Cap I.: Il melodramma Quadro teorico
I.4. Il melodramma: ritorno al genere cinematografico
l primo elemento da rilevare, è come la compresenza di elementi propri del melodramma all’interno di altri generi non basti ad annullare l’identità generica del primo: come dimostra Steiger (1997) è difficilissimo trovare, anche e soprattutto nella Hollywood classica, film che rappresentino un solo genere senza che vi sia alcuna forma di ibridazione. I generi in forma pura semplicemente non si danno, sono un frutto dell’astrazione del critico e in ogni caso sono un concetto completamente ignorato dalle pratiche produttive dell’epoca. Basta pensare alla pratica del dual plot, che impone la presenza di una relazione amorosa anche nei generi di azione violenta, in modo da attrarre un più ampio bacino demografico. Per esempio un film come Il club dei 39 (The
39 Steps, Alfred Hitchcock, 1935), uno degli esemplari più celebri del genere
spionistico, contiene al suo interno – pur non essendo un film americano – elementi che derivano sia dal melodramma che dalla commedia. Al primo genere è riconducibile l’impianto narrativo del film: il protagonista viene accusato ingiustamente di un omicidio, e solo dopo lunghe peregrinazioni e sofferenze potrà dimostrare la propria innocenza e smascherare il villain. Al secondo appartengono invece diverse situazioni: lo scambio di persona al comizio elettorale, la sequenza nella quale il protagonista maschile e quello femminile si fingono una coppia di amanti per nascondere le manette che li legano l’uno all’altra, e in generale tutte le sequenze nelle quali appare il personaggio di Pamela. Secondo la teoria di Williams si potrebbe perciò supporre che il film, pur appartenendo al genere spionistico, sia filtrato attraverso una modalità melodrammatica, utile a generare empatia nei confronti del protagonista; tuttavia a quel punto ci si potrebbe chiedere cosa fare degli elementi provenienti della commedia: sono anch’essi una modalità della quale teorizzare l’esistenza, o sono piuttosto tratti di un altro genere che vengono infusi all’interno del film di spionaggio? In questo caso non si capirebbe perché dovrebbero avere uno statuto differente dalla modalità melodrammatica, dal momento che svolgono la stessa funzione all’interno del film. Il problema viene risolto se si osserva invece la spy-story da una prospettiva diacronica: all’epoca il genere era ancora piuttosto giovane, e i pochi titoli usciti negli ultimi anni del muto e nei primi anni del sonoro fondevano i nuovi elementi semantici propri del film di spionaggio con una sintassi derivante dal melodramma divistico. A partire dalla seconda metà degli anni ’30, invece, il genere avrebbe cambiato la sintassi di riferimento, adottando elementi del thriller e diventando un sottogenere del poliziesco155; su questa base, forse per le inclinazioni del regista, forse per l’ambizione della Gaumont British di realizzare un prodotto capace di competere con il thriller hollywoodiano dell’epoca – che veniva frequentemente mescolato alla commedia156 – sono state aggiunte parti più leggere e brillanti, mescolate a elementi derivanti dalle passate sintassi melodrammatiche.
Il fatto che l’ibridazione tra generi differenti fosse (e sia tuttora) una pratica assai diffusa, diminuisce la necessità di trattare il melodramma come un oggetto differente. Piuttosto, come afferma Singer (2001):
È importante che tentiamo di tracciare un profilo del melodramma inteso come un genere, piuttosto che (oppure oltre che) come una modalità narrativa che include qualsiasi cosa, in modo da poter imparare di più riguardo alle sue manifestazioni storiche e alle sue variazioni nel tempo, così che la nostra concezione del melodramma sia in linea, almeno in linea di principio, con quella presupposta dai discorsi storici che vorremmo analizzare157.
155 Per una storia dell’evoluzione del cinema di spionaggio si veda B
OSCHI (2005,11-18).
156 Per esempio L’uomo ombra (The Thin Man, W. S. Van Dyke) è del 1934. 157
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Anche Singer, il cui studio è incentrato sul rapporto tra i concetti di melodramma, modernità e il cinema seriale americano fino agli anni ’10, si trova di fronte alle contraddizioni già evidenziate da Neale (1993) e Merritt (1983), ovvero all’inconciliabilità tra le designazioni utilizzate dalla critica all’epoca dell’uscita dei film e il concetto di melodramma così come è emerso nella critica a partire dagli anni ’70. Nella ricostruzione di Singer la tradizione teatrale del melodramma anglosassone da vita ai primi del secolo a un teatro popolare sempre più orientato all’azione spettacolare, che troverà espressione al cinema nei film di inseguimento di Griffith e che è poco interessato a esplorare «le sfumature emozionali proprie della rappresentazione del martirio femminile, della disillusione, disillusione, della repressione, dell’ansia, della rassegnazione e della frustrazione»158, oggetti privilegiati di altre correnti del teatro melodrammatico159 e del successivo woman’s film anni ’30. Per rendere conto della compresenza di due linee tanto divergenti, Singer non sceglie di elaborare un unico concetto onnicomprensivo e valido sia per il cinema delle origini che per quello contemporaneo; ad esso oppone invece un’idea di melodramma come cluster concept, un serbatoio di tratti che sono disponibili ad apparire, sia sincronicamente che diacronicamente, in diversi conglomerati:
[…] La natura del melodramma in quanto cluster concept fa sì che i suoi fattori costitutivi possano apparire in qualsiasi numero di diverse configurazioni. Si possono avere due combinazioni completamente distinte – che non condividono alcun elemento – per entrambe le quali è giustificato l’uso dell’etichetta “melodramma”. Presumibilmente, ci sono delle volte in cui tutti e cinque gli elementi base [ovvero il pathos, le emozioni sovraccariche, la polarizzazione morale, la struttura narrativa anticlassica e il sensazionalismo] sono presenti contemporaneamente, ma è più comune che solo alcuni di essi siano combinati tra loro per formare particolari varietà di melodramma160.
Può essere perciò utile considerare il melodramma come un genere che attraversa fasi molto diverse le une dalle altre, ma che è in linea di massima identificabile con le varie configurazioni che, secondo le precedenti teorie, sono in esso incluse: una buona parte del cinema degli anni del muto, la stagione dei women’s film degli anni ’30 e ’40, i melodrammi familiari degli anni ’50, ecc. Il risultato è un genere articolato in diversi sottogeneri a seconda dei tratti semantici o sintattici di volta in volta presenti, ma che permette di gestire le relazioni reciproche tra i film che fanno parte del suo corpus, un obiettivo più concreto di quanto potrebbe offrire la teoria del melodramma come modalità.
158 S
INGER (2001, 53).
159 Neale (1999, 199-202) spiega le divergenze tra i diversi usi del termine melodramma con l’esistenza di
due distinti modelli teatrali: il “melodrama” vero e proprio, destinato ad un pubblico popolare e caratterizzato da un’azione concitata e dal ricorso a complicati macchinari scenografici, e quello che alcuni storici del teatro chiamano “modified melodrama”, la sua variante più intimista creata in funzione di un pubblico borghese. Secondo la teoria di Neale, appoggiata anche da Singer, l’industria cinematografica farebbe riferimento al primo modello, e questo spiega perché il termine fosse usato a proposito di film come Scarface (Howard Hawks, 1932); i teorici del melodramma, invece, avrebbero fatto riferimento al secondo modello, e questo spiega il perché il corpus del genere sia composto prevalentemente dai women’s film e dai drammi familiari degli anni ’50.
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