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Rappresentanza politica in contrapposizione alla rappresentanza giuridica

4. La dottrina maggioritaria sulla rappresentanza nell’epoca liberale

4.1. Rappresentanza politica in contrapposizione alla rappresentanza giuridica

Per quel che riguarda il primo ambito di indagine, gli studi sulla rappresentanza cercavano di qualificare le caratteristiche della rappresentanza politica a partire dalle categorie della rappresentanza privatistica, provando così a delineare le caratteristiche comuni e le dissonanze tra i due istituti. Da questo punto di vista, dopo aver valutato che nella rappresentanza politica, a differenza che in quella privatistica, è assente la componente della contemplatio domini93 e quindi non c’è una trasmissione di volontà dal

rappresentato al rappresentante; che nella rappresentanza politica i soggetti del rapporto sono due (rappresentante-rappresentato), mentre nella rappresentanza di stampo privatistico i soggetti sono tre (mandante-mandatario-terzo con il quale il mandatario conclude il contratto)94; che la rappresentanza politica è caratterizzata dalla libertà del

mandato, mentre in quella privatistica vi è un mandato che predetermina l’operato del rappresentante95, si concludeva che la peculiarità della rappresentanza politica è essenzialmente identificabile nell’assenza di rapporto giuridico tra eletti ed elettori, e che, quindi, la rappresentanza del diritto pubblico non è in alcun modo assimilabile a quella dell’istituto di matrice privatistica. In conclusione, nella rappresentanza politica solo la denominazione risulta essere equiparabile alla rappresentanza di matrice privatistica poiché, sul versante contenutistico, non risulta esservi nessun elemento in comune, a partire dall’assenza di una giuridicità nel rapporto tra elettori e rappresentanti96.

Accentuare le distinzioni tra le due tipologie di rappresentanza, in particolar modo attraverso l’enfatizzazione dell’assenza di un rapporto giuridico tra le parti in causa,

93 Tra i molti si vedano V.E. ORLANDO, Del fondamento giuridico della rappresentanza politica,

cit., p. 430, che insiste sull’insistenza di mandato nella rappresentanza politica, in quanto il mandato o detta delle condizioni al rappresentante o non è mandato, e G. FERRI, Rappresentanza politica, cit., p. 84, il quale parla di due volontà: «quella del mandante e quella del mandatario» e ritiene che nella rappresentanza di diritto pubblico la prima è certamente assente poiché il mandato è libero.

94 In questo senso si veda S. FODERARO, La rappresentanza politica, cit., p. 12 ss.

95 V.E. ORLANDO, Del fondamento giuridico della rappresentanza politica, cit., p. 430 s., per il

quale infatti ogni tipologia di mandato ha dei limiti, tra i quali, per l’Autore, il più incisivo è ravvisabile nell’obbligo del mandatario di «esercitare il suo mandato secondo certi limiti», e laddove questi siano «il mandatario agisce sotto la propria responsabilità» e «il mandante non resta obbligato».

96 Cfr. L. ROSSI, I principi fondamentali della rappresentanza politica. Vol. 1: Il rapporto

rappresentativo, Bologna, Fava e Garagnani, 1894, p. 181 s.; M. SIOTTO PINTOR, Le riforme del regime elettorale. La dottrina della rappresentanza politica e dell’elettorato, cit., p. 65, ritiene che «una rappresentanza che non implichi alcuna responsabilità [giuridica] del rappresentante […] non si concepisce giuridicamente». Secondo L. CARLASSARE, Problemi attuali della rappresentanza politica, in N. ZANON, F. BIONDI (a cura di), Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità politica, cit., p. 28, enfatizzare le distinzioni, pur certamente esistenti, tra rappresentanza civilistica e rappresentanza politica servivano alla dottrina in esame per certificare l’inesistenza di un rapporto tra eletti ed elettori.

permetteva di concludere che il fulcro della rappresentanza nel diritto pubblico è la completa e totale estraniazione dei rappresentanti dagli elettori che, una volta spiegato il compito elettivo, lasciano al rappresentante la piena libertà di agire senza condizionamenti esterni97. L’“influenza” che l’elettore può imprimere alla decisione politica del rappresentante non è da valutarsi, ovviamente, come fatto giuridico derivante dal mandato imperativo, ma nemmeno come influenza di tipo politico. Non solo non vi è legame giuridico tra il rappresentato e la propria “base” elettorale, ma non vi è, in realtà – in questa concezione – nessun tipo di legame98 poiché il rappresentante deve essere lasciato libero di perseguire l’interesse generale senza che la società o gli elettori possano determinarne l’operato99.

