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Cap I.: Il melodramma Quadro teorico

I.2. Le origini del melodramma

La questione delle origine del genere viene invece trattata in maniera assai più approfondita da Peter Brooks ([1976] 1985), all’interno di un testo appartenente all’ambito della critica letteraria ma destinato ugualmente ad avere un grosso impatto sui film studies anglosassoni. Nel suo volume, Brooks intende delineare i tratti dello stile melodrammatico – nato nel teatro di fine XVIII secolo – per dimostrare come le sue caratteristiche peculiari siano state trasmesse alla letteratura realista dell’800, in particolare a Balzac e James. Anche la sua operazione, come quella di Elsaesser (che tuttavia non viene citato nel volume) è tesa alla creazione di una categoria trans-storica e intermediale. Tuttavia, Brooks nel condurla ottiene due risultati importanti e originali: in primo luogo definisce con precisione le caratteristiche del mélodrame teatrale, permettendo al dibattito sul melodramma cinematografico e sulle sue ascendenze teatrali di avere una base più concreta; in secondo luogo, mediante la creazione della categoria concettuale denominata “immaginazione melodrammatica”, lo studioso elabora un oggetto destinato ad avere una grande fortuna nei decenni successivi.

Secondo quanto afferma Brooks, la parola mélodrame venne usata per la prima volta da Rousseau (1774-1775) a proposito del suo Pygmalion (che prevedeva una mescolanza di monologhi, pantomime ed accompagnamento orchestrale), ma lo stesso termine passò in breve a indicare un tipo di teatro assai differente, il cui sviluppo fu contemporaneamente condizionato, sia nella Francia pre-rivoluzionaria che in Inghilterra, da forme di protezionismo che concedevano solamente a poche compagnie il monopolio sulla rappresentazione di drammi parlati. Tali divieti avrebbero costretto i piccoli teatri, sorti prevalentemente nel Boulevard du Temple parigino (poi soprannominato Boulevard du Théâtre) e nella Drury Lane londinese, a inscenare forme di spettacolo basate sulla pantomima cantata e su elaborati meccanismi scenici, che sopperissero con la spettacolarità alla mancanza della parola. Una volta caduti i monopoli, il parlato venne reinserito all’interno di questi drammi sensazionalistici, sebbene integrato all’interno di meccanismi già altrimenti codificati. Dal punto di vista dei contenuti, i mélodrame erano caratterizzati da un forte schematismo di fondo, da una serie di regole fisse che Brooks delinea a partire dalle opere del principale autore del periodo, Guilbert de Pixérecourt, e in particolare dal suo La fille de l’exilé (1818). Secondo la ricostruzione di Brooks il melodramma teatrale discende in massima parte dal romanzo gotico inglese del XVIII secolo, dal quale trae, oltre che ambientazioni ricorrenti quali segrete, vicoli malfamati e prigioni145, le sue due figure principali: l’eroina, virginale e innocente, e il villain, il malvagio antagonista – spesso di origine aristocratica – che intende attentare alla virtù della giovane.

La struttura dei drammi nei quali sono coinvolte queste due figure prevede un percorso standard: la situazione di equilibrio iniziale, nella quale l’eroina vive una vita serena ed è universalmente riconosciuta dai suoi pari come un esempio di virtù, viene turbata dall’arrivo del villain, il quale mediante uno stratagemma mendace riesce a mettere in dubbio l’innocenza della giovane. Da questo momento in poi inizia l’esilio della protagonista femminile, che è costretta a compiere varie peripezie sinché, nel finale, non riesce a dar prova della propria innocenza e a venire reintegrata nella situazione iniziale. Tale struttura prevede una scrittura drammaturgica e una messa in scena costantemente portate all’eccesso, un eccesso che costituisce la modalità espressiva base del melodramma: fanno parte di questa categoria l’accompagnamento

145 È d’altra parte interessante osservare come gli stessi romanzi di Hugo o Dickens vengano citati

contemporaneamente da BROOKS (1976) e PUNTER (1980), rispettivamente come esempi di letteratura influenzata dal melodramma e dal gotico.

