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Il “pacchetto giustizia”: la legge sull'ufficio della Procura, la legge d

emendamento sull'organizzazione dei Tribunali ordinari.

La sottomissione del Tribunale costituzionale al potere esecutivo è stata seguita dall'adozione del cosiddetto “Pacchetto giustizia” che costituì un colpo al cuore del sistema giudiziario. Questo pacchetto era costituito da: una legge sull'ufficio della Procura del 28 gennaio 2016, una legge di emendamento della Scuola nazionale della magistratura dell'11 maggio 2017, una legge di emendamento sull'organizzazione dei Tribunali ordinari e altre leggi del 12 luglio 2017, una legge di emendamento del Consiglio nazionale della magistratura dell'8 dicembre 2017 e una legge sulla Corte suprema sempre dell'8 dicembre 2017108.

La legge sull’Ufficio della Procura riunì la carica di Procuratore Generale con quella di ministro della Giustizia, sottoponendo i Procuratori al controllo dell'esecutivo.

La legge sulla Scuola nazionale di magistratura conferiva ai giudici assistenti mansioni di giudice nei Tribunali distrettuali per un periodo di quattro anni ed erano autorizzati ad operare come giudici monocratici nei Tribunali distrettuali. Nell'ordinamento giuridico polacco, però, i giudici assistenti non avevano lo stesso status dei giudici ordinari. Venivano nominati per un periodo limitato di quattro anni e solo dopo trentasei mesi potevano iniziare a candidarsi a nuovi procedimenti al fine di diventare giudici. Per essi non valevano le stesse garanzie di tutela dell'indipendenza della magistratura applicabili ai giudici e per quanto riguardava la loro nomina, questa

108. A. Angeli, A. Di Gregorio, J. Sawicki, La controversa approvazione del “pacchetto giustizia” nella Polonia di “Diritto e Giustizia”: ulteriori riflessioni sulla crisi del costituzionalismo polacco alla luce del contesto europeo, cit.

spettava al ministro della Giustizia con una partecipazione minima del Consiglio nazionale della magistratura. A differenza del posto di giudice, quello da giudice assistente investito di funzioni giudiziarie non era previsto dalla Costituzione ed implicava che, per tale figura professionale, lo status e le garanzie d'indipendenza potessero essere modificati con legge ordinaria. Il fatto che ai giudici assistenti veniva concessa l'autorizzazione ad operare come giudici monocratici nei Tribunali distrettuali rendeva particolarmente rilevante la questione della loro indipendenza.

Nel corso dell'iter legislativo della legge, la Corte suprema e il Consiglio nazionale della magistratura avevano espresso preoccupazioni chiedendosi se le garanzie di indipendenza dei giudici assistenti rispettassero la Costituzione e il principio dell'equo processo di cui all'art. 6 c.1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

La legge di emendamento sull'organizzazione dei Tribunali ordinari e altre leggi del 12 luglio 2017 modificava il regime di pensionamento applicabile ai giudici ordinari e prevedeva l'abbassamento dell'età pensionabile da sessantasette a sessanta anni per le donne e da sessantasette a sessantacinque per gli uomini, con la facoltà di richiedere una proroga fino al settantesimo anno di età al ministro della Giustizia che decideva in maniera discrezionale. Non veniva stabilito il termine entro il quale il ministro della Giustizia dovesse prendere questa decisione, il che gli consentiva di mantenere influenza sui giudici per la restante durata del loro mandato. Anche prima dell'età pensionabile obbligatoria, la semplice prospettiva di dover chiedere al ministro della Giustizia tale proroga poteva configurarsi come una pressione sui giudici interessati.

Nel sistema giuridico polacco i Presidenti di Tribunale avevano un duplice ruolo, in quanto oltre ad essere i responsabili della gestione del Tribunale, svolgevano anche funzioni giudicanti. Per sei mesi dopo l'entrata in vigore della legge il ministro della Giustizia aveva il potere di destituire i Presidenti di Tribunale senza essere vincolato a criteri concreti, senza obbligo di motivazione e senza che la magistratura potesse bloccare la decisione. Contro la decisione di destituzione non era neanche ammesso ricorso per via giudiziaria. Trascorso il periodo di sei mesi, il ministro della Giustizia poteva continuare a destituire i Presidenti di Tribunale, ma solo previa consultazione del Consiglio nazionale della magistratura, che poteva bloccare la destituzione con una risoluzione adottata a maggioranza dei due terzi dei voti. Per quanto riguardava la nomina dei nuovi Presidenti dei Tribunali i criteri da applicare erano i seguenti: per la nomina a una Corte d'appello, il Presidente doveva essere scelto fra i giudici di Corte d'appello o di Tribunale regionale; per la nomina a un Tribunale regionale, il Presidente

doveva essere scelto fra i giudici di Corte d'appello o di Tribunale regionale o di Tribunale distrettuale; per la nomina a un Tribunale distrettuale, il Presidente doveva essere scelto fra i giudici di Tribunale regionale o di Tribunale distrettuale. Il ministro della Giustizia non era obbligato a consultare la magistratura sulla scelta. Soltanto a nomina avvenuta, il ministro presentava il Presidente di Tribunale all'Assemblea generale dei giudici del Tribunale interessato. Il potere di nomina dei presidenti di Tribunale da parte del ministro della Giustizia restava invariato anche dopo il periodo di sei mesi.

