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Cap IV: Per un mélo-noir post-matarazziano: la fascia medio-bassa del melodramma Titanus

IV.5. Gli ultimi fuochi del melodramma popolare Titanus

Nel 1953 esce un terzo melodramma che, come e più di Bufere, si mescola con il noir e con altri generi di provenienza hollywoodiana: Legione straniera, diretto da Basilio Franchina e scritto anch’esso da Carlo Musso e Alessandro De Stefani. Si può quasi immaginare che Lombardo avesse ordinato ai due sceneggiatori di preparare tre film che miscelassero vari generi in proporzioni diseguali, in modo che si potessero sperimentare vari gradi di distanziamento dal modello di Matarazzo. Di essi, Legione straniera sarebbe senza dubbio il più lontano, in quanto il film riprende un impianto sostanzialmente identico a quello di Menzogna per infilarci dentro elementi provenienti dal noir, dal cinema bellico e addirittura dal western: anche Legione straniera inizia con un equivoco inscenato dai genitori di Irene Galter, a causa del quale il marinaio Alberto Farnese crede di essere stato abbandonato dalla propria innamorata. Tuttavia questi, invece di buttarsi tra le braccia di una ricca donna single come avveniva in Menzogna, si trasferisce a Orano, in Algeria, dove viene contemporaneamente sedotto da una cantante di night club (Vivienne Romance), perseguitato da un ufficiale della legione straniera che è anche amante della donna (Marc Lawrence) e accusato di un omicidio che non ha commesso. Fuggito di prigione, Farnese si arruola nella legione straniera, proprio mentre la Galter sbarca a Orano insieme al fratellino (l’immancabile Enrico Olivieri) per chiarire l’equivoco e tornare in Italia con lui. Le ricerche sono vane, fin quando non giunge l’aiuto di un cameriere africano che lavora nel locale notturno (John Kitzmiller, protagonista di Senza pietà), il quale riesce a individuare il forte in cui è stato mandato il distaccamento di Farnese. Il fratellino della Galter parte per raggiungerlo, ma al suo arrivo l’avamposto viene attaccato dai contrabbandieri arabi: inizia così uno scontro a fuoco nel quale il fanciullo muore da eroe e Farnese, pur rimanendo ferito, riesce a condurre i legionari alla vittoria.

Franchina, come si è già ricordato precedentemente, oltre ad aver collaborato alla realizzazione di Menzogna ha lavorato a lungo come assistente alla regia di De Santis. Qui il regista esordiente porta alle estreme conseguenze la tendenza a mescolare i generi che contraddistingue le opere più celebri del suo maestro. Il film inizia infatti in maniera molto simile ad altri melodrammi Titanus, ma su questa base inserisce elementi eterogenei, tra i quali figurano in primo luogo precisi rimandi al cinema noir americano e al realismo poetico francese. La Orano cinematografica, per esempio, è ricalcata sull’Algeri de Il bandito della Casbah (Pépé le Moko, Julien Duvivier, 1937), mentre

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gran parte delle sequenze che vi sono ambientate includono il personaggio di una

chanteuse che si comporta come una femme fatale un po’ stagionata, e che può essere

accostata tranquillamente al personaggio interpretato da Yvonne Sanson in Menzogna; ritornano poi due attori stranieri che hanno legato i loro nomi alla breve stagione del melodramma-noir italiano, come Marc Lawrence – che qui per una volta non interpreta il ruolo del malvivente, ma quello dell’ufficiale della legione straniera – e John Kitzmiller. Su questa base si inseriscono elementi e ambientazioni propri del bellico- avventuroso di ambientazione esotica, con ovvi riferimenti a Beau Geste (William A. Wellmann, 1939) riscontrabili nell’iconografia del deserto, del forte e dell’esercito della Legione straniera, e infine rimandi al genere western, presenti nella sequenza dell’assedio al forte: qui i contrabbandieri arabi vengono raffigurati esattamente allo stesso modo dei pellerossa dei film di Ford. Infatti i contrabbandieri a cavallo, prima di attaccare, si stagliano in controluce sul crinale di una collina, come gli indiani di Ombre

rosse (Stagecoach, John Ford, 1939) o anche come i mafiosi de In nome della legge

(Pietro Germi), uscito per la Lux nel 1949; in secondo luogo, al momento dell’attacco, gli arabi cavalcano tenendo i fucili sollevati e paralleli al terreno, secondo un’iconografia che di nuovo rimanda ai nativi americani del cinema western; non manca infine il tema del sacrificio di un personaggio secondario, che accomuna questo genere al bellico e all’avventuroso.

