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I criteri per la determinazione dei collegi elettorali tra regole e deroghe costituzional

ED ESIGENZE DI RACCORDO TRA ELETTI ED ELETTORI LA DELIMITAZIONE DEI COLLEGI ELETTORAL

3. Le modalità per attuare l’eguale distribuzione della rappresentanza

3.1 I criteri per la determinazione dei collegi elettorali tra regole e deroghe costituzional

La prima questione da affrontare riguarda il criterio/parametro “base” da utilizzare per distribuire la rappresentanza all’interno dell’articolazione dello Stato. Dalle esperienze dei vari Stati tale parametro può essere distinto in due classi: un criterio generalmente demografico (che ricomprende l’utilizzo del canone della popolazione, dei cittadini, degli iscritti alle liste elettorali, dei votanti o dei voti validi), oppure una distribuzione della rappresentanza che avvenga attraverso l’utilizzo di parametri non demografici.

I parametri non demografici sono di varia natura e possono ricomprendere, ad esempio, la dimensione geografica di un territorio288. Il più delle volte, però, il parametro

non demografico risponde a logiche del tutto diverse, come nel caso in cui vi sia l’indicazione nella Costituzione di un numero di seggi prestabilito da assegnare a collegi elettorali coincidenti con entità amministrative o politiche già esistenti. Questa seconda modalità di assegnazione di un numero di seggi ai collegi elettorali, che generalmente riguarda le Camere Alte, può avvenire attraverso l’assegnazione di tutti i seggi che compongono l’Assemblea, al fine di realizzare una rappresentanza territoriale in senso proprio289. Ciò avviene, ad esempio, per la distribuzione del numero dei senatori negli

AGOSTA, Elezioni e territorio: i collegi uninominali tra storia legislativa e nuova disciplina elettorale, in M. LUCIANI, M. VOLPI, (a cura di), Riforme elettorali, La Terza, Roma-Bari, 1995, p. 180 s.

286 Tale tipologia di collegio elettorale si è tendenzialmente estinta quando ha dimostrato il proprio

fallimento nel Regno Unito, dove i collegi storici sono rimasti in vigore sino al 1832 (v. infra § 4.2).

287 G. SCHEPIS, I collegi elettorali, cit., p. 90.

288 Il criterio dell’ampiezza territoriale del collegio, pur sempre unito al criterio demografico degli

abitanti, è previsto dalla Costituzione norvegese per l’elezione del Parlamento monocamerale. Cfr. L. TRUCCO, Democrazie elettorali e stato costituzionale, Giappichelli, Torino, 2011, p. 149 s.

289 C. PINELLI, Eguaglianza del voto e ripartizione dei seggi tra circoscrizioni, in Giurisprudenza

costituzionale, n. 4/2010, p. 3323, il quale ritiene appunto che questa rappresentanza territoriale ci sia quando a essere rappresentati sono «gli enti territoriali autonomi o gli stati membri di una federazione indipendentemente dalla popolazione residente» (corsivo dell’A.). L’Autore aggrega inoltre in questa

79 Stati Uniti, dove è predeterminato nella Costituzione che a ogni Stato federato siano assegnati due senatori. Più frequentemente, però, l’utilizzo di questa seconda categoria di distribuzione è accompagnata a una suddivisione demografica: un certo numero di seggi viene assegnato, sulla base di una disposizione costituzionale, a collegi elettorali coincidenti con territori amministrativi presenti nello Stato, mentre i restanti seggi sono ripartiti, sempre tra gli stessi collegi, sulla base di uno dei criteri demografici. Un esempio di attribuzione dei seggi sulla base di entrambe le componenti è riscontrabile nell’art. 57 della nostra Carta costituzionale, dove si prevede che a ogni Regione sia assegnato un minimo di sette seggi, indipendentemente dalla consistenza demografica delle stesse, che ha prodotto certamente delle diseguaglianze in termini rappresentativi tra gli elettori situati nelle diverse regioni290. Parzialmente analoga è la previsione contenuta nella Costituzione spagnola del numero “fisso” garantito alle circoscrizioni di Ceuta e Melilla, le quali hanno diritto ad un solo singolo rappresentante indipendentemente dalla loro consistenza demografica, che, viceversa, viene prescritta dalla Costituzione per l’assegnazione dei seggi alle restanti circoscrizioni provinciali291. Allo stesso modo, sempre la Costituzione spagnola prevede un’ulteriore deroga al criterio demografico, nel momento in cui prevede che, prima di tale distribuzione, «la legge distribuirà il numero totale di Deputati assegnando una rappresentanza minima iniziale a ciascuna circoscrizione»292. In attuazione di questa disposizione, il legislatore ordinario ha previsto

che alle province siano assegnati di diritto due seggi, per poi ripartire gli altri seggi proporzionalmente sulla base della consistenza demografica delle stesse293. L’utilizzo di

categoria anche i sistemi costituzionali che prevedono una parziale assegnazione di seggi che non tenga conto della popolazione residente, come la previsione ex art. 57 Cost. per l’elezione del Senato italiano (v. infra nel testo).

