LE SCELTE DI FINE VITA IN ITALIA
LA LIBERTA‟ DI CURA NELLA COSTITUZIONE
4. Il diritto alla salute In particolare, le diverse concezioni della sfera di disponibilità del diritto alla salute da parte del titolare.
4.4. La soluzione preferibile: il „diritto a scegliere la propria salute‟
4.4.2 La prospettiva attuale anche alla luce dei principi di diritto europeo: il principio del consenso informato
La nuova tutela costituzionale della salute ha sovvertito completamente anche l‟impostazione del rapporto medico-paziente315
.
La relazione terapeutica si articola attraverso una considerazione primaria della percezione di sé (come soggetto malato) da parte del paziente che ovviamente interferisce con le scelte mediche dal punto di vista degli obbiettivi considerati auspicabili: non più, o non soltanto, la cura di una patologia, ma il perseguimento di una migliore condizione del singolo individuo.
Da tutto ciò è derivata una nuova configurazione dei doveri professionali del personale sanitario secondo la quale la considerazione della persona umana e delle sue scelte è parte integrante di quella posizione di garanzia che il medico assume nei confronti del paziente316.
L‟istituto giuridico che esprime questo cambiamento è, come si sa, il principio del c.d. consenso informato che, elaborato in origine dalla giurisprudenza nordamericana, ha acquistato cittadinanza nel nostro ordinamento a partire dagli anni ‟90 del secolo scorso, quando per la prima volta in una decisone giurisprudenziale l‟autodeterminazione del soggetto è stata considerata come regola fondamentale della relazione medico-paziente317.
Successivamente è stato recepito nelle norme deontologiche regolanti l‟attività sanitaria (vedi già il codice deontologico del 1995, nota), poi codificato dal legislatore in particolari normative di settore 318, ed oggi espressamente previsto dall‟art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell‟Unione Europea 319
.
315 Come chiarisce illustre dottrina, prima la diagnosi clinica era il fulcro della relazione terapeutica, adesso la valutazione dello stato del paziente in termini di salute è necessariamente dialettica e la conclusione è possibile solo grazie ad una sintesi concorde della tesi medica e dell‟antitesi dell‟autopercezione. V. P. ZATTI, Il diritto di scegliere la propria salute (in margine
al caso S. Raffaele), cit., p. 5.
316 Il codice di deontologia medica nella sua ultima versione (del 16 dicembre 2006) all‟art. 3 stabilisce che “Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell‟Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona”.
317 Cfr. A. SANTOSUOSSO, Il consenso informato: questioni di principio e regole
specifiche, in ID.(a cura di), Il consenso informato. Tra giustificazione per il medico e diritto del paziente, Milano, Raffaello Cortina Editore 1996, 17.
318
In verità il principio di necessaria volontarietà dei trattamenti sanitari era già previsto dalla legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (l. 23 dicembre 1978, n. 833) la quale dopo aver premesso all‟art. 1, che “la tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana”, sancisce all‟art. 33, il carattere di norma volontario degli accertamenti e dei trattamenti sanitari. È stato poi sancito dalle normative in materia di
I contorni dell‟istituto sono ormai nitidamente delineati dalla giurisprudenza.
La Corte costituzionale lo ha qualificato come l‟espressione legislativa della libertà di scelta terapeutica. Già in precedenza la Consulta aveva inteso l‟autodeterminazione come principio inerente al diritto alla salute320
ed aveva riconosciuto insito nel concetto di libertà personale la libertà di disporre di sé321, ma nella sentenza 23 dicembre 2008, n. 438, per la prima volta configura il consenso informato “quale vero e proprio diritto della persona che trova
fondamento nei principi espressi dagli artt. 2 della Costituzione e negli artt. 13 e 32, 2 co., Cost. (…) e svolge una fondamentale funzione di sintesi fra due diritti fondamentali: quello alla autodeterminazione e quello alla salute”322.
