ai generi si connota subito