LE SCELTE DI FINE VITA IN ITALIA
LA LIBERTA‟ DI CURA NELLA COSTITUZIONE
6. La libertà di coscienza ed il valore del pluralismo come ulteriori argomenti a favore della disponibilità (da parte del titolare) dei diritti alla
7.1. Il diritto al rifiuto o alla rinuncia alle cure (anche se può derivarne la morte)
L‟ordinamento riconosce un diritto fondamentale di autodeterminazione intorno alla propria salute che si compone di due posizioni giuridiche soggettive: il diritto alla informazione sanitaria e la libertà di scegliere, acconsentire, rifiutare o rinunciare alle terapie (c.d. libertà di cura).
Tale diritto non trova limiti quando il suo esercizio comporta un sacrificio al bene-vita perché dall‟ordinamento costituzionale non è dato ricavare “un dovere alla vita” che giustifichi l‟intervento pubblico di imposizione dell‟esistenza in vita contro la volontà del titolare del diritto.
Da ciò deriva che già allo stato attuale vi è un diritto, direttamente azionabile nei confronti dello Stato, a non essere sottoposto ad un trattamento sanitario (non imposto per legge) cui non si è acconsentito ovvero ad ottenere l‟interruzione di terapie in corso.
Il punto è assolutamente pacifico nel caso di rifiuto di un trattamento non ancora iniziato: il medico e la struttura sanitaria devono astenersi da qualsiasi intervento sulla persona e la loro omissione non integra alcuna fattispecie di reato perché la posizione di garanzia del personale sanitario riguarda la salute del paziente e non comprende il mantenimento in vita contro la sua volontà, ma al contrario un loro intervento sarebbe fonte di un danno ingiusto suscettibile di risarcimento401.
In altre parole, l‟obbligo giuridico di curare – che alla luce del concetto costituzionale di salute, non coincide con la mera rimozione della causa del malessere fisico – presuppone il consenso del malato e, in mancanza, si converte nell‟obbligo di rispettare la volontà contraria alle cure. Il medico, in caso di rifiuto di un trattamento, deve arrestare il proprio intervento anche se ne può seguire la morte, poiché si tratta dell‟esercizio di un diritto da parte del paziente a fronte del quale l‟astensione è doverosa, in caso contrario potendosi configurare anche un‟ipotesi di reato402
.
La questione è più „scivolosa‟ a fronte della richiesta di sospensione di cure già in corso, quando per rispettare la volontà del paziente non sempre è sufficiente la semplice astensione del medico e della struttura sanitaria dall‟intervenire (es. caso del malato oncologico che chiedesse la sospensione della chemioterapia), ma talvolta occorre che questi agiscano „in positivo‟ per interrompere il trattamento
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Si veda la giurisprudenza in tema di responsabilità del medico e della struttura sanitaria per violazione del consenso informato richiamata supra al § 4.4.2. In aggiunta si veda Trib. Milano, sez. V, 23 febbraio 2009, n. 2423, in Giustizia a Milano, 2009, 3, p. 18.
402
Quindi il medico che non intervenga con una terapia rianimatoria sul paziente che sta per morire non è punibile per omicidio del consenziente sulla base degli artt. 579 e 40 c.p., perché questi, a fronte del rifiuto di cure, non ha l‟obbligo giuridico di impedire l‟evento morte. Quanto alla punibilità della condotta del medico che abbia effettuato un intervento in violazione del principio del consenso informato del paziente, (come ricordato supra al § 4.4.2.) la giurisprudenza più recente distingue due ipotesi: l‟intervento effettuato contro la volontà esplicita del paziente, che ha una sicura illiceità penale, e l‟intervento medico effettuato in assenza di consenso espresso allo specifico trattamento, che non è sussumibile in alcuna fattispecie di reato. V. le S.U. penali della Cassazione, sent. 18 dicembre 2008 – 21 gennaio 2009, n. 2437, in Foro. it., 2009, p. 305 ss e in Resp. civ. prev., 2009, 3, p. 654 ss.
precedentemente iniziato ed assistere il paziente tramite la somministrazione di cure palliative.
Il caso di Piergiorgio Welby, che domandava in piena lucidità la sospensione del respiratore artificiale che lo manteneva in vita, si è risolto grazie alla disponibilità di un medico che volontariamente ha scelto di attivarsi per realizzare il diritto di autodeterminazione del paziente. Il primo giudice intervenuto sul caso, infatti, pur riconoscendo il pieno diritto della persona ad autodeterminarsi rinunciando alle cure in corso, ha ritenuto impossibile imporre a chicchessia il corrispondente obbligo di realizzare tale diritto403. Nel momento in cui però un medico si è autonomamente attivato per farlo, la stessa giustizia ha riconosciuto come questi abbia operato “alla presenza di un dovere giuridico”.