La giurisprudenza ordinaria, dal canto suo, ne ha individuato natura, requisiti e funzione.
Stando ai più recenti orientamenti giurisprudenziali la formula del consenso informato rappresenta la sintesi di due posizioni soggettive: il diritto
trapianti, fra le quali la legge 26 giugno 1967, n. 458 Trapianto del rene tra persone viventi agli artt. 2 e 4; la legge 16 dicembre 1999, n. 483 Norme per consentire il trapianto parziale di fegato. Tra i provvedimenti più recenti infine si possono ricordare la legge 19 febbraio 2004, n. 40, Norme
in materia di procreazione medicalmente assistita (art. 6), la legge 21 ottobre 2005, n. 219, Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati (art. 3) la
legge 1 aprile 1999, n. 91 Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e tessuti., la disciplina sulla sperimentazione clinica e farmaceutica, comprendente il D.lgs 6 novembre 2007 n. 200- Attuazione della direttiva 2005/28/CE recante principi e linee guida dettagliate per la buona pratica clinica relativa ai medicinali in fase di sperimentazione a uso umano, nonché i requisiti per l'autorizzazione alla fabbricazione o importazione di tali medicinali (art. 3) e il D.lgs 24 giugno 2003 n. 211 - Attuazione della direttiva 2001/20/CE relativa all'applicazione della buona pratica clinica nell'esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico (artt. 1 e 3).
319 Su tale disposizione e sugli analoghi principi contenuti nella Convenzione di Oviedo si veda il capitolo II, § 2. In questa sede si può solo aggiungere che l‟articolo in commento, con una tecnica redazionale che richiama molto quella seguita per l‟art. 32 Cost., sancisce un diritto fondamentale e pone dei limiti esterni per proteggere la sfera individuale da quelle ingerenze avvertite come maggiormente pericolose. Infatti, il riferimento al consenso informato consacra il profilo di autodeterminazione insito nel diritto all‟integrità fisica e psichica e gli altri tre divieti pongono limiti giuridici a tutela della salute ed a presidio della libertà della persona contro il rischio di strumentalizzazione (divieto di pratiche eugenetiche selettive e di clonazione riproduttiva) e di mercificazione del corpo e delle sue parti che possono derivare dalle disuguaglianze sociali. Sul punto v. R. BIFULCO, Art. 3 Diritto all‟integrità della persona, cit., p. 57.
320
Cfr Corte cost. 22 giugno 1990, n. 307, cit., ove si richiama espressamente “l‟autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto
fondamentale”punto 2 del Considerato in diritto.
321 Cfr. Corte cost. 22 ottobre 1990, n. 471, cit. 322
all‟informazione sanitaria e il diritto di esprimere l‟adesione, il rifiuto o la rinuncia successiva alle diagnosi o alle terapie (c.d. libertà di cura).
Sul diritto ad una informazione sanitaria adeguata323 la legislazione ordinaria non è affatto esauriente, tanto che per evidenziare il contenuto di tale posizione soggettiva occorre far riferimento alla prassi giurisprudenziale e al codice di deontologia medica (art. 33), dai quali si ricava che il medico deve comunicare al paziente tutti gli elementi relativi alla sua condizione di salute, alla natura, ai rischi ed ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, alle eventuali terapie alternative ed ai rischi delle stesse, nonché alla efficienza ed alle dotazioni della struttura ospedaliera dove si effettua il trattamento324.
La libertà di cura, invece, può alternativamente esprimersi in un‟adesione alla proposta terapeutica avanzata dall‟equipe sanitaria, nella scelta di una terapia alternativa ovvero nel rifiuto di qualsivoglia intervento.
Inoltre, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti hanno individuato dei requisiti di validità del consenso/dissenso il quale deve essere personale, consapevole, specifico, attuale e revocabile325.
