Conformemente alla Costituzione polacca, l'indipendenza dei giudici era tutelata dal Consiglio nazionale della magistratura, che decideva in merito a promozioni, trasferimenti, procedure disciplinari, destituzioni e pensionamenti anticipati. Per tale motivo, negli Stati membri in cui veniva istituito un Consiglio della magistratura, la sua indipendenza era particolarmente importante per evitare indebite ingerenze del Governo o del Parlamento in merito all'indipendenza dei giudici stessi.
La legge sul Consiglio nazionale della magistratura approvata l'8 dicembre 2017 ed entrata in vigore il 20 dicembre stabilì la cessazione dalla carica di tutti i suoi membri entro tre mesi dalla sua entrata in vigore. La composizione del Consiglio disciplinata dall'art. 187 della Costituzione prevedeva la presenza di tre membri di diritto, quali il primo Presidente della Corte suprema, il presidente dell’Alta corte amministrativa e il ministro della Giustizia, di un membro nominato dal Presidente della Repubblica, di quattro deputati eletti dal Sejm, di due senatori eletti dal Senato e di una componente togata di quindici giudici. Quest'ultimi tradizionalmente eletti dalle magistrature dovevano essere votati dal Sejm con il risultato che l'organo di autogoverno del potere giudiziario sarebbe stato quasi completamente dipendente dal potere legislativo. In effetti il testo costituzionale non specificava che l'elezione dei giudici togati dovesse essere effettuata obbligatoriamente dalla magistratura e a supporto di questa tesi vi era la recente sentenza K 5/17 del 20 giugno 2017 del Tribunale costituzionale polacco111.
Tuttavia norme europee consolidate, in particolare la raccomandazione del 2010 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, stabilivano che almeno metà dei membri dei Consigli della magistratura dovessero essere costituiti da giudici scelti dai loro pari fra tutti i livelli della magistratura e nel rispetto del pluralismo all'interno del sistema giudiziario. Non vi era alcuna garanzia che con la nuova legge il Sejm nominasse giudici appoggiati dalla magistratura, in quanto i candidati a tali posti potevano essere presentati non soltanto da gruppi di venticinque giudici ma anche da gruppi di almeno 111. Sul punto si veda M. Matczak, How to Demolish an Independent Judiciary with the Help of a Constitutional Court, in www.verfassungsblog.de, 23 giugno 2017.
duemila cittadini. L'elenco definitivo dei candidati redatto da una commissione interna del Sejm doveva poi essere approvato in blocco da quest'ultimo. Infine i giudici venivano eletti dal Sejm con una maggioranza di tre quinti, nel caso in cui questa maggioranza non veniva raggiunta si procedeva a maggioranza assoluta dei voti112.
Tradotto nella realtà, il nuovo sistema non forniva garanzie sufficienti ad assicurare quell'immagine di indipendenza necessaria per mantenere la fiducia che i Tribunali dovevano ispirare ai cittadini nelle società democratiche. Ad esempio un giudice distrettuale che doveva emettere una sentenza in un procedimento politicamente sensibile e che, contestualmente, presentava domanda per ottenere la promozione a giudice regionale poteva essere tentato di seguire l'opinione condivisa dalla maggioranza politica al fine di non compromettere le sue possibilità di ottenere la promozione.
La legge sulla Corte suprema approvata l'8 dicembre 2017 ed entrata in vigore il 20 dicembre comportò il quasi totale rinnovamento della composizione dell'organo. L'età pensionabile dei giudici veniva abbassata da settanta a sessantacinque anni con il risultato immediato che circa il 40% dei magistrati si ritrovò prossimo al pensionamento, salvo richiesta di proroga per un periodo di tre anni rinnovabile per altri tre da presentare al Presidente della Repubblica che avrebbe deciso nella massima discrezionalità. Il pensionamento forzato di un numero consistente di giudici consentiva una ricomposizione profonda e immediata della Corte suprema113. In seguito ai
pensionamenti, la nomina dei nuovi giudici sarebbe sempre spettata al Presidente della Repubblica su proposta del Consiglio nazionale della magistratura, organo ormai altamente politicizzato in seguito alla nuova legge sul Consiglio nazionale della magistratura.
Entrando nel dettaglio della nuova legge, un giudice della Corte suprema raggiungeva ora l'età pensionabile al compimento del sessantacinquesimo anno, tuttavia nei dodici mesi prima e fino a sei mesi oltre questa soglia poteva presentare richiesta di rimanere in carica, presentando un certificato medico attestante la propria idoneità dal punto di vista dello stato di salute a svolgere le funzioni di giudice ed il Presidente della 112. G. Ragone, La Polonia sotto accusa. Brevi note sulle circostanze che hanno indotto l'Unione Europea ad avviare la c.d. opzione nucleare, in Osservatorio costituzionale, 1, 2018.
