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Il dopoguerra e l’inizio della direzione di Goffredo Lombardo

Cap II: Storia della Titanus

II.4. Il dopoguerra e l’inizio della direzione di Goffredo Lombardo

Se all’indomani della liberazione di Roma Cinecittà viene trasformata in un rifugio per gli sfollati, agli stabilimenti della Farnesina non tocca una sorte migliore: vengono infatti requisiti per circa un anno dalle forze militari alleate59 e restituiti in uno stato che non consente di riprendere immediatamente la lavorazione. Tuttavia la Titanus, pur cauta nel quinquennio precedente, partecipa di quell’euforia produttiva che contrassegna i mesi successivi alla fine del conflitto: lo fa però con tre film in coproduzione ed

58 Tuttavia in questo caso Quaglietti si lascia andare a considerazioni affrettate: risulta infatti assai

difficile pensare che nel 1941 Fosco Giachetti, Luisa Ferida o, al limite, Amedeo Nazzari si potessero definire «attori dalle ridottissime pretese».

59 Come ricorda Goffredo Lombardo: «Paradossalmente nella guerra ci danneggiarono gli americani che,

occupata Roma, fecero degli stabilimenti della Farnesina la sede di una tipografia di carte geografiche militari, con il risultato di un degrado che di sei teatri alla fine ne lasciava in piedi tre in uno stato disastroso. Non ci rifusero di una lira, comunque se ne andarono.» (BARLOZZETTI 1986, 29).

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estremamente eterogenei. Il primo, il documentario Giorni di gloria (Mario Serandrei, 1945) è in realtà un progetto molto composito, realizzato dall’ANPI e nel quale Lombardo entra su richiesta del Psychological Warfare Branch dell’esercito statunitense, in qualità di distributore60. Malìa (Giuseppe amato, 1946) e Uno tra la

folla (Ennio Cerlesi e Piero Tellini, 1946) sono invece rispettivamente un dramma

verista coprodotto dal regista Amato e girato on location in Sicilia, e una commedia neorealista – paragonabile cioè ai coevi lavori di Luigi Zampa – interpretata da Eduardo De Filippo e Carlo Campanini e girata negli stabilimenti della FERT di Torino, che sono sopravvissuti al conflitto e sono già operativi.

A questo exploit produttivo seguono tuttavia tre anni di silenzio, durante i quali la casa si concentra sulla distribuzione e sul consolidamento delle proprie strutture. Corsi (2003a, 400) descrive così la ripresa dell’attività nel settore del noleggio e l’espansione in quello dell’esercizio:

I listini di distribuzione [della Titanus] fra il 1946 e il 1949 presentano, oltre a film italiani importanti come Caccia tragica, molti titoli internazionali di punta come Too Hot to Handle (L’amico pubblico n°1, 1938) di Jack Conway, The Diary of a Chambermaid (Il diario di una

cameriera, 1946) di Jean Renoir e Scarface, Shame of a Nation (Scarface, 1932) di Howard

Hawks, mai arrivato in Italia a causa della censura fascista. Per distribuirli in tutto il paese, la Titanus si appoggia ad agenzie dirette in dieci città, e a una piccola ma strategica struttura di esercizio concentrata a Napoli, dove la Titanus possiede sei sale di prima visione che diventeranno 13 fra il 1951 e il 1954. Nel 1949 il settore noleggio viene ulteriormente potenziato attraverso l’accordo con la Gamma Film, grazie al quale la casa di Lombardo diventa concessionaria per l’Italia della produzione Eagle-Lion. Alla fine degli anni ’40, dunque, le basi per fare della antica casa Titanus una major in piena regola sono state tutte gettate: la struttura funziona a pieno ritmo, dalla gestione degli studi all’esercizio, passando per il nodo centrale della distribuzione, ramificata fin nella profonda provincia. Per consacrare la casa nell’empireo dell’industria cinematografica italiana manca solo la produzione.

Ai titoli americani citati da Corsi ne andrebbero poi aggiunti altri come All’ovest

niente di nuovo (All Quiet on the Western Front, Lewis Milestone, 1930) oppure Shanghai Express (Josef Von Sternberg, 1932): film importanti sul piano culturale, ma

che la casa di Lombardo riesce ad assicurarsi pescando tra i fondi di magazzino dei grandi studios e tra la produzione corrente delle case minori, mentre il listino dei film italiani rimane decisamente esiguo fino al 1954 e affianca a opere importanti come l’esordio di De Santis anche qualche film di Totò – Il ratto delle sabine (Mario Bonnard, 1945, prod. Capitani), Sette ore di guai (Metz e Marchesi, 1951, prod. Golden/Humanitas) e Totò e i re di Roma (Steno, 1952, prod. Golden/Humanitas) – e di altri comici provenienti dalla rivista come Tino Scotti (Mago per forza, Metz e Marchesi, 1951, prod. Amati/Mambretti).

