• Non ci sono risultati.

Le sentenze del Tribunale costituzionale K 34/15 e K 35/15 del 3 e 9 dicembre

Il 3 dicembre 2015 il Tribunale costituzionale si pronunciava in merito alla legge del 25 giugno in base alla quale il Sejm uscente procedette all'elezione di cinque giudici i cui mandati scadevano entro la fine dell'anno, nonostante la legislatura sarebbe terminata prima. Tutti i motivi di ricorso vennero rigettati ad eccezione di quello relativo alla disposizione transitoria inserita con l'art. 137, dichiarata parzialmente incompatibile con il testo costituzionale, e l'art. 21, secondo il quale il mandato dei giudici costituzionali iniziava con il giuramento nella mani del Presidente della Repubblica, dichiarato anch'esso incompatibile con l'interpretazione dello spirito del testo costituzionale.

La motivazione della sentenza citava due importanti principi costituzionali: l'art. 17362 della Costituzione ossia il principio di indipendenza del Tribunale costituzionale e

l'art. 19563 della Costituzione ossia il principio di assoggettamento dei giudici solamente

alla Costituzione. Questi due principi salvaguardavano il Tribunale da ogni forma di influenza esterna sull’attività giudiziaria e producevano obblighi per il legislatore stesso, che doveva assicurare la tutela degli stessi.

Partendo da questo assunto, il Tribunale costituzionale dichiarava l’incompatibilità dell’art. 137 della legge con l’art. 19464 della Costituzione, secondo il quale esso era

composto da quindici giudici scelti dal Sejm, dove per Sejm doveva intendersi esclusivamente quello in carica al momento della conclusione del mandato del giudice. Solo il Sejm in carica poteva provvedere alla sostituzione del giudice di cui sopra con la sola eccezione del caso in cui il Sejm non fosse stato in grado di provvedere all’elezione prima della scadenza della legislatura. In quest'ultimo caso l’obbligo si trasferiva al nuovo Sejm. L’art. 137 della legge era quindi da considerarsi parzialmente incostituzionale, nella parte in cui consentiva la sostituzione dei giudici il cui mandato scadeva oltre il termine della legislatura, mentre restava compatibile con la Costituzione nella parte in cui si riferiva alla sostituzione dei giudici il cui mandato scadeva entro il termine della legislatura. Il Tribunale costituzionale considerava, quindi, valida la nomina dei giudici avvenuta entro il 6 novembre 2015, mentre invalidava la nomina dei 62. «Le Corti e i Tribunali rappresentano poteri separati ed indipendenti dagli altri poteri.»

63.«I giudici del Tribunale costituzionale nell’esercizio del proprio ufficio sono indipendenti, imparziali e sottoposti solo alla Costituzione.»

64. «Il Tribunale costituzionale è composto da quindici giudici, eletti individualmente dal Sejm per nove anni tra persone distintesi per conoscenze giuridiche. Non è ammessa la rielezione al Tribunale costituzionale.»

giudici avvenuta oltre tale data.

Per quanto concerne la questione di costituzionalità sollevata nei confronti dell’art. 21 della legge, secondo il quale il mandato dei giudici costituzionali iniziava nel momento del giuramento dinanzi al Presidente della Repubblica, venne risolta fornendo un'interpretazione costituzionale della disposizione. Ricordiamo, infatti, che la controversia aveva origine dal rifiuto del Presidente della Repubblica Andrzej Duda di riceverne il giuramento. L’art. 21 doveva essere interpretato nel senso di imporre al Presidente della Repubblica l’obbligo di accettare il giuramento dei giudici nominati. Il Presidente, infatti, non poteva assumersi discrezionalità in merito e attribuirsi il diritto di prendere decisioni in relazione alla composizione del Tribunale. L’art. 21 della legge era, perciò, da considerarsi incostituzionale a meno che non venisse interpretato in maniera fedele allo spirito del testo costituzionale.

Con ordinanza U 8/15 del 4 dicembre 2015, il Tribunale si dichiarava incompetente a giudicare le risoluzioni parlamentari delle delibere del nuovo Sejm in carica, che invalidavano le nomine dei cinque giudici di ottobre, sostituiti con la nomina di nuovi giudici maggiormente graditi alla nuova maggioranza parlamentare. Il Tribunale costituzionale non aveva infatti competenza a giudicare in merito ad atti privi di carattere normativo.

La sentenza K 34/15 soddisfò parzialmente il partito al Governo Diritto e giustizia adducendo, tra l'altro, che la decisione era stata adottata all’unanimità da un collegio di cinque giudici, nonostante il Presidente del Tribunale Andrzej Rzeplinski avesse dichiarato che, data la gravità del caso, questa sarebbe stata adottata da una Camera di consiglio plenaria. In realtà, la cessazione dal mandato di quattro giudici, e l’astensione di altri tre che avevano preso parte ad audizioni nel corso dei lavori preparatori della legge del 25 giugno 2015, ridusse il numero di giudici in servizio effettivo al di sotto del numero legale di nove per deliberare in sede plenaria. Il Governo addirittura esitò a pubblicare la sentenza e lo fece solamente il 15 dicembre, lasciando più o meno velatamente intendere che essa avrebbe avuto solo “valore storico”65, incapace di

produrre effetti legali tali da porre in discussione le scelte compiute dal Parlamento in carica.