113. Secondo la relazione esplicativa della legge, era indispensabile cambiare la composizione della Corte suprema a causa del modo in cui, dopo il 1989, questa aveva trattato i casi di “decomunizzazione” e in quanto in essa sedevano ancora giudici che avevano lavorato o esercitato la funzione per il precedente regime. La Corte europea dei diritti dell'uomo aveva sottolineato che il processo di lustrazione doveva essere condotto su base individuale (ad esempio operando distinzioni tra i diversi livelli di coinvolgimento con il precedente regime) e riteneva che le misure in tal senso prese molto tempo dopo la fine del regime comunista non fossero giustificate, considerando l'avvenuto consolidamento della democrazia.
Repubblica autorizzasse la permanenza in carica come giudice della Corte suprema. Il Presidente della Repubblica, prima di concedere l'autorizzazione, consultava il Consiglio nazionale della magistratura che trasmetteva un parere non vincolante entro trenta giorni dalla data in cui era stato richiesto. Qualora il parere non venisse trasmesso entro detto termine si riteneva che il Consiglio nazionale della magistratura avesse emesso parere favorevole. Nel redigere il parere, il Consiglio nazionale della magistratura teneva conto dell’interesse della giustizia o di un interesse pubblico rilevante, valutando un impiego razionale del personale e le esigenze derivanti dal carico di lavoro delle singole sezioni della Corte suprema. Il Presidente della Repubblica poteva autorizzare la permanenza in carica entro tre mesi dalla data di ricevimento del parere o dalla data di scadenza del termine per la trasmissione di tale parere. La mancata risposta del Presidente della Repubblica entro il termine previsto equivaleva al pensionamento del giudice al compimento del sessantacinquesimo anno di età. Se il giudice raggiungeva l'età pensionabile senza che il procedimento relativo alla sua permanenza in carica si fosse concluso, egli rimaneva in carica fino alla conclusione del suddetto procedimento.
I giudici della Corte suprema che, entro la data di entrata in vigore della legge avevano già compiuto sessantacinque anni o li avrebbero compiuti nei tre mesi successivi, sarebbero andati in pensione il giorno successivo allo scadere dei tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, a meno che, entro un mese sempre dalla data di entrata in vigore della legge non avessero presentato apposita domanda.
Lo stesso procedimento di scelta sarebbe stato applicato anche per la nomina dei giudici di due nuove sezioni della Corte suprema: la sezione per il controllo straordinario e gli affari pubblici e la sezione disciplinare. La prima composta principalmente da giudici nuovi, competente per la valutazione dei ricorsi straordinari, per l'esame delle controversie elettorali comprese quelle relative alle elezioni del Parlamento europeo, per l'esame delle controversie relative alla validità di un referendum nazionale, per altre cause in materia di diritto pubblico, comprese le cause relative alla tutela della concorrenza, alla regolamentazione dell’energia, alle telecomunicazioni, al trasporto ferroviario, nonché per i ricorsi relativi alla durata eccessiva dei procedimenti dinanzi ai Tribunali ordinari e militari.
Al suo interno veniva quindi istituita una divisione apposita per ricorsi straordinari contro sentenze passate in giudicato degli ultimi venti anni e adottate in violazione della Costituzione, dei diritti e delle libertà o in flagrante violazione della legge per erronea
interpretazione e presenza di elementi contraddittori ovvero per palese contraddizione tra quanto accertato dall'organo giurisdizionale e le prove raccolte. Di fatto, entro tre anni dall'entrata in vigore della legge, la Corte suprema poteva ribaltare, completamente o in parte, qualsiasi sentenza definitiva emessa da un organo giurisdizionale polacco negli ultimi venti anni, incluse le sentenze pronunciate dalla Corte suprema, fatte salve alcune eccezioni114. Il potere di proporre ricorso era attribuito, tra gli altri, al Procuratore
generale e al Difensore civico.
La sezione disciplinare sarebbe stata composta esclusivamente da giudici nuovi, con il compito di esaminare in primo e secondo grado i procedimenti disciplinari e più in generale le cause in materia di diritto del lavoro e previdenziale, condotti nei confronti di giudici della Corte suprema. Ad essa spettavano anche le cause in materia di collocamento in pensione dei giudici della Corte suprema.
La già esistente sezione per il lavoro e la previdenza restava competente per le cause in materia di diritto del lavoro e previdenziali e le azioni proposte dagli inventori dei disegni industriali volte ad ottenere una remunerazione.
La legge sulla Corte suprema risultava palesemente in contrasto con la raccomandazione del Consiglio d'Europa del 2010, che stabiliva che le decisioni relative alla selezione e alla carriera dei giudici dovessero fondarsi su criteri obiettivi prestabiliti che prevedessero la creazione di un'autorità competente indipendente, composta principalmente da membri della magistratura, autorizzata a formulare raccomandazioni o esprimere pareri, che l'autorità di nomina avrebbe poi dovuto seguire nella pratica. I giudici interessati dovevano sempre avere il diritto di impugnare la decisione relativa alla propria carriera.
La legge introduceva anche un nuovo sistema disciplinare per i giudici della Corte suprema. Venivano previsti due tipi di responsabili dell'azione disciplinare:
1) il responsabile dell'azione disciplinare della Corte suprema nominato dal collegio della Corte suprema per un mandato di quattro anni
2) il responsabile straordinario dell'azione disciplinare nominato caso per caso dal presidente della Repubblica tra i giudici della Corte suprema, i giudici ordinari, i giudici degli organi giurisdizionali militari e i pubblici ministeri.
