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La sentenza della Corte di Giustizia europea C-192/18 del 5 novembre 2019

Giustizia europea emetteva la sentenza della causa C-192/18140. Si trattava del ricorso

per inadempimento proposto dalla Commissione europea contro la Polonia relativo alla legge con cui i magistrati dei Tribunali ordinari venivano collocati anzitempo a riposo, con abbassamento della soglia di pensionamento dagli originari sessantasette anni a sessanta per le donne e a sessantacinque per gli uomini. In questo caso, rispetto all’inadempimento contestato per la legge sulla Corte suprema, si accompagnava anche una censura legata alla violazione dell’art. 157 TFUE141, in combinato disposto con gli

articoli 5 lett. a)142, e 9 par.1 lett. f)143 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo

139. «1. Quando la Corte di giustizia dell'Unione europea riconosca che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta.

2. Se ritiene che lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta‚ la Commissione, dopo aver posto tale Stato in condizione di presentare osservazioni, può adire la Corte. Essa precisa l'importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello Stato membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze.

La Corte, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità».

140. Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 5 novembre 2019 Commissione europea contro Repubblica di Polonia C-192/18 in www.curia.europa.ue.

141. «1. Ciascuno Stato membro assicura l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

2. Per retribuzione si intende, a norma del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell'impiego di quest'ultimo.

La parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso, implica:

a) che la retribuzione corrisposta per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura;

b) che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per uno stesso posto di lavoro. 3. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano misure che assicurino l'applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

4. Allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sotto rappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali».

142. “Divieto di discriminazione”: «Fermo restando quanto disposto dall'articolo 4, nei regimi professionali di sicurezza sociale è vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso, specificamente per quanto riguarda: a) il campo d'applicazione di tali regimi e relative condizioni d'accesso».

e del Consiglio del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.

La Commissione sosteneva, inoltre, che la Polonia era venuta meno ai suoi obblighi derivanti dall’art. 19 par.1 c.2 TUE in combinato disposto con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, abbassando all’art. 13 punto 1 della legge sui Tribunali ordinari, l’età pensionabile applicabile ai giudici dei Tribunali ordinari e conferendo, al contempo, al ministro della Giustizia il diritto di decidere in merito al prolungamento del periodo di servizio dei singoli giudici di Tribunali ordinari ai sensi degli articoli 26 bis e 26 ter della medesima legge.

Le conclusioni dell’Avvocato generale della Corte Evgeni Tanchev del 20 giugno 2019 suggerivano l’integrale accoglimento del ricorso promosso dalla Commissione144.

Con particolare riguardo alla seconda delle censure, l’Avvocato generale ricordava la giurisprudenza della Corte secondo la quale l’art. 19 par.1 c.2 TUE forniva garanzie essenziali all’indipendenza dei giudici. La nozione di indipendenza presupponeva che i giudici esercitassero le proprie funzioni giurisdizionali in piena autonomia, senza vincoli gerarchici o di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni da soggetti esterni che potessero influenzare le loro decisioni. La legge polacca sui Tribunali ordinari del 2017 non garantiva l’inamovibilità dei giudici e la loro indipendenza come tutelata dall’articolo TUE sopra menzionato. L'Avvocato generale sottolineava come l'obbligo introdotto dalla legge nei confronti del ministro della Giustizia di effettuare una razionale assegnazione delle risorse dei Tribunali ordinari, insieme alle esigenze legate al carico di lavoro e altri fattori come la segretezza delle deliberazioni dei giudici e le garanzie costituzionali polacche sull’età pensionabile, non fossero sufficienti a proteggere da una rimozione dall’incarico i giudici interessati. Lo Stato polacco non aveva fornito, inoltre, alcuna motivazione urgente e convincente per il trasferimento del potere di concedere proroghe dal Consiglio nazionale della magistratura al ministro. Non era stata, altresì, fornita una spiegazione adeguata in merito alla ragione per cui la rimozione dall’incarico di un giudice con un basso carico di lavoro fosse l’unica soluzione praticabile invece di optare per il suo trasferimento ad altro Tribunale ordinario.