323
Quanto all‟adeguatezza giuridica dell‟informazione, sono stati configurati tre standard di riferimento: quello professionale per il quale è sufficiente un‟informazione conforme alla corretta prassi medica secondo lo stato delle conoscenze scientifiche, quello medio, per il quale l‟informazione deve essere rapportata a quella di cui un paziente ragionevole, pensato come medio all‟interno di una comunità, vorrebbe sapere ed avrebbe bisogno per decidere sulle cure, e quello
soggettivo, per il quale l‟informazione deve essere quella necessaria perché lo specifico paziente
possa comprendere e determinarsi .L‟ordinamento italiano è orientato verso il criterio soggettivo, come risulta dall‟art. 33, secondo comma, del codice di deontologia medica (“il medico deve comunicare con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione”) e dal documento del Comitato Nazionale per la Bioetica, Informazione e consenso all‟atto medico, ove si legge che “l‟informazione è finalizzata non a colmare la inevitabile differenza di conoscenze tra medico e paziente, ma a porre un soggetto (il paziente) nella condizione di esercitare correttamente i suoi diritti e quindi di formarsi una volontà che sia effettivamente tale; in altri termini porlo in condizioni di scegliere”; ed è confermato dalla giurisprudenza (Cfr. anche Tribunale Venezia 13 dicembre 2004, cit.). Al riguardo si veda il documento del Comitato Nazionale per la Bioetica
Informazione e consenso all‟atto medico, del 20 giugno 1992, p. 10 ss; A. SANTOSUOSSO, Il consenso informato: questioni di principio e regole specifiche, in ID., Il consenso informato fra giustificazione del medico e diritto del paziente, cit., p. 6 ss.
324 In termini, Cass. civ., 16 maggio 2000, n. 6318, cit.; Cass. civ., 30 luglio 2004, 14638. In giurisprudenza cfr, anche Cass. Pen., sez. VI, 1 agosto 2008, n. 978, in Rass. dir. farmaceutico, 2008, 4, p. 730; Cass. Pen., sez. VI, 8 maggio 2008, n. 32423in CED Cass. Pen., 2008; Trib. Milano, sez. VI, 4 marzo 2008, cit.. Sul problema dell‟informazione sanitaria si veda anche il documento del Comitato Nazionale per la Bioetica Informazione e consenso all‟atto medico, del 20 giugno 1992, p. 10.
325 Fra i molti si veda A. SANTOSUOSSO, Il consenso informato: questioni di principio e
Deve cioè essere espresso dal soggetto destinatario del trattamento (e non da terzi o dai suoi familiari) consapevolemente e dunque previa acquisizione di un‟adeguata informazione sanitaria; dev‟essere manifestato in forma esplicita ed inequivoca e deve riguardare lo specifico trattamento cui il paziente deve essere sottoposto326. In ogni caso, la scelta originariamente espressa è revocabile con la conseguenza che il paziente può acconsentire ad una terapia che aveva in precedenza rifiutato ovvero rinunciare ad una terapia che aveva accettato e quindi iniziato327; diversamente opinando si realizzerebbe un‟irragionevole disparità di trattamento fra due situazioni analoghe riferibili all‟esercizio del medesimo diritto328.
Quanto alla funzione del principio in esame, la giurisprudenza è ormai unanime nell‟affermare che il consenso informato è fonte di legittimazione e di
paziente, cit., p. 27; F. GIUNTA, Il consenso informato all‟atto medico tra principi costituzionali e implicazioni penalistiche, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, p. 377 ss.
