• Non ci sono risultati.

Alla ricerca di un ragionevole equilibrio tra eguaglianza e il principio territoriale Profili teorici e problematiche attuative

ED ESIGENZE DI RACCORDO TRA ELETTI ED ELETTORI LA DELIMITAZIONE DEI COLLEGI ELETTORAL

6. Alla ricerca di un ragionevole equilibrio tra eguaglianza e il principio territoriale Profili teorici e problematiche attuative

Dalle esperienze costituzionali richiamate in precedenza è evidente che il principio di eguaglianza implica che la distribuzione dei seggi debba essere in grado di dare la stessa possibilità agli elettori situati in collegi elettorali diversi di essere rappresentati in

506 A tal proposito, secondo E. GROSSO, Riflessioni a prima lettura sulla nuova legge in materia di

voto dei cittadini all'estero, cit., p. 3, «il sistema elettorale introdotto dalla nuova legge premierà alcune ben definite comunità italiane situate in ben definiti ambiti territoriali, che egemonizzeranno l'intera rappresentanza riservata prevista dal nuovo testo degli artt. 56 e 57».

507 Nello specifico tale introduzione è avvenuta con l’art. 2, comma 37, lettera a), della legge n. 52

Parlamento, affinché non ce ne siano taluni in grado di “essere rappresentati” da un numero di deputati maggiore di altri, ovverosia che un rappresentante rappresenti potenzialmente più elettori di altri. Se questa regola giuridica discende dal principio di eguaglianza, si è però anche potuto constatare che in nessun caso il legislatore, o il potere giudiziario, ha interpretato il principio di eguaglianza come assoluto principio di proporzionalità nella composizione dei collegi elettorali508. Tale evenienza è dovuta anche alla circostanza che se l’equazione proporzionalità=eguaglianza fosse costituzionalmente imposta, verrebbe meno la possibilità, assai frequente, di far coincidere il collegio elettorale (prevalentemente quello plurinominale) con dei territori amministrativi preesistenti. In questi casi l’assegnazione dei seggi ai collegi determina sempre una discrepanza tra numero di elettori per ogni seggio assegnato nelle diverse ripartizioni territoriali509.

Una volta stabilito che comunque è il principio di eguaglianza a governare le regole per la distribuzione iniziale dei seggi tra le ripartizioni territoriali, sarebbe da chiedersi fin dove si può spingere la possibilità di derogare anche parzialmente alla regola dell’eguaglianza, per quanto mai perfetta, nella dimensione demografica del collegio (quando esso è uninominale) o del numero di cittadini per ogni rappresentante (quando plurinominale). Dalle esperienze richiamate sembra potersi legittimamente sostenere che la ragionevolezza nella limitazione della proporzionalità nel rapporto tra il numero della popolazione per ogni eletto può emergere solo qualora siano implicate altre esigenze, tra le quali rientrano certamente quei principi di rappresentanza territoriale individuati dai legislatori e dalla giurisprudenza delle Corti che possono, in talune condizioni, portare a una limitazione della proporzionalità. In questo caso emerge una accezione del principio di eguaglianza inteso in modo non meramente formale, poiché entra in gioco anche l’eguaglianza tra gli elettori all’interno dello stesso collegio elettorale, tale da permettere ad una comunità politica di essere rappresentata in parlamento. In questo modo si

508 Parla di “principio di proporzionalità”, A. RUSSO, Collegi elettorali ed eguaglianza del voto, cit.,

p. 16. L’Autore per distinguere questo principio dal principio proporzionale della formula elettorale lo qualifica come «principio di proporzionalità territoriale». Non va comunque dimenticato, al di là delle classificazioni, che questo principio è funzionale alla garanzia di proporzionalità tra gruppi di cittadini riuniti all’interno di uno spazio territoriale, che trascende dalla connotazione territoriale o meno che vuole essere assegnata alla rappresentanza.

509 Riferimento concreto a questa osservazione si può notare nella tabella n. 1 (supra p. 86), se si

mettono in comparazione tra loro i dati relativi al “costo” di ogni seggio nei diversi collegi elettorali regionali.