290 Per esempio, a seguito del censimento del 2011 si è una prodotta una disproporzione tra gli

elettori della Basilicata, che eleggono un senatore ogni 82.576 abitanti, e gli elettori nella Regione Sardegna, che eleggono un senatore ogni 204.920 abitanti. I dati sono ricavati dalla distribuzione dei seggi avvenuta per l’elezione del 2013, per la quale la ripartizione è stata stabilita con il d.P.R. 22 dicembre 2012, Assegnazione alle regioni del territorio nazionale e alle ripartizioni della circoscrizione Estero del numero dei seggi spettanti per l’elezione del Senato della Repubblica.

291 Art. 68, comma 2. Sulla legge elettorale spagnola si veda, tra gli altri, S. CURRERI, Partiti e

Gruppi parlamentari nell’ordinamento spagnolo, Firenze University Press, Firenze, 2005, Cap. II, p. 85 ss.

292 Art. 68, comma 2.

293 Cfr. M. CACIAGLI, Spagna: proporzionale con effetti (finora) maggioritari, in O. MASSARI, G.

PASQUINO (a cura di), Rappresentare e governare, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 135. Questo comporta che a tutte le province vengono assegnati tre seggi, con l’esclusione della Provincia di Soria che, a causa della sua scarsa popolazione, ha diritto a due seggi. Sulle motivazioni, spesso non del tutto convincenti e ragionevoli, che hanno indotto il legislatore a prevedere una sovrarappresentanza delle province piccole si veda L. AGUAIR DE LUQUE, Forma di governo e sistema elettorali in Spagna, in M. LUCIANI, M. VOLPI, (a cura di), Riforme Elettorali, La Terza, Roma-Bari, 1995, p. 372 ss.

questa modalità per distribuire i seggi ha comportato un forte disequilibrio nel rapporto tra il numero della popolazione per ogni eletto nelle diverse province spagnole, che va da un minimo di 45.050 abitanti per ogni rappresentante nella provincia di Soria, a 177.671 abitanti per eletto nella provincia di Barcellona294.

L’utilizzo di un criterio non demografico, e in particolare la fissazione ex-ante di tuti i seggi di cui si compone l’Assemblea (sul modello statunitense) o di un numero parziale di seggi (sul modello italiano per il Senato e spagnolo per la Camera), al quale si può aggiungere il sistema proporzionale regressivo previsto per la distribuzione tra gli Stati degli eurodeputati295, risulta certamente, in astratto, incompatibile con il generale principio di eguaglianza, ancor prima che con la più specifica eguaglianza del voto degli elettori. Per permettere una siffatta distribuzione della rappresentanza è infatti necessario che sia la Costituzione a contemplare una parziale deroga al suddetto principio.

Qualora mancasse una puntuale previsione costituzionale sulla modalità di assegnazione dei seggi, utilizzare un criterio non demografico sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza poiché non consentirebbe una eguale capacità rappresentativa tra i cittadini dislocati nei diversi collegi elettorali296. Per tale ragione questa modalità di

294 La composizione dei collegi è ricavata sulla base degli ultimi dati disponibili sul sito istituzionale

del Censo Electoral. Per una critica alla regola che prevede una distribuzione iniziale minima per ogni circoscrizione si veda J. J. COMELLAS, J. ANDRÉS-GALLEGO (a cura di), Historia general de España y América. La epoca de Franco, Tomo XIX-2, RIALP, Madrid, 1987, p. 513, dove si analizza la disproporzionalità del “costo” di ogni singolo seggio nei diversi collegi elettorali, in un momento storico in cui tale differenza era maggiore rispetto a quella che si produce allo stato attuale, poiché la legge elettorale prevedeva, prima della riforma del 1985, un’assegnazione minima iniziale di tre seggi per ogni provincia, che aumentava certamente la sovrarappresentazione delle province con minore presenza demografica.