Il Presidente della Repubblica poteva nominare il responsabile straordinario dell'azione 114. Per le cause penali era possibile proporre ricorso straordinario avverso l'accusato solo entro un anno dal momento in cui la sentenza diventava definitiva (se era stato presentato ricorso per Cassazione, entro sei mesi dall'esame da parte della Cassazione); non era possibile proporre ricorso contro le sentenze di nullità o di annullamento del matrimonio o le sentenze di divorzio, solo nella misura in cui una parte o entrambe le parti avevano contratto nuovamente matrimonio dopo che la sentenza era divenuta definitiva. Il ricorso straordinario non poteva applicarsi ai reati minori, compresi quelli di natura tributaria.
disciplinare tra i pubblici ministeri proposti dalla Procura di Stato se un procedimento disciplinare riguardava una condotta disciplinare che integrava la fattispecie di reato doloso per cui vigeva l'obbligatorietà dell'azione penale o di reato tributario doloso. L'ordinamento giuridico polacco prevedeva che soltanto i responsabili dell'azione disciplinare potessero decidere di avviare un procedimento disciplinare nei confronti dei giudici. La nomina di un responsabile straordinario da parte del Presidente della repubblica avveniva senza il coinvolgimento della magistratura e costituiva una richiesta di avvio di un'indagine preliminare. La nomina di un responsabile straordinario dell'azione disciplinare per un procedimento disciplinare in corso escludeva automaticamente dal procedimento il responsabile dell'azione disciplinare della Corte suprema. Era evidente che tale meccanismo minava il principio di separazione dei poteri e ne comprometteva l'indipendenza. A peggiorare la situazione contribuiva l'eliminazione da parte della legge di tutta una serie di garanzie procedurali nei procedimenti disciplinari dei giudici: se la prova veniva presentata oltre il termine stabilito poteva non essere considerata, la decorrenza dei termini di prescrizione per l'azione disciplinare veniva sospesa per tutta la durata del procedimento disciplinare, per cui un giudice poteva rimanere sottoposto a procedimento per un tempo indeterminato, il procedimento disciplinare proseguiva anche in assenza del giudice interessato, compresi i casi di assenza giustificata. Il nuovo sistema disciplinare minava il principio dell'equo processo di cui all'art. 6 c.1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Le leggi del “Pacchetto Giustizia” sollevarono parecchi dubbi di legittimità costituzionale. Le ingerenze dell’esecutivo e del legislativo sui principali organi di espressione del potere giudiziario risultavano in contrasto con il principio di separazione dei poteri di cui all'art. 10 Cost. e con il principio di inamovibilità dei magistrati di cui all'art. 180 Cost., la cessazione dalla carica di tutti i giudici del Consiglio nazionale della magistratura entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge violava l'art. 187 c.3 secondo il quale il mandato dei membri del Consiglio durava quattro anni. La legge sulla Corte suprema che non prevedeva un termine entro il quale il Presidente della Repubblica dovesse prendere una decisione sulla proroga del mandato, gli consentiva di mantenere l'influenza sui giudici per la restante durata del loro mandato. Anche prima dell'età pensionabile obbligatoria, la semplice prospettiva di dover chiedere al Presidente della Repubblica tale proroga si configurava come una pressione sui giudici interessati. L'inamovibilità dei giudici nel corso del mandato era una conseguenza della loro indipendenza e pertanto rientrava tra le garanzie di cui all'art. 6 c. 1 della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Di conseguenza, i giudici potevano essere destituiti solo individualmente, qualora ciò fosse giustificato da una procedura disciplinare relativa all'attività svolta individualmente che offrisse tutte le garanzie di difesa in una società democratica. I giudici non potevano essere destituiti collettivamente, né individualmente per ragioni generiche non connesse a comportamenti individuali. Tali garanzie e meccanismi di salvaguardia venivano meno e le disposizioni di legge rappresentavano un'evidente violazione dell'indipendenza dei giudici della Corte suprema e della separazione dei poterie, di conseguenza, dello Stato di diritto. La nuova procedura di ricorso straordinario destava preoccupazione per quanto riguardava il principio della certezza del diritto, elemento fondamentale dello Stato di diritto. Come osservato dalla Corte di giustizia nella sentenza concernente la causa C-224/01115, nell'ordinamento giuridico europeo e degli Stati membri era di
fondamentale importanza che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti non potessero più essere rimesse in discussione.
Purtroppo appariva alquanto improbabile l'ipotesi che i giudici costituzionali potessero dichiarare l'illegittimità delle leggi suddette, a seguito degli attacchi subiti alla sua indipendenza dal 2015 in poi.
L'8 dicembre 2017 il Commissario per i diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa aveva formulato una dichiarazione in cui esprimeva rammarico per l'adozione da parte del Sejm delle leggi sulla Corte suprema e sul Consiglio nazionale della magistratura, che a suo giudizio avrebbero compromesso ulteriormente l'indipendenza del sistema giudiziario.
5.6 Le dimissioni del Presidente del Consiglio Beata Szydło e l'attivazione della