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Le dimissioni del Presidente del Consiglio Beata Szydło e l'attivazione della

Il 7 dicembre 2017 il Governo resistette ad una seconda mozione di sfiducia costruttiva presentata da Piattaforma civica. Nonostante questa vittoria l'11 dicembre il Presidente del Consiglio Beata Szydło presentò le dimissioni. Il Presidente della Repubblica Andrzej Duda nominò come nuovo Presidente il ministro delle Finanze Mateusz Morawiecki che non effettuò quasi nessuna variazione della compagine governativa e nominò Beata Szydło Vice-presidente. Il Governò mantenne, quindi, la sua stabilità nonostante i mutamenti formali. Le dimissioni di Beata Szydło dalla carica 115. Sul punto si veda la causa C-224/01, Kobler, 30 settembre 2003, punto 38.

di Presidente del Consiglio furono fortemente volute dal leader di Diritto e Giustizia Jarosław Kaczynski anche se le sue motivazioni non sono state rese note. Si presume che quest'ultimo si fosse intimorito della popolarità della sig.ra Szydło e della sua capacità di crearsi degli spazi di autonomia; si presume anche che confidasse nelle capacità di Mateusz Morawiecki di distendere i rapporti assai tesi con l'Ue.

Lo stesso giorno di approvazione delle leggi sul Consiglio nazionale della magistratura e sulla Corte suprema ossia il 20 dicembre 2017, la Commissione europea annunciava l'avvio della procedura di cui all'art. 7 c.1 TUE nei confronti della Polonia per l'esistenza di una minaccia sistemica allo stato di diritto, in relazione proprio alle leggi giudiziarie116. L'articolo prevedeva che su proposta motivata di un terzo degli Stati

membri, del Parlamento europeo o, nel caso in esame, della Commissione europea, il Consiglio deliberando a maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri, previa approvazione del Parlamento europeo, potesse constatare l'esistenza di un rischio evidente di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori fondamentali dell'Unione europea di cui all'art. 2 TUE. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascoltava lo Stato membro interessato e poteva rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura.

Dopo due anni di dialogo con le autorità polacche che non avevano dato i risultati sperati né impedito un ulteriore deterioramento della situazione, era necessario e proporzionato aprire una nuova fase di dialogo che vedeva il coinvolgimento formale del Parlamento europeo e del Consiglio.

Nella proposta motivata117 la Commissione esprimeva preoccupazione per la

mancanza di un controllo di costituzionalità indipendente e legittimo in Polonia e per l'adozione da parte del Parlamento polacco di leggi (legge sulla Corte suprema, legge sull'organizzazione dei Tribunali ordinari, legge sul Consiglio nazionale della magistratura e legge sulla Scuola nazionale di magistratura) le cui disposizioni destavano grave preoccupazione in ordine all'indipendenza della magistratura, alla separazione dei poteri e alla certezza del diritto. Le preoccupazioni principali riguardavano in particolare i nuovi regimi di pensionamento dei giudici della Corte

116. La Commissione europea avviava tale procedura a seguito di tre Risoluzioni del Parlamento europeo rispettivamente del 13 aprile 2016, del 14 settembre 2016 e del 15 novembre 2017 dove il Parlamento esprimeva sostegno per le raccomandazioni sullo Stato di diritto e per la procedura di infrazione, esprimendo il parere che l'attuale situazione in Polonia rappresentasse un evidente rischio di violazione grave dei valori di cui all'articolo 2 TUE.