295 Cfr. E. CANNIZZARO, Il diritto dell'integrazione europea. L'ordinamento dell'Unione,

Giappichelli, Torino, 2014, p. 43, il quale ricorda che questo sistema permette una maggior rappresentanza da parte degli Stati più piccoli (rectius meno popolosi) a discapito delle realtà statali con maggiore popolazione. L’art. 14 par. 2, del TUE dispone infatti che «la rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente proporzionale, con una soglia minima di sei membri per Stato membro. A nessuno Stato membro sono assegnati più di novantasei seggi». La modalità degressiva, unita al numero minimo e massimo di rappresentanti per ogni singolo Stato, ha comportato nelle elezioni del 2014 che in Germania vi fosse un deputato ogni 858.729 residenti e a Malta un deputato ogni 69.419 abitanti. Date le peculiari regole stabilite in merito alla conformazione dell’Assemblea legislativa europea, A. MASTROPAOLO, L. VERZICHELLI, Il Parlamento. Le assemblee legislative nelle democrazie contemporanee, Bari, Laterza, 2006, p. 56, parlano di un Parlamento «a metà strada tra l’usuale capacità rappresentativa delle Camere basse che proiettano fedelmente la pluralità politica della popolazione nazionale e quello di una camera “federale” dove gli Stati membri hanno pari dignità e quindi un peso politico tendenzialmente equivalente».

296 In proposito A. RUSSO, Apportionment e voto eguale. La giurisprudenza costituzionale in materia

di malapportionment e di gerrymandering, in Atti della Reale Accademia Peloritana dei Pericolanti, v. LXI, 1992, sostiene che, in assenza di specifica disposizione costituzionale, il principio che il legislatore deve seguire per il disegno dei collegi è il principio di eguaglianza del voto «nell’ambito del più generale principio di eguaglianza». A tal proposito si veda infra (§ 4.1) con particolare riferimento alla costante giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti.

81 distribuzione dei seggi non verrà indagata, anche se va sottolineato che, quando la Costituzione prevede che i cittadini di alcuni territori siano sottorappresentati rispetto a quelli residenti in altri, deve comunque essere valutato il fondamento alla base del diverso trattamento riservato agli elettori. In questo senso, se è semplice trovare una giustificazione nella composizione del Senato statunitense, finalizzato ad affermare un eguale peso agli Stati federati nella politica dello Stato centrale297, è più difficile comprendere le ragioni di alcune deroghe previste per la Camera spagnola e per il Senato italiano.

Per quanto attiene all’art. 57 Cost., se è possibile trovare la ragione che ha indotto il Costituente ad assegnare un numero minimo di seggi spettanti a ogni Regione, al fine «di accentuare in Senato la rappresentanza degli interessi regionali»298, è più complicato ritrovare delle ragioni a sostegno della scelta di affidare un solo senatore alla Valle d’Aosta e due senatori al Molise. Nemmeno dalla lettura dei dibattiti parlamentati dell’Assemblea costituente, per quanto concerne la Valle d’Aosta, si comprende la ratio di una tale scelta, se non solamente quella di evitare una eccessiva sovrarappresentazione della Regione nel caso in cui anche a questa si fossero assegnati i sei seggi minimi di diritto previsti per le altre regioni299. Nello stesso modo, il dibattito legislativo che ha condotto alla legge costituzionale n. 3/1963 (Modificazioni agli articoli 131 e 57 della

Costituzione istituzione della Regione “Molise”), non permette di ricostruire l’origine

della norma, vincolante per il legislatore ordinario, di assegnare due seggi al Molise, se non, anche in questo caso, per evitare che la popolazione della Regione fosse eccessivamente sovrarappresentata rispetto al numero di abitanti che – in quel momento – erano residenti nel neo-costituito ente territoriale regionale300. La rigidità della regola e

297 Cfr. G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale comparato, Cedam, Padova, 1991, p. 523 s.

298 G. M. SALERNO, Art. 57, in V. CRISAFULLI, L. PALADIN (a cura di), Commentario breve alla

Costituzione, Cedam, Padova, 1990, p. 356. In questo senso, si possono vedere le considerazioni di Mortati, proponente dell’emendamento volto a introdurre il principio in parola, il quale sosteneva che la previsione di un minimo di sei senatori per Regione avesse la «finalità di rafforzare il peso politico delle piccole Regioni di fronte alle grandi» (Assemblea costituente 8 ottobre 1947). La proposta del Mortati trovava grande adesione nei costituenti, anche perché era stata proposta sulla scorta di indicazioni emerse in Assemblea che già intendevano garantire una rappresentanza minima, per ogni Regione, all’interno della Camera Alta.

299 In proposito L. PRETI, Diritto elettorale politico, Giuffrè, Milano, 1957, p. 152, parla di decisione,

quella della Costituente, «perfettamente logic[a], dato che la popolazione [della Valle d’Aosta] si aggira sui centomila abitanti».

