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Il parere sullo Stato di diritto della Commissione europea del 1 giugno 2016

Commissione Frans Timmermans si recò a Varsavia il 5 aprile 2016, dove incontrò il ministro degli affari esteri Waszczykowski, il ministro della Giustizia Ziobro, il Vice- presidente del Consiglio Morawiecki, il Presidente e il Vice-presidente del Tribunale costituzionale rispettivamente Rzeplinski e Biernat. Nonostante l'attivazione di un dialogo assiduo caratterizzato da un rilevante rapporto epistolare, non risultò possibile trovare soluzioni efficaci alle problematiche sollevate. Quindi, Frans Timmermans si recò nuovamente a Varsavia il 24 maggio dello stesso anno per un ulteriore incontro politico-tecnico, dove ebbe modo di parlare anche con il Presidente del Consiglio Beata Sydzlo verificando, suo malgrado, che il Governo polacco non aveva preso misure concrete necessarie a calmare le preoccupazioni della Commissione e a risolvere la crisi costituzionale. «Despite our best efforts, it has note been possible to find solutions to

the issues at stake» dichiarò il Vice-presidente Frans Timmermans pochi istanti prima

della formalizzazione del parere.

di trasmetterlo al Governo di Varsavia. Il contenuto del parere rimase riservato, in quanto non venne immediatamente pubblicato ma solo annunciato tramite un comunicato stampa. Il 7 giugno 2016 il Professor Laurent Pech, studioso di diritto europeo alla Middlesex University di Londra presentò richiesta di accesso al contenuto del parere che gli venne negato il 18 luglio 2016. Le motivazioni addotte per il rifiuto spiegavano che la divulgazione del parere avrebbe compromesso «la protezione della finalità dell'indagine in corso» minando il clima di fiducia reciproca tra le autorità polacche e la Commissione, di primaria importanza per una soluzione condivisa del problema onde evitare l'insorgere di una minaccia sistemica allo Stato di diritto. Come osservò lo stesso Laurent Pech, il rifiuto iniziale della Commissione di divulgare il testo integrale del parere risultò difficile da conciliare con la divulgazione integrale dell'11 marzo 2016 del parere della Commissione di Venezia sulle modifiche alla legge del 22 dicembre 2015 sul Tribunale costituzionale polacco. La scelta della Commissione privò i cittadini polacchi e i loro rappresentanti della possibilità di discutere il contenuto del parere e di elaborare soluzioni condivise. La successiva decisione della Commissione di pubblicare una prima raccomandazione sullo Stato di diritto il 27 luglio 2016 portò il professore Laurent Pech a chiedere alla Commissione di rivedere il rifiuto iniziale di divulgazione del parere adottato il 1 giugno 2016. Nella sua richiesta egli sosteneva che la riservatezza sul contenuto del parere non aveva favorito lo sviluppo della fiducia reciproca e non aveva indotto il Governo polacco a cooperare in buona fede, né a produrre i risultati richiesti sia dalla Commissione europea, che dalla Commissione di Venezia. Considerata, poi, l'avvenuta pubblicazione della raccomandazione, la non divulgazione del parere non aveva più ragion d'essere. La Commissione accettò la richiesta del professore e divulgò il testo integrale del parere, affermando che l'obbligo di riservatezza veniva meno a seguito della pubblicazione della raccomandazione del 27 luglio 201692.

Nella parte introduttiva del parere la Commissione esprimeva le sue preoccupazioni in merito allo Stato di diritto in Polonia e offriva alla Repubblica di Polonia un'opportunità per rispondere a tali preoccupazioni. Ribadiva che l' Unione europea era fondata su un insieme comune di valori sanciti dall'art. 2 TUE e il suo compito oltre a quello di garantire il rispetto del diritto dell' UE, era anche quello di garantire i valori comuni dell'Unione, insieme al Parlamento europeo, agli Stati membri e al Consiglio. Per tali motivi la Commissione, tenendo conto delle sue responsabilità attribuitegli dai 92. Sulla vicenda si veda L. Pech, Commission Opinion of 1 June 2016 regarding the Rule of Law in Poland: Full text now available, in EU Law Analysis, 19 agosto 2016, http://eulawanalysis.blogspot.it/.

trattati, l'11 marzo 2014 aveva adottato una comunicazione sul nuovo quadro dell'UE per rafforzare lo Stato di diritto che stabiliva le modalità di reazione della Commissione in caso di minaccia allo Stato di diritto in uno Stato membro dell'Unione e spiegava i principi che lo Stato di diritto comportava.

Dopo un'attenta valutazione dei fatti, la Commissione riteneva che la situazione polacca sollevasse una serie di preoccupazioni in merito a determinate questioni:

1) la nomina dei giudici del Tribunale costituzionale e l'esecuzione delle sentenze K 34 del 3 dicembre 2015 e K 35 del 9 dicembre 2015.

