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Il parere n 833/2015 della Commissione di Venezia

Commissione di Venezia, dal nome della città in cui si riunisce, è un organo consultivo del Consiglio d'Europa. E' stata istituita nel 1990 ed ha svolto un ruolo chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard del patrimonio costituzionale europeo. Ai sensi dell'art. 2 dello Statuto, è composta da «esperti indipendenti di fama internazionale per la loro esperienza nelle istituzioni democratiche o per il loro contributo allo sviluppo del diritto e della scienza politica». Nel dettaglio, i membri sono professori universitari, di diritto costituzionale o di diritto internazionale, giudici di Corti supreme o costituzionali e alcuni membri di parlamenti nazionali. Sono nominati dagli Stati membri della Commissione e restano in carica quattro anni. Durante il loro mandato agiscono in piena autonomia e indipendenza.

E' nata inizialmente come strumento di ausilio per la transizione democratica dei Paesi membri, la sua attività si è poi evoluta sino a diventare un'istituzione di riflessione giuridica indipendente, internazionalmente riconosciuta. Ha contribuito in modo significativo alla diffusione del patrimonio costituzionale europeo, gli Stati vi si rivolgono per richiedere consultazioni in materia costituzionale e svolge un ruolo essenziale nella gestione e prevenzione dei conflitti. Tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa hanno aderito alla Commissione di Venezia, che in seguito ad un accordo allargato nel 2002 è stata introdotta la possibilità di accogliere come membri anche Paesi non europei.

Due giorni dopo l'approvazione della “legge di risanamento”, il 24 dicembre 2015, il ministro degli Esteri Witold Waszczykowski si rivolse alla Commissione di Venezia per richiedere un'opinione in merito in seguito alle pressioni della Commissione europea. Il Governo e molti esponenti del partito Diritto e Giustizia interpretarono la scelta di Waszczykowski come un atto di debolezza. Comunque la legge aveva già destato allarme a livello internazionale ed attirato fin da subito le attenzioni delle istituzioni europee. Lo stesso Vice-presidente della Commissione europea Frans Timmermans aveva indirizzato una lettera al Governo polacco dove richiedeva chiarimenti sulla crisi istituzionale in atto e invitava le autorità polacche a rivolgersi alla Commissione di Venezia. Al fine di approfondire la questione, l'8 e il 9 febbraio 2016 una delegazione della Commissione di Venezia si recò a Varsavia per incontrare il primo Presidente della Corte suprema, il ministro degli Esteri, il ministro della Giustizia, il Maresciallo del Sejm e il Maresciallo del Senato.

La Commissione diramò il suo parere n. 833/2015 in merito l'11 marzo 201680, solo

80. Parere n. 833 del 11 marzo 2016 della Commissione di Venezia, CDL-AD(2016)001, in Opinion on amendments to the act of 25 June 2015 on the Constitutional Tribunal of Poland adopted by the Venice

due giorni dopo l'emanazione della sentenza K 47/15 e pervenne a conclusioni simili e in parte complementari alla sentenza stessa e assai più sintetiche del dispositivo di quest'ultima. «Il vero significato della supremazia della Costituzione implica che una legge, che presumibilmente metta in pericolo la giustizia costituzionale deve essere esaminata – e se necessario annullata – dal Tribunale costituzionale prima della sua entrata in vigore81.» Neanche una legge riguardante la giustizia costituzionale era

immune dal giudizio di costituzionalità, in quanto era il costituente e non il legislatore ordinario ad affidare al Tribunale costituzionale il compito di assicurare in ogni eventualità la supremazia della Costituzione. Mentre i giudici dei Tribunali ordinari erano sottoposti alla Costituzione e alla legge ai sensi dell'art. 178 Cost., i giudici del Tribunale costituzionale erano soggetti solo alla Costituzione ai sensi dell'art. 195 Cost. Questo presupposto aveva consentito al Tribunale costituzionale di verificare la costituzionalità della cosiddetta legge di risanamento senza doverla obbligatoriamente applicare. Il Parlamento polacco, lo ricordiamo, aveva fatto sì che la legge entrasse in vigore al momento della sua approvazione senza fare uso della vacatio legis. Nella sua premessa la Commissione si dava cura di sottolineare che la partecipazione dei giudici polacchi ai lavori parlamentari del progetto di legge del 25 giugno 2015 non doveva essere motivo di scandalo, in quanto in uno Stato di diritto era normale che fossero presenti forme di partecipazione diretta o indiretta dei giudici costituzionali all'attività legislativa, in qualità di esperti della materia.