143 eviterebbe di escludere dalla rappresentanza una parte della comunità politica, che, confluendo in altro collegio, potrebbe essere esclusa dalla possibilità di aver voce nel Parlamento.

Anche in presenza di questi possibili principi, bilanciabili con la proporzione del numero di cittadini che possono esprimere un rappresentante, sembra difficile configurare con certezza quale sia il punto di discrimine tra una difformità nella composizione dei collegi ragionevole e una irragionevole. Quel che sembra emergere dal dato comparato è che, con l’esclusione degli Stati Uniti, la deroga sia considerata ragionevole qualora circoscrivibile all’interno di un minimo e massimo di sperequazione ritenuta accettabile dal legislatore510. I livelli di tollerabilità sono però talmente eterogenei che si pone il problema di individuare quale sia questo limite numerico, se esiste, entro il quale non vi sia una violazione dell’eguaglianza tra cittadini.

Per quel che riguarda il nostro ordinamento, un limite costituzionalmente imposto nel caso di collegi elettorali uninominali è certamente quello del 50% in difetto o in eccesso rispetto alla popolazione media dei collegi elettorali della Nazione, o alla media di popolazione per eleggere un deputato all’interno del collegio plurinominale. Una legislazione che dovesse prevedere un limite maggiore si porrebbe in diretta violazione dell’art. 56 Cost. Superato tale limite, la distribuzione dei seggi operata sulla base del metodo del quoziente e più alti resti porterebbe infatti alcuni collegi elettorali ad avere meno rappresentanti di quanti ne avrebbero diritto sulla base del dettato costituzionale. Ciononostante, come si è cercato di delineare nei paragrafi precedenti, tale limite non è di per sé sufficiente a ritenere che sotto tale soglia di differenziazione degli elettori sia sufficiente a garantirne una posizione di eguaglianza, in particolar modo quando ogni collegio elegge un solo rappresentante.

Sotto tale soglia è complesso, e forse superfluo, fare una valutazione di ragionevolezza in modo da individuare con inequivocabile certezza il punto di equilibrio tra rappresentanza “territoriale” e proporzionalità. Svolgere infatti uno scrutinio di ragionevolezza, in astratto, su un limite numerico imposto dal legislatore può portare a risultati del tutto effimeri poiché risulterebbe comunque sempre opinabile la valutazione

510 In questo senso è interessante notare che anche la Commissione di Venezia nel Codice di buona

condotta in materia elettorale, ha ritenuto opportuno di indicare che al fine di garantire l’eguaglianza elettorale «lo scarto massimo ammissibile […] non dovrebbe superare il 10%, e in ogni caso non il 15%, salvo che siano previste delle circostanze speciali».

positiva o negativa del bilanciamento. Questo non significa che il legislatore non possa fissare a priori un limite, ma questo limite non è di per sé sufficiente a garantire il rispetto dell’eguaglianza tra gli elettori.

Il principio di eguaglianza, nella conformazione dei collegi elettorali, esige che ogni suddivisione debba essere valutata caso per caso. È per questo motivo che il punto di ragionevolezza imposto dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, as nearly as possible da valutarsi ovviamente nel caso concreto, sembra il più coerente con una visione di eguaglianza tra i cittadini. Certamente, pretendere che i collegi siano “grossomodo” identici è talora una pretesa eccessivamente formalistica del principio di uguaglianza. Se le elezioni avvengono in un momento distante dal rilevamento del dato, infatti, quell’eguaglianza che si vuole garantire con collegi “identici” è così solo sul piano squisitamente teorico.

Un esempio può essere utile per specificare quanto appena sostenuto in merito alla valutazione nel caso concreto. Poniamo il caso che si debbano disegnare due collegi elettorali uninominali attraverso l’accorpamento del territorio di quattro Comuni omogenei sotto il profilo politico, economico, sociale e composti rispettivamente da 65.000, 60.000, 35.000 e 37.000 elettori, all’interno di uno Stato in cui la media tra gli elettori del collegio è di 100.000 elettori, e in cui il legislatore ha fissato al 5%, in eccesso o in difetto rispetto alla media degli elettori all’interno dei collegi, il limite massimo di disproporzionalità nella composizione dei singoli collegi elettorali.