La Commissione riteneva che suddette sentenze vincolanti e definitive del Tribunale costituzionale riguardanti la nomina dei giudici costituzionali dovevano obbligatoriamente essere applicate. Queste sentenze stabilivano l'assunzione delle funzioni da parte dei tre giudici nominati dalla precedente legislatura del Sejm, mentre i tre giudici nominati dalla nuova legislatura senza una base giuridica valida non dovevano assumere questa funzione. Il fatto che queste sentenze non fossero state attuate sollevava serie preoccupazioni in merito allo Stato di diritto.

2) la legge del 22 dicembre 2015 che modificava la legge sul Tribunale costituzionale e la sentenza del Tribunale costituzionale K 47 del 9 marzo 2016.

La Commissione riteneva che gli emendamenti concernenti il quorum di presenza, la maggioranza dei voti, la gestione dei casi in ordine cronologico e il ritardo minimo per le audizioni minavano l'efficacia del Tribunale costituzionale come garante della Costituzione in virtù del loro effetto combinato. Nello specifico il quorum insolitamente elevato di presenza di tredici giudici su quindici per l'adozione delle decisioni da parte del Tribunale costituzionale rappresentava un grave limite al processo decisionale con il rischio di una paralisi dell'organo. In effetti una situazione del genere era presente al momento dell'adozione del parere, in quanto il Tribunale aveva solo dodici giudici. La maggioranza dei due terzi per l'adozione di decisioni aggravava significativamente il processo a differenza della stragrande maggioranza dei sistemi giuridici europei che richiedevano solo la maggioranza semplice. Anche il Tribunale costituzionale aveva ritenuto che la Costituzione polacca prescrivesse il voto a maggioranza semplice e che il requisito di una maggioranza qualificata fosse da considerarsi incostituzionale. La gestione dei casi in ordine cronologico influiva negativamente sulla capacità di prendere rapidamente decisioni sulla costituzionalità delle nuove leggi. L'impossibilità di tenere conto della particolare natura di una causa o della sua importanza o del contesto in cui veniva presentata, poteva impedire al Tribunale costituzionale di ottemperare al

principio di una durata ragionevole delle cause. L'obbligo di informare le parti in causa almeno tre mesi prima e, per i casi più importanti, sei mesi prima della data dell'udienza rischiava di rallentare inutilmente il procedimento. L'assenza di una disposizione generale che poteva consentire al Tribunale costituzionale di ridurre tali termini in casi urgenti era incompatibile con il requisito di una durata ragionevole dei procedimenti ai sensi dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE. La Commissione riteneva che l'impatto combinato di queste disposizioni sull'efficacia del controllo costituzionale impediva al Tribunale costituzionale di garantire pienamente un controllo costituzionale efficace e di adempiere alla sua funzione di meccanismo di salvaguardia istituito a livello nazionale per garantire lo Stato di diritto. La Commissione rilevava inoltre che alcuni emendamenti aumentavano il coinvolgimento di altre istituzioni dello Stato nei procedimenti disciplinari riguardanti i giudici del Tribunale. In particolare, al Presidente della Repubblica o al ministro della Giustizia era stato conferito il potere di avviare un procedimento disciplinare nei confronti di un giudice del Tribunale costituzionale e, in casi particolarmente gravi, spettava al Sejm prendere la decisione finale sul licenziamento di un giudice a seguito di una richiesta in tal senso da parte del Tribunale costituzionale. Il fatto che un organo politico decidesse in merito ad una sanzione disciplinare inficiava l'indipendenza della magistratura, in quanto il Parlamento avrebbe deciso in base a considerazioni politiche.

Il Tribunale costituzionale aveva statuito nella sentenza K 47 del 9 marzo 2016 l'incostituzionalità della legge del 22 dicembre 2015. Il Governo polacco contestava la legittimità della sentenza, in quanto il Tribunale costituzionale non aveva applicato la procedura prevista dalla legge del 22 dicembre 2015 e per tale motivo non aveva proceduto alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta ufficiale. Il rifiuto del Governo di pubblicare la sentenza non era conforme al rispetto richiesto per il Tribunale, in quanto garante della Costituzione e non era compatibile con lo Stato di diritto. Il rifiuto di pubblicare la sentenza negava l'effetto giuridico e operativo di una sentenza vincolante e definitiva, violando i principi di legalità e separazione dei poteri. La situazione poneva le basi per future controversie che avrebbero influenzato negativamente non solo la presente sentenza, ma tutte le future sentenze del Tribunale. Poiché quest'ultime, a parere del Governo, dovevano essere rese conformemente alla legge del 22 dicembre 2015, il rischio di continue controversie su ogni sentenza futura avrebbe compromesso il corretto funzionamento della giustizia costituzionale in

Polonia. Questo rischio si era di fatto già materializzato poiché il Tribunale aveva finora emesso nove sentenze dalla sentenza K 47/16 e nessuna di queste era stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale.

3) Legge sui media ed altre leggi.