117. Proposta motivata a norma dell'articolo 7, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione europea e sullo Stato di diritto in Polonia – Proposta di decisione del Consiglio sulla constatazione dell'esistenza di un evidente rischio di violazione grave dello Stato di diritto da parte della Repubblica di Polonia 2017/0360 in https://ec.europa.eu/info/index_it.

suprema e dei giudici dei Tribunali ordinari, la nuova procedura di ricorso straordinario presso la Corte suprema, la destituzione e la nomina dei Presidenti dei Tribunali ordinari e infine l'interruzione del mandato e la procedura di nomina dei giudici membri del Consiglio nazionale della magistratura. Tutte queste modifiche legislative presentavano la caratteristica comune di permettere sistematicamente al potere esecutivo o a quello legislativo di esercitare una considerevole ingerenza nella composizione, nei poteri, nell'amministrazione e nel funzionamento di tali autorità e organi.

La Commissione ricordava di aver aperto fin dal gennaio 2016 un dialogo strutturato con le autorità polacche, circostanziando sempre i propri dubbi e timori in modo obiettivo e approfondito. Conformemente alla Rule of Law framework, la Commissione aveva emesso un parere sullo Stato di diritto in Polonia, cui fecero seguito tre raccomandazioni rispettivamente il 27 luglio 2016, il 21 dicembre 2016e il 26 luglio 2017. Nonostante la fitta corrispondenza e le numerose riunioni tenutesi con le autorità polacche il dialogo non era riuscito ad eliminare le preoccupazioni della Commissione, la quale constatava con profonda amarezza che la situazione era andata peggiorando. In particolare:

1) la nomina illegittima della Presidente del Tribunale costituzionale, l'ammissione dei tre giudici nominati senza valida base giuridica dal Sejm, la nomina di uno di questi giudici a Vice-presidente del Tribunale, i tre giudici che erano stati nominati legittimamente a ottobre 2015 dal precedente Sejm che non avevano potuto assumere la funzione presso il Tribunale e gli ulteriori sviluppi, avevano comportato un rinnovo integrale del Tribunale al di fuori del normale processo costituzionale per la nomina dei giudici. Per tali motivi, la Commissione riteneva che l'indipendenza e la legittimità del Tribunale costituzionale fossero seriamente compromesse e che, pertanto, non poteva più essere garantito il controllo di legittimità costituzionale sulle leggi polacche;

2) la legge sui Tribunali ordinari abbassando l'età pensionabile obbligatoria dei giudici e, nel contempo, subordinando la proroga del loro mandato a una decisione discrezionale del ministro della Giustizia inficiava il principio di inamovibilità dei giudici. La discrezionalità del ministro della Giustizia di nominare e di destituire i Presidenti dei Tribunali non incontrava limitazione in quanto la decisione avveniva senza vincoli a criteri prestabiliti, senza obbligo di motivazione e senza che la magistratura potesse in qualche modo bloccare la decisione. Al giudice destituito gli veniva negato anche il diritto di ricorso in via giudiziaria. Per tali motivi l'indipendenza

dei Presidenti dei Tribunali e degli altri giudici risultava fortemente compromessa; 3) la legge sul Consiglio nazionale della magistratura che prevedeva la cessazione del mandato di tutti i giudici membri del Consiglio nazionale della magistratura e la loro sostituzione con giudici nominati integralmente dal Sejm lasciava ampio spazio all'ingerenza politica;

4) la legge sulla Corte suprema che prevedeva il pensionamento forzato di un numero considerevole degli attuali giudici della Corte, insieme alla possibilità di prorogarne il mandato attivo, e l'introduzione di un nuovo sistema disciplinare per i giudici della Corte compromettevano strutturalmente l'indipendenza dei giudici della Corte suprema. Il pensionamento forzato di un numero consistente degli attuali giudici consentiva una ricomposizione profonda e immediata della Corte suprema, i cui giudici sarebbero stati nominati dal Presidente della Repubblica su raccomandazione del Consiglio nazionale della magistratura nella sua nuova composizione costituita prevalentemente da membri di nomina politica. L'attuale maggioranza parlamentare sarebbe stata in grado di determinare la nuova composizione della Corte suprema in una misura di gran lunga superiore rispetto a quanto sarebbe possibile in un sistema in cui le norme vigenti sulla durata dei mandati dei giudici operassero normalmente. Infine la nuova procedura di ricorso straordinario minava il principio della certezza del diritto.