Comune A 60.000 elettori Comune B 35.000 elettori Comune D 65.000 elettori Comune C 37.000 elettori

Il principio di continuità territoriale dei collegi elettorali consentirebbe in questa ipotesi solo due alternative di unione dei territori comunali, mostrate nel successivo schema.

Ipotesi di unione collegi Collegio Elettori A+B 97.000 D+C 100.000 A+C 102.000 D+B 95.000

145 Nell’esempio riportato tutte le combinazioni possibili di unione dei territori comunali sono in grado di rispettare la determinazione del 5% in eccesso o in difetto prevista ipoteticamente dalla legge, ma attraverso la combinazione A+B (-3%) e D+C (0) si rende la miglior tutela all’elettore. Viceversa la combinazione alternativa, seppur in grado di produrre un divario minimo (+2% e -5%), non è la combinazione che permette la minor sperequazione nella composizione dei due collegi. Questo esempio sembra utile per dimostrare come non è necessariamente la posizione di un limite numerico, quanto piccolo esso possa essere, a garantire che gli elettori siano messi in condizione di uguaglianza davanti al procedimento elettorale511. Sempre utilizzando l’esempio posto in precedenza, però, se i quattro comuni non fossero tutti tra loro allo stesso modo politicamente, economicamente e socialmente omogenei, potrebbe essere una maggior garanzia per la tutela dell’eguaglianza degli elettori, che l’unione dei comuni avvenga in modo diverso, al fine di permettere una maggiore rappresentatività del corpo sociale. Il bilanciamento non è tanto tra rappresentanza territoriale e eguaglianza nel numero degli elettori, ma tra quest’ultima e la rappresentanza politica che esprimono gli elettori in un determinato territorio.

Certamente si è consapevoli che risulta ben più complesso trovare una regola ragionevole nel caso in cui sia necessario pervenire alla suddivisione di territori amministrativi, quali nel nostro ordinamento sono regioni, province e comuni e anche quando si tratta di dover procedere a un loro parziale accorpamento. L’attività di disgregazione del territorio è però un’attività senz’altro imprescindibile quando la differenziazione tra territori, o la loro semplice unione, non è sufficiente a garantire una corretta realizzazione dell’eguaglianza elettorale, poiché la volontà di preservare la comunità politica stanziata in un territorio non può andare a incidere oltremodo sulla composizione del collegio elettorale, tutelato dal principio d’uguaglianza512.

511 La medesima considerazione può essere applicata ai collegi plurinominali, sempre ovviamente

sulla base del numero dei seggi assegnati al collegio elettorale in proporzione alla popolazione ivi residente e non in considerazione della popolazione presente all’interno degli stessi.

512 Per esempio, sarebbe certamente irragionevole una legge elettorale che volesse mantenere unita

la comunità politica dei Comuni di grandi dimensioni demografiche, prevedendo l’impossibilità di suddividerli in più collegi elettorali. In senso parzialmente analogo all’osservazione svolta nel testo si veda A. AGOSTA, Elezioni e territorio: i collegi uninominali tra storia legislativa e nuova disciplina elettorale, cit., p. 184 ss., il quale ritiene che anche nella legge elettorale del 1993 «l’elemento qualitativo ha la precedenza logica [ma] l’elemento quantitativo finisce, però, per avere la preminenza effettiva», (corsivo dell’A.). La posizione qui sostenuta è stata avvallata anche dalla giurisprudenza amministrativa. In una sentenza del Consiglio di Stato, inerente alla struttura dei collegi uninominali previsti per l’elezione dei consigli provinciali, ha ritenuto che il mantenimento dei confini territoriali dei comuni, a discapito

Non sempre, infatti, l’identità della comunità politica è così accentuata da legittimare una deviazione nella composizione demografica dei collegi elettorali in favore del mantenimento dell’unità territoriale. Anche in questi casi, sarebbe preferibile una valutazione caso per caso, in cui poter valutare la situazione concreta di ogni collegio elettorale e stabilire se una determinata deviazione nella composizione demografica del collegio elettorale sia effettivamente da considerarsi o meno ragionevole.