Così impostata, la questione della rappresentanza politica, in particolar modo nel periodo liberale, genera un’accezione di rappresentante che può qualificarsi, in buona sostanza, un non rappresentante, perché si ritrova nella posizione di essere un «portatore di una autorità propria»100, e pertanto, come sostenuto da Laband, in questo contesto il rappresentante «non rappresent[a] chicchessia»101, poiché l’unica volontà presente nell’ordinamento sarebbe la volontà del solo rappresentante, che dà forma alla volontà

97 Questa classica tesi liberale sembra essere espressa anche da C. MORTATI, Art. 67, in G. BRANCA

(a cura di), Commentario alla Costituzione. Le Camere, Tomo II, Artt. 64-69, Bologna-Roma, Zanichelli, 1986, p. 184, il quale ritiene che la libertà del mandato sia funzionale ad evitare qualsiasi «influenza, da qualunque parte provenga, suscettibile di compromettere l’esercizio della funzione equilibratrice, di composizione e di sintesi degli interessi sezionali nel modo che meglio si adegui all’interesse generale».

98 Per esempio C. BALBO, Della monarchia rappresentativa in Italia, Firenze, Felice le Monnier,

1857, p. 185 ss., ritiene che il Parlamento sia portatore di un diritto proprio che trascende dai propri elettori, che permette ai rappresentanti di agire, appunto, senza nessuna influenza da parte del popolo.

99 In tal senso A. ESMEIN, Eléments de droit constitutionnel française e comparé, Paris, 1927, p.

312.

100 D. NOCILLA, Sintetiche divagazioni sulla rappresentanza politica, cit., p. 256. Sul punto si

vedano D. NOCILLA, L. CIAURRO, voce Rappresentanza politica, cit., p. 572, i quali ritengono che in questo modo l'esercizio della sovranità venga attribuito al rappresentante «in modo completo e definitivo, restandone tutt'al più al rappresentato l'astratta titolarità, e sono perciò incompatibili con il principio della sovranità popolare, proprio perché la volontà popolare ipotetica e l'interesse pubblico, che quest'ultima persegue, altro non sarebbero rispettivamente che la volontà dello stesso rappresentante e l'interesse pubblico così come da quest'ultimo interpretato».

101 P. LABAND, Il diritto pubblico dell’impero germanico, in Biblioteca di Scienze politiche ed

amministrative, Torino, 1925, p. 400. Nello stesso senso si vedano le parole di A. SALANDRA, La dottrina della rappresentanza personale, in Archivio giuridico Filippo Serafini, 1875, p. 201, secondo il quale «il deputato non rappresenta i suoi elettori; rappresenta […] solamente sé stesso, cioè il suo carattere, la sua onestà, la sua dottrina, la sua potenza, la sua nascita»; Analoghe sembrano alcune considerazioni di V.E. ORLANDO, Del fondamento giuridico della rappresentanza politica, cit., p. 438, dove l’Autore esplicitamente sostiene che «egli [il rappresentante] non rappresenta – possiamo dire – che se stesso. La sua personalità, in fatto come in diritto, appare vigorosamente autonoma» (corsivo dell’A.); In senso analogo ID., Principii di diritto costituzionale, Firenze, Barbéra, 1889, p. 70. G. ARCOLEO, Diritto costituzionale. Storia e dottrina, Jovene, Napoli, 1904, p. 130 ss., R. CARRÉ DE MALBERG, Contribution à la Théorie générale de l’État, vol. II, Paris, 1922, p. 231.

29 nazionale102. Non esiste, quindi, nessuna volontà che preesiste al rappresentante perché

nell’atto elettivo non è ravvisabile una trasmissione di volontà dall’elettore verso l’eletto103. Il popolo, in definitiva, più che soggetto della rappresentanza politica è, per questa corrente di pensiero, l’«oggetto di rappresentazione»104.

