• Non ci sono risultati.

Eguaglianza e rappresentatività: la dicotomia proporzionale-maggioritario

L’EGUAGLIANZA DEL VOTO NELLA FORMULA ELETTORALE

2. Eguaglianza e rappresentatività: la dicotomia proporzionale-maggioritario

La discussione dottrinale in tema di sistemi elettorali ha riguardato storicamente il dualismo tra il sistema elettorale maggioritario, inteso come sistema “poco” rappresentativo ma con un discreto valore in termini di stabilità, e il sistema elettorale proporzionale, come sistema che “fotografa” una certa situazione politica del momento e in grado di proiettare nel Parlamento una maggiore rappresentatività dell’elettorato.

La distinzione tra le due categorie di sistema elettorale non è avvenuta, infatti, solo guardando al sistema elettorale dal punto di vista dell’eguaglianza del voto e degli elettori, ma anche concentrandosi sul concetto di rappresentatività delle Assemblee elettive. Sin dai primi studi sulla rappresentanza politica si è ritenuto con fermezza che all’interno di un sistema rappresentativo si dovesse garantire una piena rappresentatività degli elettori, raggiungibile solo attraverso l’utilizzo del sistema proporzionale, che sarebbe l’unico strumento in grado di “dar voce” egualmente a tutti gli elettori e rappresentare il pluralismo della società562.

561 Nota che la dottrina si è suddivisa in due diversi “gruppi di pensiero” P. PINNA, Il premio di

maggioranza alla prova dell’uguaglianza del voto, in Diritto e Storia, n. 11/2013, p. 1.

562 Le prime tracce in questo senso sono riferibili a J. STUART MILL, Considerazioni sul governo

Anche nella fase di passaggio tra lo stato liberale e lo stato democratico è stata forte in dottrina la preferenza per il sistema proporzionale, poiché considerato l’unico strumento legislativo-elettorale in grado di garantire il pluralismo della società all’interno dell’Assemblea rappresentativa. In particolar modo Kelsen ha individuato poi nel sistema proporzionale lo strumento per permettere l’evoluzione «dell’organizzazione dei cittadini in partiti politici» affinché in questo modo «tutti gli interessi di partito possano esprimersi ed entrare in concorso affinché il compromesso finale intervenga fra di loro»563.

Le prime esperienze di sistemi elettorali proporzionali, e ancor prima dei sistemi elettorali maggioritari con rappresentanza delle minoranze, trovava forte sostegno in numerosi movimenti “per la proporzionale”, i quali sostenevano con fermezza che l’adozione di tale sistema fosse in grado di produrre un risultato parlamentare “più rappresentativo” del sistema maggioritario. Agli inizi del 1900, quindi, sia la scena dottrinale sia la società civile sembravano orientati a ritenere che vi fosse una maggior democraticità nel sistema elettorale proporzionale564. Solo il proporzionale sarebbe stato in grado di a svolgere una funzione realmente rappresentativa dell’elettorato perché avrebbe permesso a «tutti i gruppi politici» di essere rappresentati in Parlamento con la conseguenza di un aumento della «probabilità di esprimere la volontà del popolo»565 all’interno dell’Assemblea.

In quella fase storica erano numerosi gli studi di matrice costituzionale, riferiti anche al nostro ordinamento, volti a legittimare con forza l’utilizzo di sistemi elettorali non integralmente maggioritari, nel tentativo di “screditare” il sistema elettorale maggioritario plurinominale allora vigente nel neo-costituito Stato italiano. In questo periodo la rappresentanza politica proporzionale veniva valutata positivamente sulla base

dovrebbe «attribuire a ogni singolo individuo uguale valore nel conteggio del consenso» poiché quando «per via del funzionamento del meccanismo elettorale esiste una minoranza emarginata, il potere è detenuto non dalla maggioranza ma solo da una minoranza».

563 H. KELSEN, La democrazia, Il Mulino, Bologna, 1981, p. 103.

564 A tal proposito va almeno accennata la proliferazione di associazioni di proporzionalisti che erano

sorte in tutto il mondo occidentale, negli anni tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900, allo scopo di promuovere riforme elettorali in senso proporzionale poiché ritenuto il principale modello elettorale in grado di aumentare il tasso di democraticità degli Stati. Si possono richiamare, a tal proposito, l’Association réformist costituita a Ginevra nel 1865; la Proportional Representation League fondata a New York nel 1867 o la Proportional Representation Society costituita a Londra nel 1869. Su tali esperienze si veda A. CANTARO, Introduzione, in G. CANTANARO, A. CANTARO, Riforma elettorale e rappresentanza politica, ESI, Napoli, 1992, p. 18 e l’approfondimento di E. BETTINELLI, All’origine della democrazia dei partititi, Edizioni di Comunità, Milano, 1982, p. 12 ss.