Il 9 dicembre 2015, il Tribunale costituzionale si pronunciò nuovamente sulla costituzionalità della legge del 25 giugno 2015, così come modificata dalla legge di revisione del 19 novembre dello stesso anno, esprimendo la sentenza n. K 35/15. 65. J. Sawicki, Gli interrogativi circa la degenerazione in una “democrazia illiberale” in Nomos le attualita nel diritto, 1, 2016, p.15.

Quest'ultima confermava e riprendeva i contenuti già inseriti nella precedente sentenza K 34/1566.

Innanzitutto, il Tribunale, rigettava la questione di costituzionalità sollevata dal Difensore dei Diritti del cittadino, secondo il quale il provvedimento normativo era stato adottato in violazione delle norme sul procedimento legislativo. In effetti la legge era stata adottata con estrema rapidità, rispettando solo formalmente l'obbligo delle tre letture previsto e senza un effettivo coinvolgimento dei partiti e degli intellettuali. Veniva altresì dichiarata costituzionalmente legittima la disposizione che riduceva a tre anni il mandato del Presidente e del Vice-presidente del Tribunale costituzionale, ma in contrasto con la Costituzione la parte in cui ammetteva la possibilità di una loro rielezione67. A giudizio del Tribunale, infatti, la prospettiva della rielezione avrebbe

potuto minacciare l’indipendenza dei giudici costituzionali incaricati della Presidenza o Vice-Presidenza, violando così gli artt. 1068 – 173 della Costituzione. Veniva dichiarato

incostituzionale anche il potere attribuito al Presidente della Repubblica di scegliere il Presidente e il Vice-Presidente tra almeno tre candidati selezionati dall'Assemblea generale del Tribunale69. Veniva sancita l'incostituzionalità anche dell'art. 21 della

legge, in quanto disponeva che i giudici nominati avrebbero dovuto prestare giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica entro trenta giorni dall'elezione. L’introduzione di tale termine riconosceva implicitamente al Presidente della Repubblica il potere di rifiutare il giuramento dei giudici costituzionali, interpretazione la cui incostituzionalità era stata già confermata dal Tribunale costituzionale con sentenza K 34/15.

Ulteriore questione affrontata dal Tribunale era stata quella relativa al nuovo art. 137 modificato dalla legge di revisione del novembre 2015. Il nuovo articolo prevedeva un termine, di sette giorni dalla data di entrata in vigore della legge di revisione, per l’elezione dei giudici costituzionali il cui mandato fosse scaduto nel 2015. Con la sentenza K 34/15 il Tribunale costituzionale aveva già legittimato la nomina di tre dei cinque nuovi giudici costituzionali, perciò l’applicazione del nuovo art. 137 avrebbe comportato un incremento del numero di giudici del Tribunale, in aperto contrasto con

66. M. Dicosola, La crisi costituzionale del 2015-16 in Polonia: il fallimento della transizione al costituzionalismo liberale? in Osservatorio costituzionale, 1, 2016.

67. Art. 12 della legge del 25 giugno 2015, così come modificata dall’art. 1 della legge di revisione del 19 novembre 2015.

68. «L’organizzazione della Repubblica Polacca si fonda sulla separazione e l’equilibrio dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.»

69. La legge del 25 giugno 2015 prevedeva la possibilità per il Presidente della Repubblica di nominare il Presidente e il Vice-presidente tra due candidati proposti dall'Assemblea Generale del Tribunale costituzionale.

l’art. 194 c.1 della Costituzione. Il Tribunale, invalidò, quindi le nomine dei tre nuovi giudici da parte del Sejm in carica. Per tali motivazioni, il Tribunale costituzionale ne dichiarò l'incostituzionalità.

Infine, il Tribunale costituzionale dichiarò l'incostituzionalità anche dell’art. 2 della legge di revisione, che disponeva la cessazione del mandato del Presidente e del Vice- Presidente del Tribunale costituzionale in carica entro tre mesi dalla sua entrata in vigore. Suddetto articolo costituiva un’indebita ingerenza del potere legislativo nell’ambito di quello giudiziario, violando sia il principio di indipendenza dell'organo in questione sia il principio di separazione dei poteri.

4.3 “La legge di risanamento” del 22 dicembre 2015

Le sentenze K 34/15 e K 35/15 avevano posto fine, almeno sulla carta, alle contrapposizioni politiche tra il Parlamento uscente nell’ottobre 2015 e il suo successore. In realtà, dopo la pubblicazione delle due sentenze, il Parlamento approvò una nuova legge di riforma sul Tribunale costituzionale la cui capacità di violare il principio di indipendenza dell'organo risultò superiore agli emendamenti precedenti. Il Tribunale costituzionale, da arbitro della controversia finì per diventarne uno degli attori protagonisti.