Per quanto riguarda le strutture produttive, nel periodo 1946-1949 si verifica una serie di potenziamenti operati dal figlio del patron della Titanus, Goffredo (1920-2005). Sembra che questi fosse inizialmente restio a seguire le orme paterne, tuttavia inizia ad interessarsi alle sorti dell’azienda di famiglia già a partire dal 1936, in seguito a una malattia del padre che lo costringe a ridurre i ritmi di lavoro. Negli anni successivi Goffredo segue l’attività del padre con assiduità sempre maggiore e nell’immediato dopoguerra prende iniziative personali che permettono alla Titanus di diventare definitivamente proprietaria dei propri mezzi di produzione: acquista infatti quegli stabilimenti sulla via Farnesina che il padre aveva in gestione fin dalla fine degli anni ’20, e nello stesso momento sposta gli uffici del ramo produttivo della casa da Largo

60 La questione della genesi del film sarà esaminata nel dettaglio nel capitolo dedicato ai rapporti della

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Goldoni a via Sommacampagna, al piano superiore dello stabile dove già si trovano gli uffici della sezione noleggio61.

La produzione riprende l’anno successivo, ancora con un film in coproduzione: si tratta di Catene, realizzato insieme alla Labor Film del regista Raffaello Matarazzo e del produttore Valentino Brosio, un’opera destinata a segnare in maniera indelebile le fortune della casa dei Lombardo. Innanzitutto, si tratta del primo film a ricollegarsi in maniera esplicita all’identità della Titanus: infatti, da una parte il film si rifà alla tradizione della sceneggiata napoletana che era stata il cavallo di battaglia della Lombardo Film nella seconda metà degli anni venti, dall’altra riesce a trovare dei moduli espressivi e linguistici che permettono al film di essere pienamente fruibile su tutto il territorio nazionale e non solamente all’interno di quei circuiti popolari cui è primariamente rivolto. Catene, uscito nell’ottobre del 1949, diviene rapidamente uno dei maggiori incassi della stagione 1949-1950, «un successo travolgente che annulla le divisioni fra pubblico di città e pubblico di provincia, di prima e di terza visione» (Corsi 2003a, 401) e inaugura così una serie di film coprodotta con la Labor, diretta da Matarazzo, interpretata dalla coppia Amedeo Nazzari-Yvonne Sanson e destinata a durare per tutto il decennio, fino alla coproduzione italo-spagnola Malinconico autunno (1958). Le caratteristiche di questo ciclo vengono gradualmente impostate nella realizzazione dei primi tre film: a Catene seguono infatti Tormento (1950) e poi I figli di

nessuno (1951), che costituisce il culmine della trilogia dal punto di vista degli incassi

ma anche da quello del consolidamento di un marchio di fabbrica che permetterà alla Titanus di adottare strategie produttive più aggressive. Dopo aver impostato un nuovo tipo di melodramma italiano con Catene, e avere perfezionato il modello con Tormento, con I figli di nessuno la Titanus può infatti misurarsi per la seconda volta con il rifacimento del film di maggiore successo della produzione Lombardo Film – nonché interpretazione chiave della diva che per ragioni commerciali e sentimentali ne costituisce il simbolo, ovvero Leda Gys – e uscirne vincitrice, con un prodotto all’altezza della propria storia il quale permette alla casa di acquisire tanta fiducia da passare da una singola uscita all’anno – è infatti questo il ritmo che viene tenuto dal 1949 al 1951 – ai sette film del 195262. Inoltre, I figli di nessuno segna un fondamentale passaggio di testimone nella dirigenza della casa: è infatti la prima produzione completamente curata da Goffredo Lombardo, subentrato al padre malato (morirà in quello stesso 1951) durante la lavorazione di Tormento.

Ma la serie di collaborazioni con la Labor è indicativa anche da un altro punto di vista, in quanto costituisce il primo simbolo di una tendenza che serpeggia all’interno della Titanus nel corso di tutta la prima metà degli anni ’50, diventando sempre più evidente. Come si è detto, la piccola Labor Film è diretta, oltre che dal regista Raffaello Matarazzo, anche dal produttore torinese Valentino Brosio, una figura che nel 1949 poteva contare su di un curriculum di tutto rispetto. Fratello dello scenografo Gino Brosio e del politico liberale Manlio Brosio – il quale, già ministro nel secondo governo Bonomi, vicepresidente del Consiglio nel governo Parri e di nuovo ministro nel primo governo De Gasperi, avrebbe infine intrapreso nel 1947 una carriera diplomatica che

61 L’apprendistato professionale di Goffredo Lombardo e le sue prime iniziative nella direzione di un

consolidamento delle strutture produttive dell’azienda di famiglia sono raccontate in BERNARDINI (1986, 21)

62 In questo testo si è deciso di considerare le date di uscita dei film all’interno dell’anno solare in cui

questi ultimi sono apparsi. In considerazione di questo fatto, i dati sul volume produttivo possono differire da quelli delle pubblicazioni che prendono come riferimento la stagione di uscita, ovvero il periodo che va dal primo settembre al trentuno di agosto di ogni anno.