Per quanto riguarda il requisito dell’indipendenza, la legge prevedeva l'immediato sono da includere quelle che si basano direttamente o indirettamente sul sesso per: …....(omissis) f) stabilire limiti di età differenti per il collocamento a riposo».

144. Conclusioni dell'Avvocato Evgeni Tanchev presentate il 20 giugno 2019 Commissione europea contro Repubblica di Polonia Causa C-192/18, ivi.

trasferimento ad un membro dell’esecutivo, il ministro della Giustizia, delle decisioni in merito alla proroga dell'esercizio delle funzioni dei giudici. Tale disposizione non era compatibile con l’oggettivo elemento di imparzialità come tutelato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. L’indipendenza e l’imparzialità del sistema giudiziario implicavano l’esistenza di disposizioni relative alla composizione dell’organo, alla nomina dei giudici, alla durata delle funzioni, alle cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentissero di eliminare qualsiasi legittimo dubbio in merito all’impermeabilità dell'organo rispetto ad elementi esterni e di assicurare la propria neutralità di fronte agli interessi contrapposti.

Nelle proprie conclusioni, l’Avvocato generale ribadiva che, nel delimitare l’ambito di applicazione dell’articolo 19 par.1 c.2 TUE e in merito a violazioni di diritti fondamentali, la Corte di Giustizia europea era competente a sostituirsi ai giudici costituzionali nazionali e alla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’ambito di applicazione materiale dell’articolo 19 par.1 c.2 TUE consisteva nell'intervenire per correggere problemi relativi alla strutturale inidoneità di un dato Stato membro in materia di inamovibilità e indipendenza dei giudici. Queste problematiche potevano, a tutti gli effetti, definirsi “carenze sistemiche o generalizzate” che pregiudicavano l'indipendenza del potere giudiziario. Quando si trattava, invece di casi singoli o specifici di violazione dell’inamovibilità dei giudici, questi venivano disciplinati dall’articolo 47 della CdfUE in un contesto dove uno Stato membro stesse attuando il diritto dell’Unione a norma dell’art. 51 par.1 della CdfUE. Infine, un vizio strutturale dell'ordinamento giudiziario che comportasse in aggiunta un’attuazione del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri sarebbe ricaduto nell’ambito di entrambe le disposizioni.

Nell'emettere la sentenza la Corte analizzava entrambe le censure della Commissione.

In primo luogo, la Corte si pronunciava sulle differenze introdotte dalla legge polacca del 12 luglio 2017 con riferimento all’età per il pensionamento applicabile rispettivamente ai magistrati di sesso femminile e a quelli di sesso maschile. Essa ribadiva che le pensioni di vecchiaia di cui godevano i magistrati rientravano nel campo di applicazione dell’art. 157 TFUE, secondo il quale ciascuno Stato membro assicurava l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile di uno stesso settore. I regimi pensionistici suddetti rientravano altresì nel campo di applicazione delle disposizioni della direttiva 2006/54

dedicata alla parità di trattamento nei regimi professionali di sicurezza sociale. La Corte valutava come la stessa legge aveva introdotto condizioni discriminatorie basate sul sesso, in particolare, per quanto riguardava il momento in cui gli interessati potevano beneficiare dell’accesso effettivo alle prestazioni previste dai regimi pensionistici interessati. Essa respingeva, quindi le motivazioni addotte dalla Polonia secondo la quale le differenze così previste tra magistrati di sesso femminile e di sesso maschile in materia di età di accesso alla pensione rappresentassero una misura di discriminazione positiva. Tali differenze non erano infatti tali da compensare gli svantaggi ai quali si esponevano le carriere dei pubblici dipendenti di sesso femminile. Pertanto, la Corte concludeva che la normativa in questione violava l’art. 157 TFUE e la direttiva 2006/54.