Una serie di nuovi atti legislativi particolarmente delicati erano stati adottati dal Sejm, spesso attraverso procedure legislative accelerate, come la legge sui media, legge sulla funzione pubblica, la legge che modificava la legge sulla polizia e alcune altre leggi, le leggi sulla pubblica accusa, la legge sugli Uffici della Procura e una nuova legge sul Difensore civico. La Commissione aveva richiesto al Governo polacco lo stato di avanzamento e il contenuto di queste riforme legislative nelle sue lettere del 1° febbraio 2016 e del 3 marzo 2016, senza ottenere puntuali informazioni. Inoltre, erano stati sottoposti al Sejm numerosi altri progetti di atti legislativi sensibili, come i progetti di legge sui nuovi media e una nuova legge antiterrorismo. La legge sui media sollevava preoccupazioni relative alla libertà e al pluralismo dei sistemi di comunicazione. Questa modificava le regole per la nomina dei Consigli di amministrazione e di sorveglianza delle emittenti del servizio pubblico, ponendole sotto il controllo del ministro del Tesoro, piuttosto che di un organo indipendente. La nuova legge prevedeva inoltre il licenziamento immediato degli esistenti organi di vigilanza e di gestione. A tale proposito, la Commissione si interrogava in particolare sulle possibilità di ricorso giurisdizionale per le persone coinvolte. La legge che modificava la legge sulla polizia e alcune altre leggi sollevava questioni relative al rispetto dei diritti fondamentali, inclusa la privacy e la protezione dei dati.

Per le ragioni sopra esposte, la Commissione riteneva che fino a quando il Tribunale costituzionale non avesse potuto garantire pienamente un efficace controllo costituzionale, non ci sarebbe stato alcun controllo effettivo sul rispetto dei diritti fondamentali degli atti legislativi. Ciò sollevava serie preoccupazioni riguardo allo Stato di diritto, dal momento che un certo numero di nuovi atti legislativi particolarmente delicati erano stati recentemente adottati dal Sejm per i quali avrebbe dovuto essere disponibile un affidabile controllo costituzionale. La Commissione riteneva che sussisteva una situazione di minaccia sistemica allo Stato di diritto in Polonia. Il rispetto dello Stato di diritto non era solo un prerequisito per la protezione di tutti i valori fondamentali elencati nell'articolo 2 TUE. Era inoltre un prerequisito per il rispetto di tutti i diritti e gli obblighi derivanti dai trattati e dal diritto internazionale e per assicurare la fiducia reciproca di tutti i cittadini dell'Ue e delle autorità nazionali nei

sistemi giuridici di tutti gli altri Stati membri. La Commissione riteneva che questa minaccia allo Stato di diritto doveva essere affrontata con urgenza. Le autorità polacche avrebbero dovuto rispettare e dare piena attuazione alle sentenze del Tribunale costituzionale del 3 e 9 dicembre 2015 relative alla nomina dei giudici. Ciò significava in particolare che il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto accettare il giuramento dei tre giudici nominati dalla precedente legislatura. Inoltre era necessario che le autorità polacche rispettassero e pubblicassero la sentenza del Tribunale costituzionale del 9 marzo 2016 relativa alle norme sul funzionamento del Tribunale costituzionale. Dovevano anche pubblicare e conformarsi a tutte le sentenze emesse dal Tribunale costituzionale dal 9 marzo 2016 in poi. Infine, la Commissione sottolineava che la leale cooperazione tra le diverse istituzioni statali nelle questioni relative allo Stato di diritto era essenziale per trovare una soluzione allo stallo attuale. A tal fine tutte le autorità polacche avrebbero dovuto astenersi da azioni e dichiarazioni pubbliche che potessero compromettere la legittimità e l'efficienza del Tribunale costituzionale.

La Commissione invitava il Governo polacco a presentare le sue osservazioni entro due settimane dal ricevimento del presente parere. Sulla base di queste osservazioni, la Commissione restava a disposizione del Governo polacco ed era pronta a proseguire il dialogo costruttivo con quest'ultimo.

Le reazioni iniziali delle autorità polacche all’avvio della procedura d’indagine da parte della Commissione europea oscillarono tra il rabbioso e l'ostentata indifferenza. Jarosław Kaczynski minacciò il ricorso alla Corte di giustizia europea, denunciando l’ingerenza negli affari interni polacchi da parte dell'Ue. Un primo segno di ragionevolezza si intravide qualche giorno dopo, quando il Governo polacco decise di sospendere l'entrata in vigore della contestata legge sul servizio pubblico radiotelevisivo e di attendere la sua valutazione da parte della Commissione europea. Il 24 giugno 2016 il Governo polacco inviava alla Commissione una lettera con la quale comunicava lo stato di avanzamento dei lavori parlamentari in Polonia, ivi inclusi quelli relativi a una nuova legge sul Tribunale costituzionale e esprimeva la convinzione che i lavori intrapresi in Parlamento per l'adozione di una nuova legge sul Tribunale costituzionale rappresentassero il giusto modo per raggiungere una soluzione costruttiva.

4.9 La legge n. 23 sul Tribunale costituzionale del 22 luglio 2016 e le reazioni del

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