La combinazione delle modifiche legislative proposte amplificava l'effetto negativo di ciascuna di esse, al punto da mettere seriamente a repentaglio l'indipendenza di tutte le componenti del sistema giudiziario polacco e aumentando sensibilmente la minaccia sistemica allo Stato di diritto.

Le conseguenze delle riforme costituzionali polacche potevano essere molto gravi, in quanto l'indipendenza e la legittimità del Tribunale costituzionale erano state seriamente compromesse e non poteva più essere garantita la legittimità costituzionale delle leggi polacche. Il Parlamento polacco aveva adottato una serie di atti legislativi particolarmente sensibili, come la nuova legge sul pubblico impiego, la legge sulla polizia, la legge sull'ufficio della Procura, la legge sul Difensore civico, la legge sul Consiglio nazionale dei media e la legge antiterrorismo che avevano eroso lo Stato di diritto. Il rispetto di quest'ultimo era un prerequisito fondamentale per garantire il rispetto di tutti i diritti e gli obblighi derivanti dai trattati e per lo sviluppo della fiducia reciproca da parte di cittadini, imprese e autorità nazionali negli ordinamenti giuridici di tutti gli altri Stati membri. Il corretto funzionamento dello Stato di diritto era essenziale per un funzionamento fluido del mercato interno e per un contesto favorevole agli

investimenti, in quanto gli operatori economici dovevano sempre avere la certezza di essere trattati con equità dalla legge. Il rispetto dello Stato di diritto era alla base anche della fiducia reciproca nel settore della giustizia e degli affari interni, in particolare ai fini di un'efficace cooperazione giudiziaria in materia civile e penale.

Spettava agli Stati membri organizzare il proprio sistema giudiziario, decidendo se istituire un Consiglio superiore della magistratura, il cui ruolo consisteva nel salvaguardare l'indipendenza della magistratura. Qualunque fosse il modello di sistema giudiziario prescelto, doveva sempre essere tutelata l'indipendenza del potere giudiziario conformemente al diritto dell'Unione.

Il 22 dicembre 2017 il Consiglio approvava formalmente la sua decisione ai sensi dell'art. 7 c.1 TUE affermando che sussisteva in Polonia un evidente rischio di violazione grave dello Stato di diritto.

Durante il comunicato stampa il Vice-presidente della Commissione Frans Timmermans precisava che la procedura prevista dall'art 7 c.1 TUE e avviata nei confronti della Polonia non poteva definirsi un'opzione nucleare dal momento che si trattava solo dell’ennesimo tentativo di iniziare un dialogo strutturato con il Governo polacco. Frans Timmermans si dichiarava pronto, in stretta consultazione con il Parlamento europeo e il Consiglio, a riconsiderare la proposta motivata qualora le autorità polacche avessero adempiuto ai punti della raccomandazione. Deflagrante nei suoi possibili effetti, poteva essere invece l’adozione della procedura prevista dall’art. 7 c.2 TUE che avrebbe consentito, una volta accertata l’esistenza effettiva di violazioni gravi dei valori fondamentali UE, di sanzionare uno Stato membro persino privandolo del diritto di voto in seno alle istituzioni UE. Per attivare tale procedura era però necessaria l'unanimità degli Stati membri, assai impraticabile, visto che il Presidente del Consiglio ungherese Viktor Orbán aveva già dichiarato il suo disaccordo. Il meccanismo sanzionatorio appariva quindi impraticabile e la posizione della Commissione temeraria. L'arma nucleare dell'art. 7 TUE si traduceva nella pratica in un meccanismo di improbabile applicazione ed oggetto di critiche da parte degli Stati che accusavano l'UE di privarli della sovranità nazionale, in primis Ungheria e Polonia.

5.7 Il parere della Commissione di Venezia n. 904 dell'8 dicembre 2017 e la quarta

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