Secondo quanto afferma in una già citata intervista, De Santis riferisce di aver preso parte anche alle riprese di Legione straniera – non specifica però quale fosse esattamente il suo ruolo – ma di aver disconosciuto il film una volta chiarita la natura dell’operazione254: Legione straniera, in effetti, utilizza una mescolanza di più generi con una finalità esclusivamente sensazionalistica, che esclude completamente quel raffinato scambio tra la dimensione etico-didascalica del racconto e quella spettacolare che nei film del regista veniva creato attraverso raffinati rimandi intertestuali tanto al cinema popolare quanto a quello d’avanguardia. Inoltre, il film espunge totalmente quella dimensione sociale che faceva capolino – seppure nelle forme di un insipido populismo – anche in Menzogna. Alla base della decisione della Titanus di affidare il film a Franchina può quindi esserci stata l’idea di realizzare un film che offrisse la spettacolarità di un De Santis, depurata però di quei contenuti ideologici che erano stati individuati come causa del fiasco di Roma, ore 11.

L’ultimo film cui si farà cenno in questo paragrafo, Difendo il mio amore (1956), costituisce invece un tentativo di riprendere le atmosfere borghesi e la rappresentazione noir della provincia italiana che avevano caratterizzato Bufere, agganciandole però con molta più sicurezza alla tradizione di Catene. Si tratta di un film che rappresenta uno degli ultimi fuochi del melodramma popolare Titanus, che da genere di maggior successo nella prima metà degli anni ’50 si ritroverà a diventare progressivamente un elemento marginale all’interno della pianificazione produttiva della casa. La regia di questa coproduzione italo-francese è affidata a Giulio Macchi – un documentarista che per la Titanus aveva da poco realizzato un film non fiction, India

favolosa (1954) – e costituisce la sua unica prova nel cinema narrativo, a parte un breve

episodio del film collettivo Le italiane e l’amore (1961); ciò porterebbe a pensare che il più esperto regista americano Vincent Sherman abbia avuto un ruolo più ampio di quello per cui è stato accreditato, una “supervisione” che risulta essere un episodio curioso all’interno della carriera di un regista che non ha mai lavorato all’interno del

254 «Il mio contributo fu un gesto di amicizia e di affetto anche se regolarmente retribuito. Ricordo però

quando vidi il film ultimato restituii il denaro e chiesi in cambio che togliessero il mio nome perché, francamente, la linea drammatica e sentimentaloide del film andava oltre quello che la mia coscienza e la mia ideologia mi consentivano di sottoscrivere» (BARLOZZETTI: 1986, 33).

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cinema italiano. La sceneggiatura è invece di Suso Cecchi d’Amico, Giorgio Prosperi e Jacques Robert (presumibilmente per i dialoghi della versione francese), su soggetto ancora di Suso Cecchi d’Amico ed Ettore Giannini. Si tratta di un gruppo che indica la volontà di realizzare un prodotto di qualità: Suso Cecchi d’Amico aveva già un curriculum di ottimo livello – aveva scritto, tra le altre cose, la sceneggiatura di Senso (Luchino Visconti, 1954), La signora senza Camelie (Michelangelo Antonioni, 1953) e, per la Titanus, Il sole negli occhi (Antonio Pietrangeli, 1953) – mentre Ettore Giannini, che per la Titanus aveva collaborato alla versione di Antamoro de L’angelo bianco (1943), aveva realizzato in qualità di regista, per la Lux, il fortunato Carosello

napoletano (1953); infine, Giorgio Prosperi aveva collaborato a produzioni di prestigio

come Stazione termini (Vittorio De Sica, 1953) e Il cappotto, raffinato adattamento di Gogol’ realizzato da Lattuada nel 1952 e prodotto dalla Titanus. In effetti, il film costa circa il triplo dei film analizzati in precedenza, compreso Bufere che era anch’esso una coproduzione italo-francese255; nonostante ciò, e a dispetto di un cast che comprende Martine Carol – reduce dal set di Lola Montès (Max Ophüls, 1955) – e gli italiani Gabriele Ferzetti e Vittorio Gassmann – quest’ultimo in un ruolo da villain che ricorda le sue prove di dieci anni prima – nel film si respira comunque l’atmosfera di una produzione di second’ordine, un’impressione probabilmente favorita dal modo estremamente schematico in cui Difendo il mio amore ricicla temi e figure della produzione Titanus di inizio decennio.