Il 22 dicembre 2015, con una procedura legislativa assai rapida, il Parlamento approvò un'ampia legge di modifica della legge di giugno sul Tribunale costituzionale e la denominò “ustawa naprawcza” ossia “legge di risanamento70”. Il risanamento

consisteva nell’innalzamento del numero legale da nove a tredici giudici per consentire al Tribunale costituzionale di deliberare71; nell’innalzamento del quorum necessario

(due terzi dei voti) per dichiarare l'incostituzionalità di una legge; nell'imposizione che l'ordine del giorno dei lavori doveva essere stabilito dall'ordine di arrivo dei ricorsi, precludendo la possibilità di dare priorità a cause più urgenti e/o unificare procedimenti aventi ad oggetto la stessa problematica; nella previsione di un arco temporale minimo di tre mesi per le questioni incidentali e i ricorsi diretti e di sei mesi per tutti i restanti casi. Veniva conferito il potere di avviare procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici costituzionale al Presidente della Repubblica e al ministro della Giustizia. Infine veniva stabilito di rimettere le cause di decadenza dei giudici costituzionali, nei casi 70. J. Sawicki, Gli interrogativi circa la degenerazione in una “democrazia illiberale”, cit., p. 7.

71. Al momento dell’approvazione della legge erano operativi solo dieci giudici, in quanto ai cinque eletti tre settimane prima era stato riconosciuto dal Presidente del Tribunale solo lo status di dipendenti privi di qualsiasi funzione giurisdizionale.

straordinari già previsti dalla legge, alla valutazione del Sejm, su proposta dell'Assemblea generale dei giudici a seguito di espressa domanda del Presidente della Repubblica o del ministro della Giustizia. I giudici non potevano, quindi, più decidere autonomamente. Veniva abrogato il capitolo concernente il procedimento per dichiarare il Presidente della Repubblica incapace di esercitare il proprio mandato qualora non fosse in grado di effettuare autonomamente tale dichiarazione72. Novità assoluta, la

legge entrava in vigore senza vacatio legis, direttamente all'atto della pubblicazione. La legge, come già anticipato sopra, presentata nella forma dell’iniziativa parlamentare veniva discussa e approvata in pochissimi giorni, eludendo alcune norme regolamentari e con il parere negativo degli uffici legislativi, delle alte istanze giurisdizionali, delle associazioni di categoria delle professioni legali e di gran parte dei professori universitari.

La maggioranza dei due terzi introdotta per dichiarare l'incostituzionalità delle leggi minava la funzionalità dell'istituzione ed era stata introdotta con la consapevolezza da parte di Diritto e Giustizia che i successivi rinnovi parziali del collegio giudicante, gli avrebbero consentito di ottenere una minoranza di blocco al suo interno. Inoltre, nell'utilizzo del quorum dei due terzi dei voti vi era una reminiscenza socialista, che permetteva al Sejm di superare le decisioni del Tribunale costituzionale, proprio con la maggioranza di due terzi. Diritto e Giustizia considerava il Tribunale costituzionale, istituito nel 1985, un «relitto del comunismo»73senza valutare invece che l'ordinamento

polacco era cambiato e di conseguenza anche il suo ruolo. Il ricorso alla legge ordinaria per depotenziarlo aveva rappresentato un'alternativa alla revisione costituzionale, opzione, tra l'altro non praticabile per Diritto e Giustizia a causa della mancanza di adeguata forza numerica.

Il Presidente della Repubblica Andrzej Duda promulgò l'indomani dall'approvazione parlamentare la legge suddetta. Inutili furono gli appelli rivolti dall'opposizione al Presidente affinché si rivolgesse al Tribunale costituzionale con una richiesta preventiva di verifica della costituzionalità della legge.

Avverso la “legge di risanamento” del 22 dicembre 2015 presentarono ricorso il primo Presidente della Corte suprema, due gruppi di deputati, il Difensore dei diritti del cittadino e il Consiglio nazionale della magistratura.

Il 23 dicembre 2015 la Commissione scrisse al Governo polacco chiedendo delucidazioni sulle misure previste riguardo alle suddette due sentenze del Tribunale 72. Cfr. art. 131 Cost.

costituzionale. La Commissione invitò le autorità polacche a sospendere l'entrata in vigore della legge adottata il 22 dicembre 2015 fino alla conclusione di una valutazione completa e adeguata di tutte le questioni collegate al suo impatto sull'indipendenza e sul funzionamento del Tribunale. La Commissione raccomandava di operare in stretta collaborazione con la Commissione di Venezia. L'11 gennaio la Commissione ricevette una risposta dal governo polacco che non eliminò le preoccupazioni manifestate. Il 23 dicembre 2015 il Governo polacco nella figura del ministro degli Esteri Witold Waszczykowski richiese un parere alla Commissione di Venezia sulla legge adottata il 22 dicembre 2015 ma non attese l'esito di tale parere. La legge, infatti venne pubblicata nella Gazzetta ufficiale ed entrò in vigore il 28 dicembre 2015.

Outline

Documenti correlati