Infine veniva ampliato il potere di rimozione del Ministro della Giustizia che, oltre alle ipotesi tradizionali quali il mancato esercizio delle proprie funzioni oppure la prosecuzione delle stesse in contrasto con i fini di giustizia ovvero in caso di dimissioni, poteva rimuovere dalla carica i Presidenti e i Vice-presidenti delle Corti comuni per scarsa efficienza nella supervisione e nell'organizzazione dei lavori delle Corti di livello inferiore, previo parere del Consiglio nazionale della magistratura. Nell’ambito di tale procedura, il ministro della Giustizia poteva sospendere temporaneamente dall’esercizio delle funzioni il Presidente o il Vice-presidente di una Corte comune. Il parere negativo del Consiglio nazionale della magistratura era vincolante per il ministro della Giustizia se adottato a maggioranza dei due terzi dei voti. Qualora invece esso non si esprimesse entro trenta giorni, il ministro della Giustizia poteva procedere con la revoca del Presidente o Vice- presidente della Corte. Il ministro della Giustizia poteva rivolgere al Presidente di un Tribunale di grado inferiore, al Presidente o al Vice-presidente della Corte di appello osservazioni scritte in merito a una sua presunta cattiva gestione del Tribunale. Come conseguenza essi potevano vedersi ridurre l'indennità legata alla funzione di una percentuale che arrivava fino al 50%, per un periodo massimo di sei mesi. Poiché la decurtazione della remunerazione di un giudice in conseguenza di un suo comportamento costituiva a tutti gli effetti una sanzione disciplinare, il ministro della Giustizia non doveva disporlo autonomamente, senza il fondamento di una decisione giudiziaria.

Il 13 settembre 2017 il ministro della Giustizia iniziò ad esercitare il potere di destituire i Presidenti e i Vice-presidenti di Tribunale conferitogli dalla legge arrivando a destituire ventiquattro Presidenti di Tribunale e nominandone trentadue, compresi quelli i cui posti si erano resi vacanti in modo regolare. Pochi giorni dopo, il 15 settembre e il 18 ottobre 2017, il Consiglio nazionale della magistratura criticò le decisioni del ministro della Giustizia di destituire alcuni Presidenti di Tribunale,

ritenendo che detto potere arbitrario violasse il principio costituzionale di indipendenza degli organi giurisdizionali e il principio di imparzialità dei giudici. Considerato che i Presidenti di Tribunale sono giudici attivi, la destituzione arbitraria durante il periodo di sei mesi insieme ai nuovi criteri di nomina consentivano al ministro della Giustizia di mantenere su di essi un'influenza in grado di comprometterne l'indipendenza personale nell'esercizio delle funzioni giudiziarie. Ad esempio, il Presidente di Tribunale chiamato a pronunciarsi in una causa sensibile contro lo Stato, temendo una possibile destituzione, sarebbe stato propenso a condividere la posizione del governo, non valutando la causa in maniera obiettiva. L'indipendenza del giudice significava che questi esercitasse la propria funzione senza subordinazione nei confronti di nessuno e venisse anzi tutelato da interventi o pressioni dall'esterno che potevano compromettere l'indipendenza di giudizio nelle cause.

La Corte di Giustizia nella causa C-53/03 e C-103/97109aveva affermato che un

giudice realmente indipendente doveva essere tutelato dalla destituzione mediante efficaci meccanismi di salvaguardia contro indebiti interventi o pressioni da parte del potere esecutivo. Di conseguenza, le disposizioni suddette non potevano essere giudicate conformi alle norme europee in base a cui l'inamovibilità dei giudici doveva essere garantita fino all'età pensionabile obbligatoria.

I Presidenti di Tribunale, in qualità di responsabili della gestione del Tribunale, godevano di rilevanti poteri nei confronti degli altri giudici. La discrezionalità di destituzione e di nomina conferita al ministro della Giustizia poteva influire sul modo in cui i Presidenti di Tribunale esercitavano tali poteri gestionali nei confronti degli altri giudici. I poteri conferiti al ministro della Giustizia avevano ripercussioni anche sull'indipendenza dei giudici sottoposti all'autorità del Presidente di Tribunale esposto alle pressioni dell'esecutivo. I Presidenti di Tribunale esercitavano rilevanti poteri: il potere di sostituire i giudici nella funzione di capi divisione o di capi sezione del Tribunale, di trasmettere ai capi divisione o capi sezione un avviso scritto, eventualmente abbinato, in caso di mancanza di professionalità, a una riduzione dell'indennità legata alla funzione e di trasferire i giudici senza il loro consenso all'interno della giurisdizione del Tribunale che presiedevano.

Nella causa 20261/12110 La Corte europea dei diritti dell'uomo aveva stabilito un

chiaro nesso fra la destituzione dalla carica di Presidente di Tribunale e l'indipendenza

109. Sul punto si veda la causa C-53/03, Syfait e altri, 31 maggio 2005, punto 31 e la causa C-103/97 Kollensperger e Atzwanger, 4 febbraio 1999 punto 20.

della magistratura. La sentenza sosteneva che la destituzione anticipata del ricorrente dalla carica di Presidente della Corte suprema, pur permettendogli di rimanere in carica come giudice, avesse inficiato l'indipendenza stessa della magistratura.

5.5 Il “pacchetto giustizia”: la legge sul Consiglio nazionale della magistratura e

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