Se la volontà che risiede nel rappresentato è l’unica volontà significativa, e di conseguenza è lo stesso ad incardinare il ruolo di interprete dell’interesse generale, è semplice comprendere le motivazioni che hanno portato la dottrina a riconoscere nell’atto elettivo, prodromico alla rappresentanza politica dell’Assemblea legislativa, un atto volto alla scelta “dei migliori”105. Elezione quindi che si riassume in mera designazione di capacità106, volta ad individuare i soggetti più capaci a definire i contenuti della volontà generale. L’idea per la quale l’elezione è una designazione di capacità non è una categoria concettuale introdotta dalla dottrina liberale, ma affonda, ancora una volta, le proprie radici nei dibattiti parlamentari per l’approvazione della Costituzione francese del 1791,

102 Sul punto si veda G. SARTORI, La rappresentanza politica, cit., p. 541 s. A tal proposito si vedano

le parole di M. DE LA BIGNE DE VILLENEUVE, Traité de Droit Constitutionnel II, Paris, Sirey, 1929, p. 73 s., per il quale, drasticamente, «i rappresentanti non rappresentano niente; i mandatari non hanno mandato; i rappresentati vedono fare in loro nome il contrario di quello che vogliono; […] i governanti debbono obbedire e i governati sono teoricamente padroni»,). Questa sembra essere la posizione assunta da G. LEIBHOLZ, La rappresentazione nella democrazia, Giuffrè, Milano, 1989, p. 137 ss., il quale sostiene che la libertà di cui gode il rappresentante è prodromica al perseguimento dell’interesse nazionale così come egli lo interpreta.

103 R. CARRE DE MALBERG, Contribution à la Théorie générale de l’Etat, vol. II, cit., p. 134 s.,

specialmente laddove l’Autore sostiene che «Les députés en corps ne sont pas le représentants, mais bien les auteurs de la volonté nationale: ils sont l’organe de formation d’une volonté, qui ne commence d’exister, qui ne prend naissance, que par eux».

104 D. NOCILLA, L. CIAURRO, voce Rappresentanza politica, cit., p. 576, spec. nota 78 (Corsivo mio). 105 Il riferimento principale è ovviamente a V.E. ORLANDO, Del fondamento giuridico della

rappresentanza politica, cit., p. 441 ss. L’idea dell’elezione come una scelta di capacità era presente anche nella c.d. dottrina preorlandiana, legata anch’essa all’idea della rappresentanza della Nazione. Per tutti si veda L. PALMA, Corso di diritto costituzionale, v. II, Firenze, Pellas, 1884, p. 70, per il quale «la rappresentanza deve rappresentare, mediante gli uomini più capaci, il volere, il pensiero e la ragione della Nazione». Per una rassegna degli studi dottrinali sui concetti di Stato e Nazione, nella seconda metà del 1800, si rinvia a L. BORSI, Storia, nazione, costituzione: Palma e i preorlandiani, Giuffrè, Milano, 2007. Ma sul punto si veda anche A. SALANDRA, La dottrina della rappresentanza personale, cit., 201, il quale ritiene che un rappresentante sia in Parlamento «non per mandato dei suoi elettori, che sarebbero in media incapaci o indegni […], ma per virtù propria, per la sua capacità personale». Contrario alla dottrina dominante di fine ‘800 si poneva G. JONA, Il mandato nella rappresentanza odierna, in Il Filangieri, settembre 1892, p. 513 ss., e p. 593 ss., il quale criticava aspramente questa dottrina che, secondo l’Autore, vorrebbe l’elezione come «una semplice designazione di capacità, un mezzo per costituire una magistratura, seguendo l'esempio delle antiche democrazie, nelle quali il popolo si eleggeva i proprii magistrati, affidando ad essi la gestione dei pubblici affari», mentre per l’Autore deve essere un mezzo per fa sì che il deputato «rappresent[i] gli interessi di coloro che l[o] elessero».

106 In tal senso si esprimeva S. ROMANO, Nozione e natura degli organi dello Stato, cit., pp. 74 ss.,

con maggior enfasi le parole di G. ARCOLEO, Diritto costituzionale. Storia e dottrina, cit., p. 130, parla della «volontà dei capaci che scelgono gli ottimi».

quasi a segnare l’ennesimo tratto di continuità tra quell’esperienza e la dottrina liberale. Anche per i costituenti francesi, infatti, lo «scopo dell’elezione [era] far emergere la saggezza e il merito»107.

4.2. Enfatizzazione del dato letterale contenuto nei testi costituzionali: la

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