7. Il passaggio dallo Stato liberale allo Stato costituzionale democratico La pluralità di interessi e il ruolo del Parlamento.
7.1. La rappresentanza come rapporto politico e l’influenza dei rappresentati nel processo politico.
In una società in cui sono presenti variegati interessi il rappresentante deve essere tratteggiato come un soggetto che deve farsi portatore anche di interessi e valori che “rappresentino” gli elettori dai quali “sono stati eletti”, «per tradurli in risposte politiche […] corrispondenti alla soddisfazione degli interessi» stessi188. L’atto elettorale deve essere allora identificato come «l’atto costitutivo di un rapporto di rappresentanza» che comporta la negazione del «principio della rappresentanza della nazione»189, perché gli
eletti rappresentano qualcuno in quanto rappresentano quella parte del popolo che ha affidato la cura di interessi al rappresentante. È proprio da questa moltitudine di interessi che ne discende la necessità di un «vincolo durevole tra il rappresentante e il popolo»190, in modo tale che il primo possa portare in Parlamento le esigenze politiche avanzate dal secondo191.
187 Vedi infra §7.2.
188 G. FERRARA, Art. 55, cit., p. 30.
189 G. SARTORI, La rappresentanza politica, cit., p. 540. Sulla rappresentanza della Nazione vedi
infra § 7.3.
190 In tal senso G. JELLINEK, La dottrina generale del diritto e dello Stato, cit. p. 153. Jellinek, pur
sempre un esponente della scuola tedesca della sovranità dello Stato (come ricorda G. G. AMATO, La sovranità popolare nell’ordinamento italiano, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1962, p. 75, nota 6) e del popolo come organo dello Stato poteva, a differenza di Laband, giungere a tale conclusione poiché aveva teorizzato che popolo e Parlamento anche se erano entrambe organi dello Stato non erano sullo stesso piano. Infatti nella teoria di Jellinek il popolo sarebbe stato un organo primario mentre il Paramento un organo secondario, con la conseguenza che la volontà dei parlamenti (p. 124) «vale come volontà del popolo, come volontà del popolo primario da essi rappresentato» e pertanto (p. 139) in qualità di organo primario il popolo crea l’organo secondario, composto da propri rappresentati.
191 La circostanza per la quale il rappresentante dovrebbe farsi portatore di interessi del proprio
elettorato, è stato interpretato, dalla dottrina, come elemento che non si pone in necessaria contrapposizione con un eventuale interesse nazionale. In questo senso H. F. PITKIN, I due volti della rappresentanza, cit., p. 224, la ritiene errata la posizione di chi intravede nella rappresentanza il “rappresentante della nazione” poiché per l’Autrice «suggeriscono l’idea che per un rappresentante eletto in California avere il dovere di “rappresentare” l’intera nazione sia come se egli avesse il compito di “rappresentare” gli interessi di New York». L’Autrice ritiene però non convincente nemmeno la posizione di chi esclude l’esistenza di un interesse nazionale o, comunque, che questo sia necessariamente in contrapposizione con l’interesse del collegio elettorale. In un certo qual senso sembrano affini le considerazioni sugli interessi teorizzate da B. CONSTANT, Interesse generale e interessi particolari, cit., p. 107, il quale ritiene che «l’interesse generale è senza dubbio distinto dagli interessi particolari, ma non gli è affatto contrario».
49 In questo contesto di formazione dinamica delle decisioni all’interno del Parlamento si può introdurre il concetto di responsività, quale «rispondenza tra il popolo nelle sue diverse articolazioni e ne suoi diversi gruppi, e i propri rappresentanti»192, che presuppone, per la sua attuazione, una «stabile comunicazione fra eletti ed elettori»193. Il rapporto tra l’eletto e l’elettore non serve a garantire che il rappresentante sia responsivo194, poiché il rapporto è pur sempre una questione che rimane su un piano politico, ma significa che il meccanismo elettorale deve facilitare questa rispondenza, o meglio, deve garantire che questa rispondenza possa essere attuata.