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sarebbe durata fino agli anni ’70 – Valentino Brosio inizia a lavorare per la Lux di Gualino alla fine degli anni ’30, e viene così descritto da Farassino (2000, 25-26):

Torinese, avvocato, intellettuale raffinato e un po’ snob, è un cultore di antiquariato, collezionismo e storia minore piemontese. […] È il primo commissario di Cinecittà nel dopoguerra e concepisce il progetto, saggio ma politicamente prematuro, di alienare una parte dei suoi terreni per risanarne il bilancio. Le sinistre lo considerano un portavoce degli interessi americani e democristiani e certamente la sua mentalità è quanto di più distante vi sia dal neorealismo. Nei primi anni alla Lux ha seguito soprattutto i film in costume (La forza bruta, La

gerla di papà Martin, L’elisir d’amore, Colpi di timone e soprattutto I promessi sposi, Malombra

e Un colpo di pistola) ai quali ha procurato, grazie alle sue amicizie aristocratiche, locations eleganti e prestigiose. Ma nel dopoguerra “Val” Brosio sembra trasformato. Per Gualino realizza subito Abbasso la miseria! e Abbasso la ricchezza!, ma contemporaneamente diventa in pratica il direttore della Labor Film di Raffaello Matarazzo e dirige la produzione di quasi tutti i suoi film, anche in associazione con la Titanus. […] La sua specialità sono ormai i prodotti commerciali e seriali, a cui si dedicherà fino alla fine degli anni Cinquanta.

La strategia vincente della Titanus, visibile già in Catene, consiste in una fusione tra elementi cari alla propria tradizione filmografica e un linguaggio che tiene conto delle novità introdotte dal neorealismo, almeno in quella variante che Farassino (1988, 135) chiama neorealismo “industriale” – in opposizione al neorealismo “spontaneo” dell’immediato dopoguerra e a quello “radicale” dei capolavori di Rossellini, Visconti o De Sica – e che è particolarmente evidente nelle produzioni Lux della seconda metà degli anni ’40, come Abbasso la miseria! (Gennaro Righelli, 1946, produzione diretta da Brosio) oppure Il bandito (Alberto Lattuada, 1946, produzione diretta da Ponti e De Laurentiis); in questo quadro, l’aver affidato la propria ripresa produttiva a un «personaggio di perfetto stampo gualiniano» (Farassino 2000, 25) come era per certi versi Brosio indica da parte della Titanus l’intenzione di rifondare la propria estetica tenendo ben presenti le scelte della maggiore casa concorrente. È un dato che emergerà con più vigore nel corso dell’analisi della produzione successiva della casa, ma che già Argentieri (1988, 21-22) sintetizza in questi termini:

La Titanus scende in campo dopo la Lux, ma non scarterei la supposizione che Lombardo fosse ammaestrato soltanto dalle vittorie di Gualino e dei suoi collaboratori. In fondo, la Lux e la Titanus, incentratesi in percorsi non assimilabili meccanicamente, non erano restie a misurarsi con le problematiche industriali e culturali connesse a una dignitosa e remunerativa produzione media, accattivante abbastanza per riguadagnare al cinema italiano migliaia e migliaia di spettatori incantati dai film americani. […] Ambedue le case, quando ancora i massimi teorici dell’economia cinematografica erano inchiodati ai concetti di “domanda” indifferenziata e di consumo abitudinario e scarsamente selettivo, le due case puntavano già a un’offerta che aveva di mira più pubblici, più frazioni, più comparti di pubblico, svariati piani di ricezione, bisogni culturali non omogenei. Era naturale pertanto che i programmi annunciati oscillassero non tanto da un “genere” all’altro quanto tra standard comunicativi variegati, senza alcun sprezzo per le espressioni artistiche minori, ma anzi con una spiccata propensione a conciliare le innovazioni linguistiche e gli ammodernamenti tecnici, recati dal neorealismo, e le richieste del pubblico popolare.

Sebbene le due società abbiano modelli di modi di produzione e di gestione aziendale, come si vedrà, alquanto differenti quando non opposti, fino al suo ritiro dalla produzione nel 1955 la casa di Gualino sarà per quella di Lombardo un punto di riferimento imprescindibile, sul piano di un’offerta stratificata e dell’ambizione di richiamare differenti tipi di pubblico quando non su quello semplicemente estetico, come risulterà evidente dall’esame della produzione melodrammatica.

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