171 di un generale principio di uguaglianza, sostenendo che «il principio di rappresentanza proporzionale […] è un corollario dell’eguaglianza politica di tutti i cittadini» in quanto, «se tutti sono uguali, il voto di tutti […] deve contare»566. Allo stesso tempo, si cercava anche di delegittimare i sistemi elettorali non proporzionali in quanto non sarebbero stati in grado di garantire una piena rappresentatività degli elettori e delle forze politiche poiché escludevano dal circuito rappresentativo le minoranze che invece avrebbero dovuto trovare “voce” nel Parlamento567.

L’introduzione del principio di uguaglianza in tema di elezione, avvenuto con l’approvazione della Costituzione nel 1948, ha visto sorgere una certa cultura costituzionale che si è posta il problema di garantire uno spazio di rappresentanza alle minoranze che non sarebbero agevolate dall’adozione di un sistema maggioritario ancorché uninominale568.

La preferenza per un sistema elettorale proporzionale non deriva però solamente da una certa “lettura” del principio d’eguaglianza, ma discende anche da tutta una serie di

566 T. TITTONI, Scrutinio di lista e rappresentanza proporzionale, in Nuova antologia, 1919, p. 19,

Sul punto anche F. GENALA, Della libertà ed equivalenza dei suffragi nelle elezioni. Ovvero della proporzionale rappresentanza delle maggioranze e minoranze, Milano, 1871, p. 201, riteneva l’eguaglianza dei suffragi in senso sostanziale il principio che il legislatore doveva seguire per ottenere un sistema rappresentativo. Secondo l’Autore «bisogna mantenere sempre intatta l’unità del voto, derogare all’unità del collegio di quel tanto che è strettamente necessario per rendere applicabile a una data elezione il sistema; e nel tempo stesso conservare il più che è possibile l’unità del quoziente» (corsivo dell’A.), e concludeva che il metodo del quoziente sarebbe stato l’unico sistema in grado di «tradu[rre] in alto la libertà e uguaglianza dei suffragi». Sul punto, commentando la storia dei movimenti proporzionalisti di fine 1800 che si erano sviluppati in tutti i paesi liberali dell’Europa occidentale, C. DE FIORES, Rappresentanza politica e sistemi elettorali in Italia, in Costituzionalismo.it, n. 3/2007, p. 2, ritiene che essi avevano come obiettivo il «riconoscimento della piena eguaglianza politica di tutti i cittadini». Per una lettura contraria alla dilagante “proporzionalizzazione” della rappresentanza che veniva avanzata nel corso della fine dello Stato liberale si veda A. PATERNOSTO, Sulla dottrina della rappresentanza proporzionale delle minoranze, Tipografia del Senato, Roma, 1878.

567 Sul punto si vedano le parole di S. SONNINO, Della rappresentanza proporzionali in Italia,

Firenze, 1872, p. 4 s., il quale ritiene che il sistema elettorale maggioritario «altera e rende fittizia la rappresentanza del paese, poiché, prendendo per base le vittorie […] nei singoli collegi, toglie affatto la rappresentanza a tutti i cittadini che rimasero in minoranza». In questo periodo storico la rappresentanza delle minoranze politiche voleva essere tutelata, ancor prima che con l’utilizzo dei sistemi proporzionali, con l’utilizzo dei c.d. sistemi maggioritari con rappresentanza delle minoranze. Sulle tipologie di sistema maggioritario a “garanzia” delle minoranze politiche si veda infra § 8.2.1.

568 In tal senso T. MARTINES, Art. 56-58, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione,

p. 97, il quale pur riconoscendo la «legittimazione democratica dei sistemi maggioritari» ritiene che tale sistema elettorale non sia in grado di tutelare adeguatamente la presenza delle minoranze politiche. Per l’Autore quest’ultima sarebbe un’esigenza della quale l’ordinamento deve farsi carico, sicché «se si vuole dare attuazione al principio della tutela delle minoranze politiche, il sistema elettorale da adottare non può che essere proporzionale». Secondo G. AMBROSINI, Sistemi elettorali, cit., p. 13, l’applicazione integrale del sistema maggioritario «è il sacrificio completo della minoranza o delle minoranze; sacrificio che può diventare tanto più notevole quanto minore venga ad essere la differenza numerica tra la maggioranza e la minoranza».

interpretazioni dei principi che governano il sistema rappresentativo democratico. In alcuni casi si raffigura la prevalenza del sistema proporzionale partendo da una certa interpretazione del principio di eguaglianza569 che permetterebbe la realizzazione della rappresentanza democratica solo con tale sistema570. In altri casi, si ricorre alla netta predilezione per il principio proporzionale in quanto unico strumento elettorale in grado di condurre nel Parlamento il pluralismo insito nella società571 o comunque in grado di connotare la democrazia come «rilevazione della società»572, e di tutelare nel contempo la necessaria rappresentanza delle minoranze politiche573. Infine, si ritiene costituzionalmente necessario il proporzionale in quanto sarebbe l’unico sistema elettorale in grado di permettere quell’eguale concorso tra i partiti politici alla determinazione della politica nazionale, di cui all’art. 49 della Costituzione574. Tutti questi principi svolgerebbero, in connessione tra loro, una funzione determinante nel sistema rappresentativo democratico sicché «un’alterazione dei seggi rispetto ai voti

569 Sul punto si veda G. FERRARA, Ricostruire la rappresentanza politica, in AA.VV., La Riforma

elettorale, Passigli Editori, Firenze, 2007, p. 225 s.