Parlare di rispondenza alle esigenze degli elettori comporta ammettere che il rappresentato possa influenzare le decisioni assunte del rappresentante, ovverosia che in un rapporto dinamico le decisioni del rappresentante possano trovare una giustificazione agli occhi del rappresentato195. Se è vero che gli elettori non sempre hanno opinioni circa una determinata questione, è pur vero che il rappresentante deve fungere da soggetto, non
192 H. J. LASKY, Studies in the problem of sovereignty, New Haven, 1937, p. 16 ss., il quale aggiunge,
inoltre, che «Parliamentary opinion, Parliamentary statute, are the results of a vast complex of forces towards which men and groups, within and without the State, make often enough valuable contribution». Sulla responsività si vedano: H. F. PITKIN, I due volti della rappresentanza, cit. p. 213 ss.; ID., La controversia mandato indipendenza, in D. FISICHELLA (a cura di), La rappresentanza politica, Giuffrè, Milano, 1983, p. 177 ss.; ID., Representation and Democracy: Uneasy Alliance, in Scandinavian Political Studies, n. 3/2004, p. 335 ss., H. EULAU, P.D. KARPS, Le componenti della responsività, in D. FISICHELLA, (a cura di), La rappresentanza politica, Milano, 1983, p. 291 ss. H. EULAU, Chancing Views of Representation, in I. DE SOLA POOL (a cura di), Contemporary Political Science: toward empirical theory, New York, 1967 p., 60 ss., e H. EULAU, J. C. WAHLKE, W. BUCHANAN, L. C. FERGUSON, The Role of the Representative: Some Empirical Observations on the Theory of Edmund Burke, in American Political Science Review, n. 53/1959, p. 742 ss. Come ben sottolinea A. DI GIOVINE, Fra direttismo e antipolitica: qualche spunto sul referendum in Italia, in N. ZANON, F. BIONDI (a cura di), Percorsi e vicende attuali della rappresentanza e della responsabilità politica, cit. p. 75 s., la responsività starebbe ad indicare «la disponibilità ricettiva (o, tout court, la ricettività) degli eletti nei confronti delle preferenze degli elettori».
193 Così P. RIDOLA, La rappresentanza parlamentare, cit., p. 457, il quale ricorda come per questa
posizione teorica, di matrice nordamericana, «il pluralismo dei gruppi e delle opinioni non è un fattore di disturbo del processo rappresentativo».
194 H. F. PITKIN, I due volti della rappresentanza, cit., 247, ritiene che il rapporto rappresentativo
non sia governato da «una costante attività di rispondenza» ma che la responsività sia da inquadrare come «una costante […] prontezza potenziale a rispondere». Come segnalano H. EULAU, P.D. KARPS, Le componenti della responsività, cit. p. 320, ricopre un piano diverso la valutazione circa l’effettiva capacità del rappresentante ad essere responsivo. Una diversa questione che attiene alla rappresentanza politica è infatti da ravvisarsi anche nel come il rappresentante interpreta il proprio ruolo. Sul punto H. EULAU, Legislatore e ruoli rappresentativi, in D. FISICHELLA (a cura di), La rappresentanza politica, cit., p. 149 ss., distingue, attraverso un’indagine empirica, tre categorie di ruoli rappresentativi (fiduciario, delegato e politico) sulla base del “come” si percepisce un rappresentante. Sulla problematica richiamata si veda G. SARTORI, Il Parlamento. (Appunti su una ricerca), Sansoni, Firenze, 1961, p. 29 il quale distingue in quattro categorie il ruolo che può assumere un rappresentante: fiduciario, delegato, duttile o appartenente (inteso quest’ultimo come «appartenenza a un ceto o una classe»).
195 Sul punto H. F. PITKIN, La controversia mandato-indipendenza, cit., p. 207, sostiene che «se il
rappresentante agisce nell’interesse dei suoi elettori, essi vorranno ciò che è nel loro interesse e di conseguenza approveranno quanto fatto il rappresentante».
solo che interpreti gli interessi, ma che possa creare l’interesse attraverso un rapporto consensuale con gli elettori196. In definitiva, parlare di rapporto elettore-rappresentante non sta ad indicare una trasmissione di volontà, nel senso della concezione privatistica di tale istituto. Significa richiamare l’idea per la quale il sistema possa reggersi su un realistico rapporto politico, continuativo, tra i due soggetti della rappresentanza affinché possa crearsi un consenso attivo197, che permetta la formazione della decisione politica in un processo decisionale aperto allo «scambio e revisione delle opinioni»198.
