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La pretesa giuridica al suicidio medicalmente assistito

LA LIBERTA‟DI CURA NELLO SPAZIO GIURIDICO EUROPEO Un‟indagine comparata

2. I principi di diritto europeo in materia di scelte di fine vita

2.2. La pretesa giuridica al suicidio medicalmente assistito

Come anticipato, nessuno dei documenti citati contiene delle disposizioni che si riferiscono specificamente al problema del suicidio medicalmente assistito.

Naturalmente sono rilevanti i principi esaminati nel paragrafo precedente sul consenso informato in relazione al diritto alla salute e sul diritto al rispetto della vita privata, perché anche la pretesa ad un‟assistenza sanitaria al suicidio è espressione del principio di autodeterminazione terapeutica nelle fasi finali della vita.

Tuttavia, come abbiamo già osservato nel capitolo precedente, la questione in esame presenta profili ulteriori. Infatti, attraverso la pretesa al suicidio medicalmente assistito il soggetto non chiede che lo Stato e la medicina si astengano dall‟invadere la propria sfera corporea in un momento tanto delicato quale quello di una malattia terminale e/o irreversibile, ma al contrario vorrebbe che l‟ordinamento predisponesse adeguati strumenti proprio per permettere alla scienza medica di intervenire a liberarlo dalla condizione esistenziale cui l‟ha costretto la malattia.

Tale differenza, che giustifica il diverso trattamento giuridico delle due pretese, emerge in modo molto chiaro nella famosa sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Diane Pretty v. Regno Unito sulla quale merita spendere qualche riflessione92.

La signora Diane Pretty, cittadina britannica, era affetta da sclerosi laterale amiotrofica, una malattia neurodegenerativa che comporta la paralisi progressiva dei muscoli e conduce alla morte per soffocamento. Pure essendo paralizzata dai piedi al collo, era ancora pienamente capace di intendere e di volere e aveva deciso di mettere fine alla sua esistenza, vissuta ormai come una terribile sofferenza, ma la sua condizione fisica le impediva di suicidarsi. Dato che l‟ordinamento inglese sanziona penalmente l‟assistenza o l‟aiuto al suicidio, aveva chiesto alle autorità inglesi (Director of Pubblic Prosecution), attraverso un procedimento di fronte alla House of Lord, di impegnarsi a non perseguire il

92 Corte Europea dei Diritti dell‟Uomo, 29 Aprile 2002, Caso Pretty v. Regno Unito

(ricorso 2346/02), in Riv. int. diritti uomo, 2002, p. 407 ss. Sulla sentenza si veda ex multis R.

BIFULCO, Esiste un diritto al suicidio assistito nella Cedu?, in Quad. cost., 2003, p.166 ss; C. TRIPODINA, Il diritto nell‟età della tecnica, cit., p. 296 ss; C. CASONATO, Introduzione al

biodiritto, cit., p. 191; VIGANO, Diritto penale sostanziale e convenzione europea dei diritti dell‟uomo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2007, 01, p. 42.

marito se l‟avesse aiutata a mettere fine ai propri giorni. Naturalmente la sua istanza era stata formalmente rigettata93 e per tale ragione aveva presentato ricorso alla Corte europea lamentando la violazione di alcuni diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione.

In particolare, la Sig.ra Pretty aveva lamentato la violazione dell‟art. 2 sul diritto alla vita il quale secondo la sua ricostruzione garantirebbe “anche il diritto di scegliere di continuare o smettere di vivere”94

e dell‟art. 8 CEDU il quale coprirebbe anche la pretesa di scegliere quando e come morire 95. Il rifiuto da parte del DPP di impegnarsi a non perseguire suo marito ed il divieto generale di suicidio assistito previsto dall‟ordinamento, dunque, avrebbero violato il suo diritto all‟autodeterminazione, provocando un grave pregiudizio ad un aspetto così intimo della propria vita privata senza che ricorresse nessuna delle giustificazioni legittime di cui al secondo paragrafo dell‟art. 8.

La Corte di Strasburgo ha rigettato il ricorso, ma la motivazione merita di essere richiamata nelle linee essenziali.

Quanto al primo motivo, ha rigettato la propsettazione della ricorrente sul presupposto che nel diritto alla vita non possa farsi rientrare un profilo negativo, perché dalla formulazione della disposizione emerge che “non vi è nessun rapporto con le questioni relative alla qualità della vita o a quello che una persona sceglie di fare della propria vita”96

.

Nel valutare le doglianze relative all‟art. 8, invece, ha affermato che la previsione legislativa di un divieto generale di suicidio assistito pregiudica il

93 Si veda al riguardo, la sentenza della House of Lord The Queen on the Application of Mrs

Diane Pretty (Appellant) v. Director of public prosecutions (Respondent) and Secretary of State for the Home Department (Interested Party), del 29 novembre 2001, [2001] UKHL 61.

94 In quanto “tutelerebbe il diritto alla vita e non la vita stessa e la frase relativa al divieto dell‟inflizione della morte tenderebbe a proteggere gli individui da terzi, in particolare lo Stato e le autorità pubbliche, e non da se stessi”. In questo senso, “l‟art. 2 riconoscerebbe anche un diritto a morire in modo da sfuggire ad una sofferenza ed indegnità inevitabili”.

95 Dal momento che “niente è più intimamente legato al modo in cui un individuo conduce la propria esistenza delle modalità e del momento del suo passaggio a miglior vita”.