La Costituzione polacca regolava la composizione e le competenze del Tribunale costituzionale nel Capitolo VIII, in particolare nella sezione intitolata “il Tribunale costituzionale”. Gli articoli 188-193 elencavano le sue competenze. L'art. 194 stabiliva che esso era composto da quindici giudici scelti individualmente dal Sejm per un periodo di nove anni tra persone distintesi per conoscenze giuridiche e non era ammessa la rielezione al Tribunale costituzionale. L'art. 195 aggiungeva che nell'esercizio delle loro funzioni erano indipendenti e soggetti solo alla legge mentre l'art. 197 concludeva affermando che l’organizzazione e le modalità del procedimento presso il Tribunale costituzionale, venivano stabilite con legge. Infine l'art. 190 c.5 stabiliva che le sentenze del Tribunale costituzionale venivano prese a maggioranza dei voti. Nel complesso la Costituzione delegava l'organizzazione del Tribunale costituzionale al legislatore ordinario.

Nelle motivazioni, la Commissione affermò che le disposizioni procedurali introdotte Commission at its 106th Plenary Session (Venice, 11-12 March 2016).

dal legislatore incidevano su molteplici aspetti soprattutto nella parte in cui prevedevano quorum di partecipazione molto elevati e maggioranza qualificate che, unitamente alla previsione dell'ordine cronologico di analisi delle cause, avrebbero provocato un rallentamento dei procedimenti dinanzi al Tribunale costituzionale con gravi conseguenze sul ruolo di quest'ultimo come garante della Costituzione. Secondo la giustificazione addotta dal Governo tali modifiche avrebbero dovuto garantire un giusto processo in un ragionevole lasso di tempo ma risultava smentita dalle statistiche presentate dallo stesso alla Commissione di Venezia che, invece dimostravano come non fosse al momento presente un problema strutturale tale da richiedere una reazione immediata. Secondo le statistiche la durata media di un processo era di ventuno mesi e solamente quattro casi, negli anni 2012 e 2013, superavano tale media. L'obbligo di seguire l'ordine cronologico avrebbe impedito al Tribunale di scegliere se anticipare o posticipare una causa sulla base di particolari circostanze del procedimento o di riunire assieme più cause. Il Tribunale costituzionale avrebbe sempre dovuto avere la possibilità di decidere velocemente su questioni urgenti riguardanti il funzionamento dell'ordinamento costituzionale, in special modo quando sussisteva un serio pericolo di paralisi del sistema politico, come nel caso della Polonia. Sono stati stabiliti, infatti, in molte nazioni limiti temporali particolarmente brevi per alcuni tipi di procedimenti urgenti. L'imposizione dell'ordine cronologico di certo non si allineava agli standard europei e in special modo all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti umani concernente il diritto ad un equo processo e al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

Inoltre la legge prevedeva che l'Assemblea generale dei giudici decidesse a maggioranza dei due terzi dei voti, in presenza di almeno tredici giudici della Corte (la legge precedente ne richiedeva nove), incluso il Presidente e il Vice-presidente. Il quorum richiesto in composizione plenaria di tredici giudici su quindici per poter deliberare risultava essere molto più alto della media degli Stati europei e aumentava il rischio di blocco del processo decisionale, minando la capacità della Corte di assicurare il controllo di costituzionalità delle leggi. I due terzi dei voti venivano sempre richiesti per decidere sui ricorsi astratti in composizione plenaria e su questioni organizzative interne per cui nove giudici su quindici avrebbero dovuto votare favorevolmente. Per ricorsi individuali e ricorsi incidentali provenienti dalle Corti ordinarie il Tribunale giudicava in composizione di sette o tre giudici a maggioranza semplice dei voti. La Commissione osservava che la richiesta della maggioranza qualificata per i ricorsi

astratti e quella semplice per i ricorsi individuali costituiva una notevole incoerenza. Una legge sottoposta ad un ricorso astratto e considerata incostituzionale dalla maggioranza dei giudici poteva riuscire a “sopravvivere” in quanto la votazione non otteneva i due terzi dei voti in composizione plenaria mentre la stessa legge sottoposta a ricorso individuale poteva essere dichiarata incostituzionale molto più facilmente, in quanto la votazione avveniva a maggioranza semplice di quattro giudici su sette. Non era tollerabile che la stessa legge sottoposta a due diversi standard di controlli comportasse risultati differenti e per tale motivo era necessario eliminare la maggioranza qualificata per deliberare in composizione plenaria.