Solo in alcuni e particolari casi è possibile derogare notevolmente alla proporzionalità nella composizione dei collegi. Emblematica in questo caso è la costituzione dei collegi uninominali nel Regno unito dove alcuni collegi, geograficamente coincidenti con isole dello Stato, sono costituite in collegi anche se hanno un costo popolazione-seggio decisamente inferiore al costo del seggio degli altri collegi presenti nello Stato (supra § 4.2). In questi specifici casi, anche in assenza di regole derogatorie di fonte costituzionale che disponessero in tal senso, può essere considerata tollerabile un’elevata disparità nella composizione demografica dei collegi, poiché una

dell’eguaglianza demografica dei collegi elettorali, fosse in contrasto con il generale principio di eguaglianza e con il concetto stesso di «rappresentanza politica […] che va rapportata prima ai cittadini che alle configurazioni territoriali amministrative» Cons. Stato, sez. I, 18 marzo 2009, n. 607. Sul punto si vedano le note critiche di G. TARLI BARBIERI,L'individuazione dei collegi uninominali nelle elezioni provinciali: un caso (risolto) di vuoto di tutela in materia elettorale, in Le Regioni, n. 1/2011, p. 100 ss., il quale ritiene che la decisione del Consiglio di Stato sia da ritenersi infondata, poiché nel sistema elettorale per l’elezione del Consiglio provinciale il collegio elettorale non funge da segmento di popolazione che elegge il consigliere e quindi sarebbe irrilevante la dimensione demografica dei collegi. Da segnalare, invece, l’assenza di pronunce da parte del Giudice costituzionale sul tema indagato. L’unica sentenza che si occupa del tema, infatti, è la n. 375 del 1995, che ha ad oggetto la distribuzione dei seggi per l’elezione del Consiglio provinciale della Provincia di Treviso. Nell’attuare la distribuzione, il legislatore aveva adottato un criterio proporzionale nella distribuzione dei collegi elettorali, suddividendo il territorio in collegi elettorali demograficamente coincidenti. La questione di legittimità del piano di distribuzione approvato dal legislatore produceva, secondo la Corte costituzionale, una violazione del principio di eguaglianza, poiché la legge 8 marzo 1951, n. 122 (Norme per l’elezione dei consigli provinciali) disponeva che «a nessun Comune possono essere assegnati più della metà dei collegi spettanti alla Provincia», mentre dalla distribuzione dei seggi risultava che la quasi totalità dei collegi elettorali ricomprendeva il Comune di Treviso. La Corte costituzionale ha invocato la violazione dell’art. 3 della Costituzione perché la norma prevista dalla legge n. 122/1951 si applicava in tutte le altre province del territorio dello Stato tranne nella Provincia di Treviso, determinando così un trattamento deteriore dei Comuni meno popolosi della Provincia «in raffronto a quello ad essi assicurato nel restante territorio nazionale» (Corte cost. sent. n 375/1995, 3.2 Cons. in dir.). La pronuncia non riguarda quindi specificamente l’eguaglianza tra gli elettori nella conformazione dei collegi elettori all’interno del territorio provinciale ai fini dell’elezione dell’Assemblea rappresentativa di quel territorio e non pone delle indicazioni giurisprudenziali sul legame tra collegio elettorale e uguaglianza. Certamente sarebbe stato più interessante se ad essere sollevata dinanzi alla Corte fosse stata la legge 8 marzo 1951, n. 122, introdotta al fine di garantire una maggior rappresentanza nella Provincia delle comunità appartenenti ai comuni minori a discapito dell’elemento demografico dei collegi. La sentenza in oggetto, ha però trovato nella dottrina anche interpretazioni diverse da quella proposta. Sul punto si veda I. CIOLLI, Il territorio rappresentato, cit., p. 136 s., secondo cui in questa sentenza la Corte ha voluto armonizzare il principio di eguaglianza con «il principio della rappresentatività di tutti gli enti territoriali in seno al consiglio provinciale, che è principio egualmente degno di tutela».

147 rappresentanza politica concreta, nella quale si instaura un rapporto rappresentativo tra eletti e elettori, sarebbe seriamente messa in crisi dall’elezione del rappresentante in territori non contigui.

7. L’incidenza della formula elettorale sulla distribuzione dei seggi nei collegi

Outline

Documenti correlati