570 Cfr. L. CARLASSARE, Maggioritario, in Costituzionalismo.it, n. 1/2018, p. 1 s., secondo cui il

sistema elettorale maggioritario è «un sistema che nel tradurre i voti in seggi consente ad una lista di ottenere più seggi di quanti gliene spetterebbero in base al criterio proporzionale, falsando la rappresentanza e travolgendo il senso profondo del governo rappresentativo». Secondo G.U. RESCIGNO, Democrazia e principio maggioritario, in Quaderni costituzionali, n. 2/1994, p. 221, il sistema elettorale maggioritario oltre a non garantire l’eguaglianza tra gli elettori «diminuisce il tasso di democrazia perché ledono gravemente il principio “una testa un voto”».

571 Nette le parole di G. AZZARITI, Rappresentanza politica e stabilità del Governo: due piani da

non sovrapporre, in AA.VV., La Riforma elettorale, Passigli Editori, Firenze, 2007, p. 156, secondo cui «l’adozione di un sistema elettorale di tipo proporzionale appare dunque una conseguenza necessaria alla volontà di conservare la dialettica politica e sociale, che rappresenta un “valore” delle democrazie pluraliste».

572 G. FERRARA, Democrazia e stato del capitalismo maturo. Sistemi elettorali e di governo, in

Democrazia e diritto, n. 4-5/1979, p. 545.

573 In questo senso, tra gli altri, P. G. GRASSO, Sui sistemi elettorali a collegio uninominale con

rappresentanza delle minoranze, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 5/1955, p. 604, il quale chiaramente identifica il sistema maggioritario uninominale come contrario al «principio ispiratore della rappresentanza delle minoranze, che consiste nel valorizzare il maggior numero possibile di voti». L. RONCHETTI, Rappresentanza politica come rappresentanza costituzionale, in Costituzionalismo.it, n. 3/2015, p. 25, sembrerebbe favorevole al sistema elettorale proporzionale proprio nell’ottica di «promozione e tutela delle minoranze quale contropotere del principio di maggioranza durante tutto il rapporto rappresentativo».

574 Sul punto G. FERRARA, Il governo di coalizione, Giuffrè, Milano, 1973, p. 52 ss., il quale fa

discendere «l’ideologia proporzionalistica» dagli articoli 2, 3 e 49 della Costituzione. Sul punto anche ID., Alcune osservazioni su popolo, Stato e sovranità nella costituzione italiana, in Rassegna di diritto pubblico, 1965, p. 269 ss., dove l’Autore pone l’accento all’eguale concorso dei partiti alla determinazione politica nazionale che condurrebbe a ritenere costituzionalmente “imposta” la scelta per la proporzionale.

173 conseguiti da ciascuna forza politica che si presenta alle elezioni non potrebbe a rigore essere ammessa»575.

Dal punto di vista dell’eguaglianza del voto, però, anche per i sostenitori della legittimità del sistema maggioritario non è il principio dell’eguaglianza del voto “in uscita” a essere l’elemento che determina la legittimità di tale sistema elettorale, poiché la rappresentatività dell’Assemblea deriverebbe esclusivamente dalla circostanza che i rappresentanti, essendo eletti unicamente dai e nei singoli collegi elettorali, hanno una propria legittimazione autonoma e, volendo, scollegata da quella del risultato della forza politica di appartenenza576.

Anche in questo caso, quindi, la legittimità o l’illegittimità di un sistema elettorale non discende esclusivamente dal principio d’eguaglianza del voto in “uscita” ma deriva da una serie di altri parametri che conducono a ritenere, a seconda dei casi, la ragionevolezza o meno di un certo sistema elettorale. Quel che viene in rilievo è la circostanza che la dottrina, anche nel dibattito circa la preferibilità costituzionale del sistema proporzionale o la legittimità del sistema maggioritario, pare uniformarsi attorno ad una visione volta a immortalare il principio di eguaglianza e quello di rappresentatività come elementi connaturati nel solo sistema elettorale proporzionale, giacché se deve esserci l’eguaglianza essa deve riguardare l’eguaglianza tra tutti gli elettori.

3. L’eguaglianza del voto e il paradigma proporzionale nella giurisprudenza

Outline

Documenti correlati