In Europa la maggioranza dei due terzi è richiesta solo per specifiche competenze al fine di tutelare i diritti fondamentali e la partecipazione al processo democratico di una minoranza o di un'opposizione politica. In Serbia e in Russia era altresì richiesta per decidere da parte del Tribunale stesso di sottoporre autonomamente una legge al controllo di costituzionalità, competenza che però il Tribunale costituzionale polacco non aveva e comunque la decisione finale sull'eventuale incostituzionalità della legge veniva presa a maggioranza semplice. Per le suddette motivazioni la maggioranza qualificata non poteva considerarsi uno standard europeo ma solo un requisito così stringente che avrebbe contribuito a paralizzare l'attività decisionale del Tribunale. L'art. 190 della Costituzione polacca stabiliva che le decisioni del Tribunale dovessero essere prese a maggioranza dei voti. Il Governo polacco affermando che l'assenza della parola “semplice” consentisse l'introduzione della maggioranza qualificata sembrava violare l'interpretazione autentica della Costituzione nonché la prassi costituzionale, in quanto l'opinione prevalente tra i costituzionalisti era che si trattasse appunto di maggioranza semplice. L'ordinamento costituzionale, sottolineava la Commissione, non poteva essere modificato dal legislatore ordinario ma richiedeva un'apposita revisione costituzionale con maggioranze qualificate. Le modifiche del legislatore rappresentavano, quindi, una violazione dei principi dello Stato di diritto.

L'art. 87 della legge prevedeva che le sentenze non potevano avere luogo prima di tre mesi dal giorno della notifica ai partecipanti al procedimento o prima di sei mesi nei casi in cui il Tribunale giudicasse in composizione plenaria. Era evidente che questo lasso di tempo così lungo impediva al Tribunale di decidere con celerità nei casi urgenti. L'art. 31 della legge consentiva al Presidente della Repubblica e al ministero della Giustizia di richiedere procedimenti disciplinari nei confronti di giudici costituzionali direttamente al Tribunale, che dovevano essere avviati non più tardi di tre settimane

dalla data della richiesta, a meno che il Presidente del Tribunale ne valutasse l'infondatezza. Tale facoltà attribuita a due autorità politiche rappresentava un caso isolato nel contesto europeo. Prevedeva anche che in casi straordinari l'Assemblea generale dei giudici, su richiesta del Presidente della Repubblica e del ministro della Giustizia, proponesse al Sejm la decadenza di un giudice costituzionale. La Commissione rilevava che il mandato di un giudice non poteva terminare con una deliberazione di natura politica del Sejm e tale disposizione non poteva comunque essere introdotta senza un'esplicita previsione costituzionale.

L'eliminazione degli articoli 17, 19 e 20 della legge del 25 giugno 2015 inerenti le modalità di elezione dei giudici costituzionali avrebbe comportato il trasferimento della competenza a regolare la materia ai regolamenti parlamentari, sottratti al controllo di costituzionalità. Quanto alla controversia cruciale della crisi costituzionale polacca relativa alla nomina dei “giudici di ottobre” la Commissione sostenne che non era stato un comportamento corretto quello del Sejm in carica di scegliere con eccessivo anticipo i due giudici del Tribunale ma non lo era stato nemmeno quello del Sejm successivo di ricusare i tre giudici scelti da quello precedente. Non risultava compatibile con i principi democratici riconoscere ad un nuovo Parlamento la possibilità di scegliere in anticipo e quindi prima della scadenza i giudici costituzionali. In uno Stato di diritto tutti i Parlamenti dovevano rispettare le decisioni dei Parlamenti precedenti nelle nomine istituzionali. Sia il vecchio che il nuovo Parlamento avevano compiuto scelte incostituzionali basate su una visione miope, secondo la quale una semplice maggioranza parlamentare poteva cambiare la situazione legale a suo favore, andando oltre i limiti costituzionali stabiliti. La democrazia non poteva identificarsi solo con la maggioranza di governo, quest'ultima era limitata dal rispetto della Costituzione e della legge. Per quanto riguardava, poi, la data di inizio del mandato dei giudici la Commissione affermò che il giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica aveva una funzione «prevalentemente cerimoniale82» e l'inizio del mandato coincideva

con l'elezione da parte del Sejm.