Il film racconta la storia di un infido e giovane giornalista (Vittorio Gassmann) che trova modo di emergere all’interno di un quotidiano di secondo piano trasformandolo in un giornale scandalistico. La sua idea è quella di riesumare vecchi casi di cronaca irrisolti, pubblicando illazioni sui suoi protagonisti. La prima vittima è una giovane donna di Bergamo, Elisa Leonardi (Martine Carol), che era stata tempo addietro segretaria di un ricco uomo d’affari, di nome Dosti, che aveva ucciso la moglie avvelenandola. Elisa all’epoca era stata interrogata come persona informata dei fatti, ma le era stato riconosciuto solo un ruolo marginale nella vicenda; ora la donna è sposata felicemente con un ricco banchiere di nome Pietro (Gabriele Ferzetti) ed è madre di tre bambine. La primogenita Angela, tuttavia, che è ricoverata in un istituto perché presenta delle difficoltà di apprendimento, ha già dieci anni ed è perciò nata prima del matrimonio: la teoria del giornalista, diffusa quotidianamente a mezzo stampa, è perciò che quest’ultima sia figlia di Dosti, il quale avrebbe compiuto un uxoricidio perché amante di Elisa e padre della bambina. Perseguitati da tale campagna diffamatoria, i due coniugi arrivano a dichiarare pubblicamente quale sia la reale paternità della bambina: Angela è nata durante la guerra ed è figlia di un commilitone di Pietro, con il quale Elisa ha avuto una lunga storia d’amore ma il cui aereo è stato abbattuto. Pietro, per amicizia nei suoi confronti e per amore di Elisa, aveva allora accettato di crescere la bambina come fosse la propria figlia. Tuttavia, lo stesso Pietro inizia a nutrire dei dubbi nei confronti della moglie: sobillato dalla campagna stampa, nonostante conosca la storia della nascita di Angela comincia a nutrire sospetti sul rapporto che Elisa intratteneva con Dosti. L’uomo inizia perciò a manifestare apertamente la propria diffidenza nei confronti della moglie fino a quando, in seguito a un litigio, decide di abbandonare il tetto coniugale. Ma proprio in quel momento si verifica una tragedia: Angela, che era scesa per pregare il patrigno di tornare, viene aggredita da un gruppo di fotografi e –

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Nei fascicoli dell’Archivio Centrale dello Stato sono tuttavia presenti solamente i preventivi di questi film, che potrebbero differire significativamente dai costi effettivamente sostenuti. In ogni caso, mentre i preventivi dei primi quattro film presi in considerazione nel capitolo si aggirano tra i 120 e i 170 milioni di lire, per Difendo il mio amore è prevista una spesa di circa 350 milioni di lire, una cifra molto vicina all’impegnativo Pane, amore e gelosia di due anni prima.

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scappando dai flash – viene investita da un furgone. Elisa e Pietro si ritrovano, disperati, al capezzale della bambina, ma in breve tutto si risolve nella maniera migliore: il direttore del giornale, scandalizzato dalla piega che ha preso la vicenda, chiude l’inchiesta e licenzia il giornalista, Angela si riprende e viene dichiarata ormai fuori pericolo e infine Pietro ritrova la fiducia nella moglie e l’amore per la propria famiglia.