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Precisa la Corte che “l‟art. 2 non può, senza distorsioni di linguaggio, essere interpretato nel senso di conferire un diritto diametralmente opposto, vale a dire un diritto di morire; non può neppure far nascere un diritto all‟autodeterminazione, nel senso di dare ad ogni individuo il diritto di scegliere la morte piuttosto che la vita (…) e da esso non è dunque “possibile dedurre un diritto di morire, per mano di un terzo o con l‟assistenza di una pubblica autorità” (par. 40).

principio di autodeterminazione sancito da tale disposizione97. Quindi ha valutato se la compressione potesse considerarsi giustificata, in quanto “necessaria” per perseguire uno degli scopi indicati dall‟art. 8, par. 2, e “proporzionata” allo scopo legittimo.

I giudici hanno ripreso la motivazione esposta dal governo britannico nella sua difesa, secondo la quale la scelta di non ottemperare a quella richiesta98 e sanzionare penalmente l‟assistenza al suicidio si fondava sull‟esigenza di proteggere le persone vulnerabili (specialmente quelle che non sono in grado di autodeterminarsi) da atti volti a porre fine alla loro esistenza.

In particolare, ha affermato la Corte, spetta a ciascun Stato valutare discrezionalmente le probabili conseguenze negative che implicherebbe l‟attenuazione del divieto di suicidio assistito o la creazione di eccezioni a tale principio99. Tuttavia, se un legislatore lo ritiene assolutamente necessario per la protezione della vita dei cittadini, la sua decisione è ammissibile in astratto.

Inoltre, nel caso dell‟ordinamento britannico la misura appare giustificabile, oltre che sul piano della necessarietà al perseguimento di uno scopo legittimo, anche su quello della proporzionalità perché la sua applicazione è resa elastica da una prassi giurisprudenziale orientata ad una certa mitezza nella repressione degli „omicidi per compassione‟100

.

97 In questo senso, afferma che “alla ricorrente viene impedito dalla legge di compiere una scelta per evitare ciò, che ai suoi occhi, costituirà un epilogo della vita indegno e doloroso. E ciò costituisce una lesione del diritto dell‟interessata al rispetto della sua vita privata, che dunque può considerarsi legittima solo se conforme ai requisiti del secondo paragrafo dell‟art. 8”.

98 Richiesta difficilmente giustificabile alla luce dei principi dello stato di diritto considerato che avrebbe richiesto un impegno dello Stato a sottrarre una persona dall‟applicazione della legge.

99

Sviluppando il ragionamento si ricava che non sarebbe necessariamente illegittima la scelta di un Governo nazionale di attenuare quel divieto. Se però un legislatore ritiene la misura assolutamente necessaria per la protezione della vita dei cittadini, la sua decisione è giustificabile in astratto.

100 In tal senso afferma che “Alla Corte non sembra arbitrario che la legislazione rispecchi l‟importanza del diritto alla vita vietando il suicidio assistito e prevedendo un sistema di applicazione e di valutazione da parte della giustizia che consente di valutare in ciascun caso concreto sia l‟interesse pubblico ad introdurre procedimenti sia le esigenze legittime ed adeguate della retribuzione e della dissuasione”.

In altre parole, ciò che rende non sproporzionato il divieto è la possibilità per i giudici di mitigarlo o disattenderlo nel caso concreto. Cfr. sentenza Diane Pretty

c. Regno Unito, cit., par. 76. Pare interessante notare sin d‟ora, salvo poi ritornarvi nell‟ultimo

capitolo, che la Corte sembra avvallare una delle possibili soluzioni per un controllo pubblico delle istanze eutanasiche: quello che avviene attraverso l‟intervento della magistratura.

Ci siamo dilungati sulla sentenza perché a nostro avviso, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni commentatori, offre un autorevole sostegno al riconoscimento delle istanze rivendicate nelle scelte di fine vita.

In primo luogo, afferma espressamente la vigenza del diritto di rifiutare le cure anche se ciò può comportare il sacrificio della vita, come diritto che spetta a ciascun soggetto adulto e sano di mente.

In secondo luogo, rispetto al suicidio assistito non c‟è una chiusura, ma una soluzione problematica. La Corte riconosce che il problema è molto delicato, ma di estrema importanza perché coinvolge la dignità e la libertà di ogni individuo di fronte al crescente progredire della tecnica101 e ammette espressamente - rilievo tutt‟altro che secondario - che impedire per legge la scelta individuale su un aspetto così intimo della propria persona (la scelta di come vivere i momenti finali di un‟esistenza biologica destinata inevitabilmente a concludersi) costituisce una violazione del diritto al rispetto della vita privata.

Tuttavia, la complessità della questione e la mancanza di un sentire comune a livello europeo impediscono una presa di posizione netta, perciò i giudici si limitano ad un‟indicazione di metodo: il divieto generale di suicidio assistito, se può essere considerato necessario per la protezione dei diritti altrui, per essere anche proporzionato deve essere mitigato in sede di applicazione (valutando ogni singolo caso).

Da una tale conclusione ci sembra di poter desumere che il principio di autodeterminazione intorno alla propria vita fa parte dei valori che ispirano lo spazio giuridico europeo.

101 Chiarissimo in questo senso il paragrafo 65 della sentenza in cui si legge: “La dignità e la libertà dell‟uomo sono l‟essenza stessa della Convenzione. Senza negare in nessun modo il principio della sacralità della vita protetto dalla Convenzione, la Corte rileva che è sotto il profilo dell‟art. 8 che la nozione di qualità della vita si riempie di significato. In un‟epoca in cui si assiste ad una crescente sofisticazione della medicina e ad un aumento delle speranze di vita, numerose persone temono di non avere la forza di mantenersi in vita fino ad un‟età molto avanzata o in un stato di grave decadimento fisico e mentale agli antipodi della percezione che hanno di loro stesse e della loro identità personale.”

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