La Commissione si pronunciò anche sull'eliminazione dalla legge dell'art. 16, che affermava il principio di indipendenza dei giudici. Di fronte alla spiegazione del ministro della Giustizia polacco, che si era giustificato adducendo che l'eliminazione aveva il solo scopo di evitare ripetizioni formali nel testo di legge, dove il principio era già espresso, la Commissione ribadì che, nel momento di crisi istituzionale che stava attraversando la Polonia questa scelta stilistica «lanciava un segnale sbagliato nel 82. Parere 833/2015, ivi, par. 108.

momento sbagliato83

La Commissione venne altresì informata sulla campagna diffamatoria portata avanti da parte della politica polacca nei confronti del Tribunale costituzionale. Essa ribadiva che le autorità pubbliche non avevano la stessa libertà di espressione del singolo individuo che non esercitava pubbliche funzioni. Quest'ultime potevano dissentire pubblicamente da una sentenza del Tribunale costituzionale senza eccedere nella critica, in quanto avevano comunque l'obbligo di applicarla. Attacchi diretti a tutti i giudici del Tribunale o al singolo giudice erano considerati inammissibili e sminuivano il ruolo della Corte stessa nell'ordinamento. L'indipendenza e la neutralità del Tribunale era a rischio se un'altra istituzione dello Stato l'attaccava pubblicamente.

In conclusione, la Commissione di Venezia, dopo aver appurato che la crisi costituzionale in atto in Polonia era stata determinata da decisioni assunte dal Parlamento in carica e da quello precedente, aveva riconosciuto i pericoli insiti in questa crisi per lo Stato di diritto e per il principio di separazione dei poteri, per la democrazia e i diritti umani. “Constitutional justice is a key component of checks and balances in a

constitutional democracy84”. La legge di risanamento metteva in pericolo non solo lo Stato di diritto ma anche il funzionamento del sistema democratico, in quanto rendeva i

“checks and balances85” inefficaci. I diritti umani e il diritto ad un equo processo da parte di una Corte indipendente quale il Tribunale costituzionale venivano compromessi, in quanto veniva meno la capacità del Tribunale di assicurare il rispetto da parte della legge ordinaria di tali diritti. Dal punto di vista prettamente procedurale e tecnico la legge era stata adottata senza un effettivo coinvolgimento dell'opposizione e della società civile. Suggeriva quindi alle istituzioni polacche quali Presidente della Repubblica, Parlamento, Governo e Tribunale costituzionale di ritrovare lo spirito di leale cooperazione momentaneamente perso e di avviarsi verso il superamento della crisi stessa.

Un primo atto concreto in tal senso doveva consistere proprio nella pubblicazione e nel rispetto della sentenza K 47/15 del Tribunale costituzionale. Il rispetto delle sentenze del Tribunale costituzionale rappresentava uno standard internazionale ed europeo imprescindibile, alla base della separazione dei poteri, dell'indipendenza del potere giudiziario e del corretto funzionamento dello Stato di diritto.

Il secondo passo, nel rispetto del principio del pluralismo, sarebbe stato quello di 83. Parere 833/2015, ivi, par. 95.

84. Parere 833/2015, ivi, p.16.

85. Con questa espressione inglese "controllo e bilanciamento reciproco" si indicavano i meccanismi politico-istituzionali finalizzati a mantenere l'equilibrio tra i vari poteri all'interno di uno Stato.

attuare una revisione costituzionale che prevedesse una differenziazione nella nomina dei giudici costituzionali e li invitasse a considerare la possibilità che un terzo di essi potesse essere eletto dalla magistratura, un terzo dal Parlamento e un terzo dal Presidente della Repubblica. Allo stato attuale, la nomina di molti giudici da parte della maggioranza politica precedente e la nomina di nuovi giudici da parte della nuova maggioranza sembravano aver trasformato il Tribunale in una terza camera del Parlamento. I giudici costituzionali dovevano avere il “dovere dell'ingratitudine” verso le autorità politiche che le avevano elette. Essi non rappresentavano un partito e dovevano essere indipendenti, fedeli solo alla Costituzione e non a chi li aveva eletti. La Commissione di Venezia restava comunque a disposizione delle autorità polacche e avrebbe fornito ulteriore assistenza se richiesta, in particolar modo nel processo di riforma del Tribunale costituzionale.

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