Anche in questo caso gli elementi prelevati dal noir – gli aspetti legati all’indagine giornalistica, i dettagli del delitto nel quale era stata coinvolta la protagonista e la fotografia ad altissimo contrasto – sfumano in una sintassi narrativa che riprende pesantemente i meccanismi del melodramma di ispirazione matarazziana: un marito onesto e affettuoso che a causa di un equivoco perde fiducia nella moglie, una donna onesta la cui innocenza viene messa in dubbio e che perciò attraversa una fase di degradazione – elementi che, come si è visto, sono parte integrante del maternal

melodrama – un finale miracoloso nel quale una vittima innocente recupera

miracolosamente la salute (come in Tormento, Menzogna, Noi peccatori, ecc.), dopo che i genitori si erano già raccolti al suo capezzale (I figli di nessuno). Non è perciò esagerato ipotizzare che Difendo il mio amore sia nato dalla volontà di fondere Asso

nella manica (Ace in the Hole, Billy Wilder, 1951) con Catene, nello stesso anno in cui

un altro melodramma, La donna del giorno (Francesco Maselli), tenta di sfruttare il tema della stampa scandalistica256. Vi sono tuttavia anche diversi elementi che rimandano a Bufere, come l’ambientazione in un’Italia di provincia (Bergamo) che assume caratteri tetri e minacciosi e soprattutto l’attenzione per un milieu borghese del quale tuttavia in questo caso vengono anche enfatizzate le meschinità257. Tuttavia, anche questo film denuncia l’impossibilità della Titanus di creare realmente un nuovo ciclo che si possa reggere sulle proprie gambe senza tornare ad attivare i meccanismi di quegli stessi film dai quali ha avuto origine.

Conclusioni

Si possono così ricostruire i passaggi mediante i quali la Titanus ha tentato di realizzare un nuovo ciclo di film a budget medio-basso che affiancasse la serie di punta, costituita dai film di Matarazzo. In un momento in cui i film del regista successivi a I figli di

nessuno si assestano comunque su incassi che arrivano al mezzo miliardo di lire, Menzogna tenta di riprendere parte del cast, dei meccanismi narrativi e del trattamento

degli spazi della trilogia. Le variazioni che dovrebbero permettere al film di non saturare l’offerta e di aprire un nuovo ciclo arrivano prevalentemente da due ambiti differenti: parte del cast e dei comparti tecnici provengono dallo sfortunato Roma ore

11, affossato al botteghino a causa di polemiche di natura ideologica ma carico di

potenzialità commerciali, così che dopo il trio Matarazzo-Nazzari-Sanson ne viene ipotizzato uno nuovo formato dal recalcitrante De Santis o dal suo assistente Basilio Franchina (che collaborano al film di Del Colle), da Alberto Farnese e da Irene Galter; una parte degli elementi semantici deriva invece dal noir, un genere che era già presente in alcuni luoghi di Catene ma che all’inizio degli anni ’50 sta contaminando buona parte della produzione melodrammatica, come dimostrano le produzioni realizzate da Ponti e

256 Un altro elemento che accomuna i due film è la tendenza a riciclare i titoli di opere hollywoodiane con

le quali non hanno nulla a che fare: La donna del giorno è infatti anche un celebre film di George Stevens (Woman of the Year, 1942), che ha come unico punto di contatto con il film di Maselli l’ambientazione nel mondo della carta stampata; Difendo il mio amore è invece il titolo italiano di un film di Roy Del Ruth con Robert Taylor e Loretta Young (Private Number, 1936).