300 È interessante notare invece il disegno di legge costituzionale, con identico oggetto, presentato

nel corso della III Legislatura dal Senatore Magliano. Il disegno di legge, arrivato alla conclusione dell’iter parlamentare ma non giunto ad approvazione poiché al termine della legislatura mancava la seconda

l’evoluzione demografica hanno prodotto, allo stato attuale, uno scompenso nel rapporto tra il numero di residenti per ogni seggio assegnato alle regioni “a regime ordinario” e quello presente nelle regioni con numero fisso di senatori. Questo è il caso, per esempio, della disparità tra la regione Molise, che elegge per l’appunto due senatori con una popolazione di 313.660 abitanti, e la regione Basilicata che ha diritto a più del triplo dei senatori (sette)301 con una popolazione pari a 578.036 abitanti302, con la conseguenza che, nel primo caso, c’è l’elezione di un senatore ogni 156.830 abitanti, mentre nel secondo ogni 82.576. Una sperequazione che non sembra essere sostenuta da una base giustificativa sufficiente e che potrebbe manifestare la propria irragionevolezza nel momento in cui la differenza di popolazione tra le due circoscrizioni dovesse limitarsi ulteriormente o – peggio ancora – spingersi al punto che la popolazione più consistente dovesse essere quella della Regione meno rappresentata in Senato.

Il rischio che la previsione, ancorché di rango costituzionale, manifesti la propria incoerenza si sta rivelando in Spagna, dove la popolazione del collegio della Provincia di Soria (che elegge due deputati) e quella dei collegi di Ceuta e di Melilla sta arrivando a toccare lo stesso numero di residenti ma che, per regola costituzionalmente imposta, non potranno avere lo stesso numero di rappresentanti303. Per evitare queste incongruenze, sarebbe comunque più opportuno non basarsi esclusivamente sul dato empirico presente

deliberazione della Camera dei deputati, non prevedeva l’assegnazione di due senatori alla Regione Molise, ma riprendeva il testo della IV disposizione transitoria della Costituzione: «Per la prima elezione del Senato il Molise è considerato come Regione a sé stante, con il numero dei senatori che gli compete in base alla sua popolazione». Riproporre il dettato della disposizione transitoria, veniva giustificato dal proponente poiché «secondo la Costituzione […] il Molise avrebbe, ove fosse riconosciuto regione a sé stante, diritto a sei senatori, un numero che nessuno si è mai sognato di chiedere» (Senato della Repubblica, Resoconto Stenografico dell’Assemblea, mercoledì 19 luglio 1961, p. 20821). Da tale affermazione, sembra che il proponente si riferisse all’eccessivo numero di senatori che ne sarebbero derivati rispetto all’esigua popolazione residente nella Regione. Va però notato, che dalla lettura del dibattito parlamentare in sede di approvazione della IV disposizione transitoria, si può ritenere che l’intentio legislatoris fosse diversa. Infatti, l’onorevole Camposarcuni, proponente della norma contenuta nella IV disposizione transitoria, dichiarava che: «ho proposto che soltanto per la prima elezione il Molise possa eleggere, come Regione a sé stante, i senatori ai quali ha diritto per la sua popolazione […] perché ho la certezza, specialmente dopo l'approvazione dell'articolo aggiuntivo dell'onorevole Mortati, che nei sei anni che decorreranno dalla prima elezione del Senato alla seconda, il Molise sarà finalmente riconosciuto come Regione autonoma e quindi procederà, come tale, all'elezione dei senatori in conformità di legge» (Assemblea Costituente, 6 dicembre 1947). Dalle parole del proponente si può ritenere che il Costituente, con tale disposizione, volesse preservare la rappresentanza in Senato del Molise nelle more del suo divenire a tutti gli effetti una Regione, più che garantire alla Regione stessa un determinato peso specifico inferiore a quello delle altre regioni.

301 Il numero minimo di senatori per regione è stato aumentato da sei a sette con la legge

costituzionale 9 febbraio 1963, n. 2 (Modificazioni agli articoli 56, 57 e 60 della Costituzione).

302 I dati sono riferiti al censimento generale del 2011.

303 L’andamento demografico, negli ultimi dati disponibili presentati dall’Instituto Nacional de

83 al momento della scrittura della regola costituzionale, ma prevedere, per quei territori ai quali comunque il legislatore costituzionale non vuole conferire una rappresentanza identica agli altri, quantomeno una variabilità di seggi in base alla popolazione residente. Indipendentemente dalle incongruenze che possono ravvisarsi nei dettati costituzionali, l’eguaglianza degli elettori nella ripartizione territoriale viene comunque in luce soltanto qualora nella Costituzione venga prevista l’adozione di uno dei criteri demografici non accompagnati da espresse deroghe al criterio stesso, ovvero quando nel testo costituzionale sia del tutto assente una disposizione che disciplina la materia.

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