L’influenza che i rappresentati possono avere sui rappresentanti è dovuta anche alla diversa concezione del potere elettorale in un ordinamento costituzionale. La circostanza di affidare all’elettore un compito che non si limiti all’autorizzazione elettorale, ma un ruolo che possa avere una certa rilevanza nel corso della legislatura, deriva infatti anche dall’abbandono della qualifica del ruolo dell’elettore a soggetto che esercita una mera funzione. L’attività elettorale, infatti, nel passaggio dallo Stato liberale allo Stato democratico, si è tramutata in un diritto soggettivo individuale del cittadino, che lo Stato non può limitare discrezionalmente. La possibilità di sostenere un ruolo attivo da parte del cittadino è direttamente collegata all’idea che la sovranità appartiene ad ogni singolo soggetto del popolo199. Se la sovranità appartiene ad ogni cittadino, non si può negare che
196 L’idea della creazione del consenso, attraverso un rapporto con gli elettori, sembra essere uno
dei pilastri su cui si regge il parlamentarismo inglese. Da analisi tendenzialmente empiriche, risulta che il parlamentare mantenga un certo interesse per le esigenze dei propri elettori, che sarebbe valutabile anche sulla base del tempo effettivamente trascorso dal rappresentante nel proprio collegio d’elezione. Su quest’ultimo aspetto si veda lo studio di D. D. SEARING, The Role of the Good Constituency Member and the Practice of Representation in Great Britain, in The Journal of Politics, v. 47, n. 2/1985. Contra la posizione esposta nel testo si veda G. U. RESCIGNO, Alcune note sulla rappresentanza, cit., p. 554 s., il quale ritiene che «i desideri [dei rappresentati] nascono in quanto formulati dal rappresentato» quindi «prima della formulazione [da parte del rappresentante] non esiste nulla da rappresentare; il rappresentante fa esistere la rappresentazione». È vero che, come osserva E-W. BÖCKENFÖRDE, Democrazia e rappresentanza, in Quaderni costituzionali, n. 2/1985, p. 255, nella logica della responsività il rappresentante ha la «capacità di anticipare bisogni e interessi», questo però non significa che tale attività sia sempre possibile, e che non si possa parlare anche di creazione comune di interessi.
197 Si può parlare di consenso attivo in quanto, come sottolinea L. RONCHETTI,
Rappresentanza politica come rappresentanza costituzionale, in Costituzionalismo.it, n. 3/2015, p. 21, «nella rappresentanza democratico-costituzionale, infatti, si tratta di comprendere se il consenso è associato al verbo consentire nel senso di permettere o se, invece, non si riferisca piuttosto al concordare».
198 N. URBINATI, Lo scettro senza re. Partecipazione e rappresentanza nelle democrazie moderne,
Donzelli, Roma, 2009, p. 46 s.
199 Questa è la tesi avanzata da V. CRISAFULLI, La sovranità popolare nella Costituzione italiana,
in ID., Stato, popolo, Governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Giuffrè, Milano, 1985, p. 122, per il quale nell’ordinamento italiano «la suprema potestà di governo non è attribuita al popolo come unità indivisibile […] ma a tutti i cittadini […] ciascuno dei quali ha un diritto personale di parteciparvi con la propria volontà e perseguendo il proprio orientamento politico». In senso analogo le parole espresse da T. MARTINES, Introduzione al diritto costituzionale, Giappichelli, Torino, 1994, p. 15, il quale identifica nell’art. 1 della Costituzione non il popolo nel suo complesso, ma il singolo soggetto «titolare, pro capite,
51 questo sia un soggetto della rappresentanza e che pertanto possa influenzare la decisione politica200. Nella rappresentanza politica dovrebbe esistere un raccordo continuo tra elettore e rappresentante necessario a per far si che nello Stato vi sia una «continuità democratica»201 che permetta alla democrazia di propagarsi dal basso verso l’alto202, in modo tale che si possano realisticamente imputare al popolo le decisioni assunte dai rappresentanti203. In questo modo la democrazia verrebbe a qualificarsi non come statico governo sul popolo, ma come un complesso processo politico nel quale il popolo è parte attiva «ben aldilà dell’atto formale di autorizzazione elettorale»204. A differenza che nel classico schema liberale, il rappresentato esiste e ha un ruolo determinante, quello di essere il soggetto principale in grado di influenzare le scelte politiche dei rappresentanti. Si può parlare di elettori che hanno dei propri rappresentanti nella misura in cui, se l’attività elettorale è funzionale alla creazione di un rapporto di rappresentanza, il deputato rappresenta qualcuno perché rappresenta proprio degli elettori, che restano rappresentati anche nel corso della legislatura205.
