Il Tribunale costituzionale si pronunciò sulla “legge di risanamento” del 22 dicembre 2015 con la sentenza K 47/15 del 9 marzo 201674, che riconobbe la non conformità alla
Costituzione della quasi totalità delle disposizioni introdotte dalla nuova legge.
Premesso che il Tribunale costituzionale riteneva plenaria la composizione di dodici giudici con cui si pronunciava, costituita da giudici che erano stati validamente eletti dal Sejm e che avevano potuto assumere le funzioni dopo aver prestato giuramento dinanzi al Presidente della Repubblica. Non considerava, implicitamente, come parte del
plenum sia i tre giudici legittimamente eletti a ottobre, dei quali però il Presidente della
Repubblica aveva rifiutato di accogliere il giuramento sia i tre giudici eletti nella legislatura successiva sulla base di una legge dichiarata in parte illegittima, dei quali invece il Presidente della Repubblica Andrzej Duda aveva accolto il giuramento ma il Presidente del Tribunale Andrzej Rzeplinski gli aveva riconosciuto il mero status di dipendenti.
Nella sentenza il Tribunale costituzionale riconfermava la sua funzione costitutiva di giudizio della legittimità delle leggi, comprese quelle che riguardavano l'attuazione della giustizia costituzionale. Si rendeva conto di essere finito in un “circolo vizioso”75in
quanto, testuali parole, «ad essere oggetto di controversia dinanzi al Tribunale costituzionale sono disposizioni che formano al tempo stesso base, sul piano
74. J. Sawicki, Democrazie illiberali? L'Europa centro-orientale tra continuita apparente della forma di governo e mutazione possibile della forma di Stato, Milano, Franco Angeli, 2018 pp. 105-132.
75.A vitious circle utilizzando il termine coniato da A. Radwan, Chess-Boxing Around the Rule of Law: Polish Constitutionalism at Trial, VerfBlog 23 Dez 2015.
processuale e materiale, per poter risolvere la controversia stessa76». Di fronte alla
straordinarietà di tale situazione il Tribunale costituzionale si appellava all’art. 195 c.1 della Costituzione dove si affermava che i giudici costituzionali, nell’esercizio del proprio ufficio, erano indipendenti, imparziali e sottoposti solo alla Costituzione. Ne conseguiva che si poteva negare l’osservanza di una legge in vigore, se quest'ultima minava i principi essenziali dello Stato di diritto77. La declaratoria di illegittimità della
legge doveva essere adottata prima che la legge stessa trovasse applicazione, in quanto se applicata avrebbe compromesso il buon funzionamento del Tribunale e avrebbe prodotto un danno a tutte le sentenze emanate nel periodo compreso tra l'entrata in vigore della legge e la sua sentenza di invalidità. Ad avvalorare questa tesi, si ricordava che nell’ordinamento polacco non era prevista l’efficacia retroattiva delle pronunce di incostituzionalità delle leggi, in quanto la sentenza entrava in vigore il giorno della sua pubblicazione ed era previsto un termine successivo per la perdita di efficacia dell’atto incostituzionale non superiore ai diciotto mesi. Sulla base di questo assunto e prima di entrare nel merito di legittimità della legge, il Tribunale costituzionale aveva provveduto alla disapplicazione delle disposizioni della legge che fissavano il quorum strutturale per deliberare in tredici membri, che stabilivano in due terzi dei voti il quorum funzionale per deliberare sulla costituzionalità di una legge, che imponevano di analizzare le cause secondo l’ordine cronologico, che imponevano un termine temporale non minore di tre mesi, o a seconda dei casi, non minore di sei tra la notifica dell’udienza alle parti e l’udienza stessa.
Dal punto di vista procedurale, il Tribunale costituzionale rilevava che era stato violato il requisito delle tre letture di cui all'art. 119 c.1 della Cost., erano stati compressi i diritti delle minoranze, erano stati ignorati i pareri provenienti dai servizi legislativi e da istituzioni esterne, erano state aggirate diverse disposizioni regolamentari di cui all'art. 112 Cost.. Nel complesso era stato violato il principio di legalità di cui all'art. 7 Cost.78
L'assenza di vacatio legis, tra l'altro non adeguatamente motivata dal legislatore, era considerata incompatibile con i principi dello Stato di diritto. L'assenza di disposizioni transitorie impediva, inoltre, al Tribunale di adeguarsi alle nuove modalità organizzative
76. Jan Sawicki, Prove tecniche di dissoluzione della democrazia liberale: Polonia 2016, cit., p.10. 77. Esso si sostanziava nel rispetto di sei principi, da considerare tuttavia come non esaustivi: a) il principio di legalità, secondo cui il processo legislativo doveva essere trasparente, responsabile, democratico e pluralistico; b) il principio della certezza del diritto; c) il principio del divieto di arbitrarietà del potere esecutivo; d) il principio di indipendenza e di imparzialità della magistratura; e) il principio del controllo giurisdizionale effettivo; f) il principio dell’uguaglianza davanti alla legge.
disposte dalla legge79 e lo costringeva a modificare le procedure per ben 174 cause
pendenti con danno per i ricorrenti.