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musicale, la recitazione e i dialoghi, improntati ad un’espressione enfatica delle emozioni primarie, ma anche l’uso di elaborati artifici scenici atti a riprodurre cataclismi quali incendi o inondazioni. Inoltre, residui del genere spettacolare di provenienza (ovvero della pantomima) sono visibili nell’abitudine a concludere ciascun atto con un tableau vivant, nel quale le pose di tutti gli attori in scena si congelano nell’espressione di un sentimento dominante universalmente condiviso (come l’indignazione o lo stupore), mentre l’accompagnamento orchestrale raggiunge l’apice dell’enfasi. La modalità dell’eccesso, nell’ottica di Brooks, svolge una funzione ben precisa che è legata al significato stesso del mélodrame e al momento storico nel quale esso fa la sua apparizione:

Le origini del melodramma vanno infatti ricercate nel contesto della rivoluzione francese e degli anni immediatamente successivi: è questo il momento epistemologico che il melodramma rappresenta e a cui fornisce anche un contributo, il momento in cui – sia sul piano simbolico sia su quello letterale – si assiste alla liquidazione definitiva del concetto di sacro (e delle istituzioni che lo rappresentano: chiesa e monarchia) […] e al declino di quelle forme letterarie – tragedia e commedia in costume – più direttamente legate a quell’ordinamento sociale. […] Il melodramma, in questo senso, rappresenta a un tempo l’esigenza della riconsacrazione e l’impossibilità di concepirla in termini diversi da quelli strettamente personali. Bene e male vi appaiono nettamente personalizzati: vengono assegnati a personaggi (o per così dire “li abitano”) che appaiono sprovvisti di ogni spessore psicologico eppure appaiono fortemente caratterizzati.146

Venuti meno il sacro e la tragedia, ai cittadini europei del XIX secolo rimane solo il melodramma, che con la sua ricerca del “sublime nel quotidiano” (secondo una formula di Diderot) si fa carico della necessità di sostituire il vuoto lasciato dalla fine del trascendente, sebbene in un’ottica non più collettiva quanto prettamente individuale. È questa sua funzione di mediazione nei confronti di un mondo ulteriore, ottenuta attraverso un’intensificazione del dato sensibile, a spingere Brooks a cercare il melodramma al di fuori del suo contesto e a individuarne i tratti fondamentali anche nella prosa realista ottocentesca, per esempio nei romanzi di Balzac che se ne serve per «giungere attraverso la superficie al “dramma” che si svolge nel regno della realtà emotiva e spirituale»147. La compenetrazione di elementi della forma spettacolare melodrammatica all’interno della letteratura “seria” di stampo realista trova una spiegazione nella riqualificazione sociale del pubblico del mélodrame, che da eminentemente popolare diviene gradualmente trasversale alle classi, quando dalla metà del XIX secolo la piccola e media borghesia sia francese che inglese inizia ad affollare i teatri londinesi e parigini che propongono tale genere. Questo fenomeno ha d’altra parte un influsso sull’intero sistema spettacolare, così che in epoca romantica si sviluppano versioni del mélodrame indirizzate alla classe media, così che diversi elementi inerenti al genere si possono rinvenire nel drame borghese di Sardou o Dumas figlio. Tuttavia, seppure Brook ricusi la «tentazione […] di considerare il melodramma come una costante dell’immaginazione, un elemento invariabile al di là delle superficiali oscillazioni dei “generi” […], una sorta di polarità archetipica, come è già stato suggerito da alcuni critici per il barocco e il romanticismo148», è tuttavia innegabile che la sua intenzione sia quella di identificare un quid melodrammatico che trascende il genere e la stessa epoca nella quale esso appare. D’altra parte, Brooks afferma nell’introduzione: 146 B ROOKS ([1976] 1985, 32-34). 147 B ROOKS ([1976] 1985, 19). 148 BROOKS ([1976] 1985, 31).

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il mio interesse primario è quello di derivare il melodrammatico dal melodramma, […] definire e precisare il senso dell’aggettivo grazie al sostantivo […]. L’oggetto del nostro discorso […] non è la tematica né la serie di tematiche del melodramma, e nemmeno lo svolgimento intrinseco del “genere”, sì il melodramma visto come modalità concettuale ed espressiva, sistema fantastico atto a produrre senso basandosi sull’esperienza, campo semantico di forze149.

Perciò, con l’espressione “immaginazione melodrammatica”, l’essenzialista Brooks (come lo definisce Merritt) forgia, astraendola dall’esempio del teatro di Pixérecourt, una modalità espressiva che trascende il genere, fondata sulla polarizzazione schematica dei contrasti e su stati d’animo e azioni portate all’estremo, focalizzata sulla figura della vittima e caratterizzata, dal punto di vista dell’espressione, dal sistematico ricorso all’eccesso.