Questa soluzione non è però condivisibile. La contraddizione che pare esservi fra l‟impossibilità di imporre un dovere e il riconoscimento della sua esistenza, a ben vedere, è già risolta in Costituzione.
Se si tiene conto che a norma dell‟art. 32 Cost. la Repubblica deve tutelate la salute come “fondamentale diritto dell‟individuo” e che il diritto alla salute, come conferma la Corte costituzionale, comprende il diritto di rinunciare alle cure cui si è sottoposto se non più accettate, non si può non considerare che la Repubblica deve garantire anche questo aspetto. Non c‟è dubbio quindi che, laddove il rispetto dell‟autodeterminazione terapeutica passi per la necessaria intermediazione medica, sia la struttura sanitaria tenuta a garantire il diritto alla salute a doversi far carico del corrispondente dovere.
Una conferma in tal senso viene dalla recente pronuncia del giudice amministrativo nel caso Englaro. Il Tar Lombardia (sent. n. 214 del 22 gennaio 2009), di fronte al quale era stato impugnato l‟esplicito diniego della direzione regionale della sanità ad accogliere la paziente in una delle sue strutture per dare attuazione alla volontà di sospensione delle cure in corso, ha ritenuto invece che fosse preciso dovere dell‟amministrazione sanitaria realizzare il diritto alla salute
403 Tribunale di Roma, ordinanza 15 dicembre 2006, in Foro it., 2007, I, 571 su cui si veda A. PIZZORUSSO, Il caso Welby: il divieto di non liquet, in Quad. cost., 2007, p. 355 ss e N. VICECONTE, Il diritto di rifiutare le cure. Un diritto costituzionale non tutelato? Riflessioni a
della persona così come ricostruito dai giudici che ne avevano accertato la volontà404.
Anche sotto questo profilo si può allora ritenere che dal dettato costituzionale derivi la doverosità, delle strutture (pubbliche e private accreditate) preposte alla realizzazione del diritto alla salute, a dare soddisfazione a tale diritto anche quando nella determinazione del suo contenuto concreto rientri la sospensione delle cure rifiutate dal paziente405.
Da tale ricostruzione, inoltre, sembra potersi ricavare che, in assenza di una legge che riconosca un diritto all‟obiezione di coscienza del personale sanitario, gli operatori sanitari che lavorano presso la struttura pubblica in cui si trova ricoverato un paziente che chieda la sospensione della terapia, sono tenuti, per dovere professionale e di servizio, ad effettuare la prestazione richiesta406.
Come ha confermato la Corte costituzionale (a partire dalla sentenza 88 del 1979), infatti, l‟art. 32 Cost. è norma precettiva e dunque il diritto costituzionale garantito è direttamente azionabile sia nei confronti dello Stato sia nei rapporti interprivati. Dal momento che il diritto di cui si tratta si esplica nell‟ambito della materia sanitaria, i rapporti giuridici entro il quale opera sono inequivocabilmente due: quello tra struttura sanitaria pubblica (rectius: Stato) e individuo; e quello fra medico (o più in generale operatore sanitario) e paziente.
Del primo si è già detto (che è stato considerato illegittimo l‟atto della Direzione generale della Sanità della giunta regionale della Lombardia con cui si invitava le strutture pubbliche a non rispettare quel diritto), quanto al secondo pare possibile sostenere che il medico che si assume l‟obbligo contrattuale di “tutelate la salute” del paziente accetta anche quello di rispettare la libertà di cura dello stesso; pertanto a fronte della richiesta di interruzione di cure non (più) volute è contrattualmente tenuto a darvi attuazione. Potrebbe sempre rifiutarsi e recedere dal contratto (così come il medico dipendente di una struttura pubblica
404
Cfr. Tar Lombardia, Milano, sez. III, sentenza 22 gennaio 2009, n. 214 in Giornale dir.
amm., 2009, 3, con commento di A. PIOGGIA, Consenso informato e rifiuto di cure: dal riconoscimento alla soddisfazione del diritto, p. 267 ss.
405 In termini analoghi, si veda A. PIOGGIA, Il disegno di legge in materia di dichiarazioni
anticipate di trattamento: esempi di fallimenti e di molte occasioni perdute nell‟attuazione della Costituzione, in www. costituzionalismo.it.
406Contra G.U. RESCIGNO, Dal rifiuto dei trattamenti sanitari ex art. 32, 2 co., Cost. al
principio di autodeterminazione intorno alla propria vita, cit., p. secondo il quale non si può
sostenere solo sulla base della Costituzione che un soggetto possa essere obbligato a interrompere un trattamento sanitario in corso.