La prima legge sul Tribunale costituzionale del 1985 prevedeva, per motivi di celerità ed economicità del processo decisionale, che il Tribunale costituzionale dovesse pronunciarsi nella sua composizione plenaria solo su questioni di particolare importanza mentre tutte le altre potevano essere affidate a collegi ristretti composti di tre o di cinque giudici per volta. Quest'ultimi, in caso di effettiva necessità, potevano sempre rimettere la questione al plenum. La “legge di risanamento” del 22 dicembre introduceva notevoli cambiamenti, che verranno dichiarati tutti incostituzionali. Essa prevedeva la partecipazione di almeno tredici giudici alle sentenze pronunciate in composizione plenaria, aumentando esponenzialmente il rischio di inoperatività qualora due giudici dovessero autoescludersi o essere ricusati o avere problemi di salute. Prevedeva, inoltre, una nuova distinzione tra i casi che dovevano essere decisi in composizione plenaria o da collegi ristretti. Le cause che concernevano questioni di legittimità incidentale a tutela di situazioni giuridiche di cittadini, la verifica di conformità delle leggi statali agli accordi internazionali ratificati dovevano essere esaminate da una composizione ristretta di sette giudici, quando vista l'importanza, a giudizio del Tribunale costituzionale dovevano essere analizzate in composizione plenaria. Invece le procedure nei ricorsi astratti avviati dai soggetti di cui all'art. 191 della Cost. dovevano essere esaminate sempre dal plenum, anche se concernevano aspetti di legalità di regolamenti dell’esecutivo che un qualsivoglia giudice in composizione monocratica potrebbe disapplicare. Sempre secondo la norma, il quorum di tredici giudici assicurava qualità e obiettività delle sentenze.
Il Tribunale costituzionale rigettava poi totalmente l’obbligo di esaminare i ricorsi secondo l'ordine cronologico, in quanto quest'ultimi non presentavano tutti lo stesso grado di difficoltà, impediva di riunire più cause incentrate sulle medesime disposizioni di legge con il reale pericolo che le stesse disposizioni venissero in tempi diversi analizzati da collegi diversamente composti e dessero luogo a sentenze contradditorie. Rendeva anche inattuabile l'applicazione dell’art. 224 c.2 Cost., il quale imponeva al Tribunale l’obbligo di giudicare entro il termine di due mesi dal suo deposito un ricorso preventivo del Presidente della Repubblica sulla legge di bilancio, mettendo così a 79. Per J. Sawicki «il legislatore era pienamente a conoscenza di questa circostanza. Lo ha fatto apposta. O il Tribunale avrebbe accettato di piegarsi al ricatto dei giudici eletti per così dire ‘in sovrannumero’, e immediatamente ammessi al giuramento, ovvero esso sarebbe stato ridotto al silenzio a tempo indeterminato, magari in attesa di soluzioni anche più radicali, semplificate nella giustificazione dal fatto che il tempo ormai trascorso invano lo avrebbe trasformato in un ente inutile.» J. Sawicki, Prove tecniche di dissoluzione della democrazia liberale: Polonia 2016, cit., p. 13.
rischio la gestione della finanza statale.
Lo stesso ragionamento portava il Tribunale costituzionale a dichiarare incostituzionali gli articoli di legge che imponevano un arco temporale minimo tra la notifica alle parti di un’udienza e lo svolgimento dell’udienza stessa, nell'ordine di un minimo di tre mesi nei casi delle questioni incidentali e dei ricorsi diretti, e di sei mesi per gli altri casi. Questo lungo arco temporale non teneva conto del carattere unico di più ricorsi e allungava i tempi della giustizia senza giustificato motivo. Di fatto costituiva un'ingerenza del Parlamento nelle funzioni giurisdizionali del Tribunale, ne limitava l'indipendenza e violava il principio di separazione dei poteri.
Infine, la maggioranza di due terzi dei voti, per emettere una sentenza in seduta plenaria costituiva una palese violazione dell’art. 190 c.5 della Costituzione, che stabiliva che le sentenze dovevano essere adottate a maggioranza dei voti. La facoltà attribuita al Presidente della Repubblica e al ministro della Giustizia di richiedere l’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di un giudice costituzionale violava l'art. 173 Cost. secondo il quale le Corti e i Tribunali rappresentavano poteri separati ed indipendenti dagli altri poteri. La sottrazione all’Assemblea generale dei giudici del Tribunale costituzionale della facoltà di disporre la decadenza di uno dei membri per gravi motivi di indegnità morale e l'attribuzione di tale diritto al Sejm rappresentava una violazione del principio di separazione dei poteri.
La sentenza K 47/15 non venne riconosciuta come tale da parte del Presidente della Repubblica, della maggioranza parlamentare e del Governo, che non procedette alla pubblicazione della stessa sulla Gazzetta ufficiale. Questi soggetti declassarono la sentenza K 47/15 ad un mero “comunicato stampa” rilasciato non dal Tribunale costituzionale nel suo complesso ma solo da alcuni dei giudici che lo componevano. Per essi, la deliberazione era avvenuta in palese violazione della “legge di risanamento” del 22 dicembre 2015, in quanto il Tribunale non aveva rispettato l’ordine cronologico di convocazione delle udienze, dando la priorità a questa causa, non aveva rispettato i tre mesi che dovevano trascorrere tra la notifica alle parti del ricorso sulla costituzionalità della legge e la data effettiva dell’udienza, non aveva rispettato il quorum minimo previsto per deliberare di tredici giudici.