In definitiva, se nella società sono presenti variegati interessi derivanti dalla
di una particella di sovranità». Sul punto si veda anche D. NOCILLA, voce Popolo, in Enciclopedia del diritto, v. XXIV, Giuffrè, Milano, 1985, p. 376 ss. e 384 ss. In senso analogo si vedano le considerazioni di G. FERRARA, Alcune osservazioni su popolo, stato e sovranità nella Costituzione italiana, in Rassegna di diritto pubblico, n. 2/1965, p. 269 ss., e ID., La sovranità popolare e le sue forme, in Costituzionalismo.it, 1/2006, p. 10 s., volte a contestare la percezione maggioritaria del popolo come una unità astratta.
200 Sulla correlazione tra sovranità popolare, quale «esercizio effettivo e continuo dei diritti
costituzionalmente garantiti» e il potere «di influenzare le decisioni degli organi supremi» si veda L. CARLASSARE, La sovranità del popolo nel pluralismo della democrazia liberale, in ID (a cura di), La sovranità popolare nel pensiero di Esposito, Crisafulli, Paladin, Cedam, Padova, 2004, p. 6.
201 C. LAVAGNA, Il sistema elettorale nella Costituzione italiana, in Rivista trimestrale di diritto
pubblico, 1952, p. 856, ritiene che dall’art. 1 Cost. ne deriva che l’ordinamento sia imperniato sulla «continuità democratica» con la quale si vuole identificare una situazione dove le «istituzioni di governo siano in permanenza espressione, diretta o indiretta, della sovranità popolare» e che quindi sia necessario «una continua, effettiva rispondenza […] alla reale volontà del popolo». In senso analogo L. CARLASSARE, Conversazioni sulla Costituzione, Cedam, Padova, 2002, p. 25 s., ritiene che esista un rapporto continuativo tra eletti ed elettori poiché nella rappresentanza politica «non può mai essere [una] delega totale e definitiva» ma deve essere una delega «tale da consentire la continuità di influenza popolare su chi governa»
202 Cfr. P. CARETTI, I gruppi parlamentari nell’esperienza della XIII legislatura, in L. CARLASSARE
(a cura di), Democrazia, rappresentanza, responsabilità, Cedam, Padova, 2001, p. 53 s., per il quale la rappresentanza politica dovrebbe «partire dai cittadini per approdare nelle aule parlamentari, con la mediazione dei partiti e dei gruppi».
203 Cfr. L. SPADACINI, L’eclissi della rappresentanza all’origine della crisi del Parlamento italiano,
in A. D’ANDREA (a cura di), Il governo sopra tutto, Brescia, Bibliofabbrica, 2009, p. 85.
204 N. URBINATI, Representative Democracy. Principles and Genealogy, Chicago University Press,
Chicago, 2006, p. 224. Sul punto si veda L. CARLASSARE, La sovranità del popolo nel pluralismo della democrazia liberale, cit., p. 6 ss.
205 Come sottolinea L. RONCHETTI, Rappresentanza politica come rappresentanza costituzionale,
cit., p. 20, «Il rapporto elettivo non esaurisce affatto il rapporto rappresentativo, ma ne soddisfa una sua sola fase, costitutiva senz’altro, ma non esclusiva: il momento elettivo è un passaggio di chiusura ma anche di apertura di un ciclo rappresentativo».
presenza di un corpo sociale complesso e articolato, è necessario, in un ordinamento democratico, che vi sia uno strumento elettorale capace di affermare nel Parlamento gli orientamenti di tale composita realtà. L’obiettivo di un sistema di Parlamento rappresentativo dovrebbe essere quello di avvicinarsi ad una democrazia che può assumere i caratteri di una democrazia partecipativa, in una accezione però assai estesa del concetto. Una partecipazione politica che avviene all’interno di un processo rappresentativo in corso e che si gioca esclusivamente sul versante eletto-elettore, senza che vi sia la necessità di strumenti legislativi, ulteriori, volti ad ampliare la partecipazione attraverso istituti di democrazia diretta o partecipativa206.
7.2. Una possibile antinomia: l’art. 67 Cost. Una lettura evolutiva del