257 Il ricco banchiere Ferzetti, non riuscendo ad avere fiducia nella moglie nonostante i pettegolezzi, si

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De Laurentiis per la Lux. Il risultato commerciale di Menzogna è promettente (oltre quattrocento milioni di lire, quasi quanto un film di Matarazzo), così che la Titanus viene stimolata a proseguire sulla stessa strada. Il passo successivo prevede perciò che venga condotta un’analisi dello stesso Menzogna, che permetta di sviluppare nuovi film che ne conservino le caratteristiche vincenti, e che in seguito vengano messe in cantiere altre tre pellicole che conservino alcuni di questi stessi aspetti tentando di svilupparli in nuove direzioni. Noi peccatori riprende così l’estrema fedeltà al modello di Catene, che già caratterizzava il film di Del Colle, e in più potenzia, da una parte, gli elementi noir attraverso l’introduzione di una coppia di villain – i personaggi interpretati da Marc Lawrence e Tamara Lees – e dall’altra, i legami di superficie che già i film di Matarazzo intrattenevano con il movimento neorealista: il protagonista maschile è infatti un reduce e il padre agricoltore, in una sequenza, lamenta le difficoltà incontrate dal suo gruppo sociale a causa della meccanizzazione. Bufere riprende invece da Menzogna il personaggio della femme fatale borghese, ma invece di reintrodurlo così genera un conflitto tra una donna volitiva, pericolosa e priva di radici, e un coté borghese che sostituisce le ambientazioni popolari dei film di Matarazzo; inoltre, se il regista napoletano attingeva al materiale della sceneggiata, il film di Brignone è invece l’adattamento di un dramma borghese di matrice naturalista. Infine, Legione straniera punta a una maggiore continuità produttiva con il predecessore Menzogna, in quanto la regia viene affidata a Franchina e la coppia di protagonisti è la stessa. Inoltre in questo film viene spinta all’estremo la tendenza, già presente nel film di Del Colle, a mescolare i generi: oltre al melodramma e al noir fanno così il loro ingresso il cinema bellico, l’avventuroso e il western.

Nessuno dei tre melodrammi raggiunge i livelli del film capostipite: Noi

peccatori forse sconta l’eccessiva similarità con i film di Matarazzo, tuttavia realizza la

performance migliore (374.000.000 di lire). L’altro film realizzato dallo stesso regista,

Bufere, uscito appena due mesi prima, ottiene invece ben pochi consensi e, nonostante

la presenza di una star internazionale come Jean Gabin, raccoglie appena 221.000.000 lire: in questo caso ha forse pesato l’eccessiva lontananza dall’impianto di Matarazzo per quanto riguarda la semantica del film, e viceversa il fatto che il film non riuscisse a staccarsi definitivamente dalla struttura del suo modello, riducendo i numerosi elementi noir a un semplice contorno. Anche il risultato commerciale di Legione straniera si rivela mediocre (308.000.000), così che nei futuri listini Titanus non appariranno altri film interpretati dalla coppia Galter-Farnese.

Difendo il mio amore arriva invece dopo uno iato di due anni, durante i quali il

melodramma Titanus è caratterizzato, oltre che dagli exploit di Matarazzo, da produzioni più ambiziose – come La spiaggia di Lattuada e Maddalena di Genina, entrambi del 1954. Il film esce in un anno, il 1956, nel quale il genere ha già dato prova di non tenere più come una volta e, nonostante il meccanismo della coproduzione gli consenta di avere un cast di buon richiamo, recupera a mala pena i costi di realizzazione totalizzando 241.000.000 di lire258. In questo caso ha forse pesato, al di là dell’idea di sfruttare il successo di altri film incentrati sulla rappresentazione della stampa scandalistica, il fatto che il cinema italiano stesse gradualmente eliminando quegli elementi provenienti dal noir sui quali era ancora costruito il film di Macchi e Sherman; inoltre, lo scioglimento della vicenda riprende in maniera frettolosa il modello di

Catene, riuscendo probabilmente nell’impresa di deludere contemporaneamente il

pubblico popolare – che avrebbe forse desiderato che tale struttura avesse più spazio – e

258 Il film è infatti una coproduzione eccezionale con quota italiana al 70%, così che la spesa preventivata

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quello più sofisticato, a cui sembrano strizzare l’occhio la scelta degli sceneggiatori e del cast.

L’esperienza di questi film testimonia il fallimento della Titanus nell’instaurare un nuovo ciclo che sia in grado di accompagnare la serie di successo del trio Matarazzo- Nazzari-Sanson, un’operazione condotta però con risultati commerciali che raramente – a parte che nel caso di Difendo il mio amore – sono meno che dignitosi. Come è stato evidenziato dall’analisi è forse l’incapacità di distaccarsi definitivamente dal modello di partenza facendo evolvere il ciclo in maniera autonoma ad aver bloccato la formazione di un nuovo nucleo di successo, ma altre ragioni possono essere ricercate nell’esuberante offerta di film melodrammatici che caratterizza la prima metà degli anni ’50 e nella conseguente disaffezione di un pubblico il quale, peraltro, iniziava a cambiare gusti. In un altro settore parimenti importante, la commedia, la Titanus riuscirà invece a instaurare diversi cicli di successo, come si vedrà nel capitolo a essa dedicato.

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