In secondo luogo, la Corte esaminava la misura che conferiva al ministro della Giustizia il potere decisionale in merito alla proroga dell’esercizio delle funzioni dei giudici dei Tribunali ordinari oltre l'età di pensionamento recentemente modificata. Richiamandosi alla sentenza del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia concernente l'indipendenza della Corte suprema, la Corte prendeva posizione sull’applicabilità e sulla portata dell’art. 19 par.1 c.2 TUE che obbligava gli Stati membri a predisporre i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione. I Tribunali ordinari polacchi potevano essere chiamati a pronunciarsi su questioni legate al diritto dell’Unione e dovevano quindi soddisfare i requisiti relativi a suddetta tutela. Per garantire che fossero in grado di offrire detta tutela, era di fondamentale importanza assicurare la loro indipendenza. Con il termine indipendenza si indicava che l’organo interessato esercitasse le sue funzioni in autonomia e con imparzialità. La Corte affermava come la situazione in cui un organo quale il ministro della Giustizia fosse investito del potere discrezionale di conferire o meno una proroga dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali oltre l’età per il pensionamento ordinaria non era di per sé condizione sufficiente per individuare l’esistenza di una violazione del principio di indipendenza. Tuttavia, nel caso di specie, le modalità procedurali che accompagnavano detto potere decisionale erano tali da suscitare legittimi dubbi in merito all’impermeabilità dei giudici interessati rispetto a fattori esterni e quindi alla loro neutralità. I criteri in base ai quali il ministro era chiamato a decidere erano troppo generici e non verificabili, non sussisteva l'obbligo di motivare la scelta e la decisione finale non poteva essere adita in giudizio. Inoltre, il periodo di attesa della decisione del ministro non aveva limiti temporali definiti ma

restava alla discrezionalità di quest’ultimo.

Secondo giurisprudenza consolidata, l’indispensabile impermeabilità dei giudici rispetto a pressioni esterne richiedeva garanzie idonee a tutelare i giudici come l’inamovibilità. Il principio di inamovibilità esigeva, in particolare, che i giudici potessero continuare a esercitare le proprie funzioni finché non avessero raggiunto l’età obbligatoria per il pensionamento o fino alla scadenza del loro mandato, qualora quest’ultimo avesse una durata prestabilita. Questo principio poteva conoscere deroghe giustificate da motivi legittimi e imperativi, nel rispetto sempre del principio di proporzionalità. Nel caso polacco, il combinato disposto della disposizione di riduzione dell’età pensionabile dei giudici dei Tribunali ordinari e della disposizione che conferiva al ministro della Giustizia il potere discrezionale di autorizzare la proroga dell’esercizio delle loro funzioni oltre la nuova età stabilita, proroga di dieci anni per i giudici di sesso femminile e di cinque anni per i giudici di sesso maschile, violava tale principio. Questa combinazione di misure suscitava legittimi dubbi sul fatto che il nuovo sistema fosse in realtà diretto a consentire alla maggioranza di Governo, per mano del ministro della Giustizia, di escludere a propria discrezione, a parità di età pensionabile, alcuni giudici poco graditi, mantenendo al contempo in servizio un’altra parte degli stessi. Inoltre, poiché la decisione del ministro non era soggetta a termini temporali prestabiliti, il giudice soggetto a pensionamento restava in servizio fino all' adozione della decisione, che nel caso fosse stata negativa, andava ad intervenire dopo che l’interessato era stato mantenuto in servizio.

Confermando le conclusioni dell’Avvocato Generale, la sentenza dichiarava come la Polonia nell'introdurre, all'art. 13 della legge sull’organizzazione dei Tribunali ordinari e alcune altre leggi del 12 luglio 2017 una differenziazione nell’età pensionabile di uomini e donne che svolgevano la funzione di giudici nei Tribunali ordinari, nella Corte suprema e di pubblici ministeri, era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 157 TFUE nonché degli artt 5 lett. a) e 9 par.1, lett. f), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. Dichiarava, altresì che la Polonia, abbassando l’età pensionabile applicabile ai giudici dei Tribunali ordinari e conferendo, al ministro della Giustizia il potere discrezionale di decidere in merito alla proroga del periodo di servizio di detti giudici, veniva meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 19 par.1 c.2 TUE.

La sentenza C-619/18 e la C-192/18 hanno creato importantissimi precedenti in quanto hanno influito in modo decisivo sulla sovranità di uno Stato che ledeva principi fondamentali dello Stato di diritto in primis la separazione dei poteri. Si auspica che sia l'inizio di altre successive sentenze che possano vanificare la recente riforma del sistema giudiziario polacco.

6.6 I rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia europea da parte della Corte

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