326 In questo senso si veda Cass. civ., sez. III, 15 settembre 2008, n. 23676, in Foro it., 2009, I, p. 36. Attualmente, ad eccezione che in caso di accesso alle tecniche di fecondazione assistita e di sperimentazione clinica, per la validità del consenso non è richiesta la forma scritta ad
sustantiam, pertanto, é sufficiente che il consenso venga prestato oralmente. In verità, si è ormai
consolidata la prassi di far sottoscrivere al paziente un documento da cui risulta l‟accettazione dell‟atto medico; si tratta di regola di moduli, predisposti per specifiche tipologie di atti medici, che sembrano diretti più a garantire il medico provando la liceità del suo operato, che non ad assicurare l‟effettività del consenso del paziente al trattamento terapeutico. Al riguardo, la giurisprudenza precisa che il corretto adempimento dell‟obbligo informativo da parte del medico non può esaurirsi nella consegna di un generico modulo prestampato ma è sempre necessaria la prova di una comunicazione ampia ed articolata. Cfr. ex multis Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24791, in Giust. civ., 2008, 10, p. 1448; Trib. Cesena, 6 agosto 2007, in Resp. civ., 2008, p. 183; Trib. Milano, 18 giugno 2003, in Giustizia a Milano, 2003, 51; Pret. Milano, 2 marzo 1998, in
Foro ambr., 1999, p. 131.
327 Cfr. da ultimo Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748, in Foro it., I, 2009, p. ; Cass. pen., sez. IV, 16 gennaio 2008, n. 11335, in Resp. civ. e prev., 2008, 7-8, p. 1522; Cass. pen., sez IV, 30 settembre 2008, n. 37077, in Corriere giuridico, 2009, p. 182 ss; Trib. pen. Roma, 23 luglio-17 ottobre 2007, cit., Corte d‟Appello Milano, sez. I, 9 luglio 2008, in Giur. merito, 2008, 10, p. 2504; TAR Milano-Lombardia, sez. III, 26 gennaio 2009, n. 214, in Giust. civ., 2009, 3, p. 788.
328E‟ facile comprendere, infatti, che finché una persona non si trova in una determinata condizione, non può sapere cosa significhi veramente, e quindi può non aver maturato quel convincimento che la spinge ad accettare o, viceversa, a rifiutare una determinata terapia. Si pensi al paziente cha abbia rifiutato le cure palliative nella convinzione di poter tollerare il dolore oppure di volerlo sopportare e poi, soffrendo, si renda conto di non riuscirci o di sentirlo un sacrificio inutile, nessuno può negare che sarebbe irragionevole impedire alla persona di cambiare decisione e di chiedere le terapie in origine non accettate. Allo stesso modo si pensi ad un malato oncologico che abbia accettato di sottoporsi alla chemioterapia, il quale durante lo svolgimento della terapia si renda conto di trovare quella condizione inaccettabile e chieda che venga interrotta.O ancora, si pensi al malato terminale che (prima di un intervento) abbia accettato di essere rianimato in caso di emergenza, il quale trovandosi a vivere grazie ad un trattamento di sostegno vitale (es. ventilazione meccanica) si renda conto di ritenere quella condizione inaccettabile.
validità dell‟attività sanitaria329
, tanto che l‟intervento diagnostico e/o terapeutico posto in essere in assenza del consenso o nonostante il dissenso del paziente implica la responsabilità civile330 e, a certe condizioni, penale331 del personale medico.
329 La giurisprudenza in materia di responsabilità medica per violazione del consenso informato è ormai copiosa tanto che non è possibile, in questa sede, darne conto estesamente, anche perché esula dall‟oggetto specifico della ricerca. Tuttavia, in estrema sintesi, merita evidenziare che secondo l‟orientamento maggioritario l‟attività medica trova fondamento direttamente nelle norme costituzionali che tratteggiano il bene salute come diritto fondamentale dell‟individuo. Dal divieto di trattamenti sanitari obbligatori, salvo i casi previsti dalla legge, e dal diritto alla salute inteso come libertà di curarsi, sanciti dall‟art. 32, 2 co., Cost., discende che il presupposto indefettibile che giustifica l‟intervento medico va rinvenuto nella scelta libera e consapevole (rectius: il consenso informato) della persona che a quel trattamento si sottopone (In questi termini da ultimo Cass., S.U. penali, 21 gennaio 2009, n. 2437 in in Foro. it., 2009, p. 305 ss ); con la conseguenza che l‟intervento intrapreso o proseguito in assenza o contro la volontà del soggetto (c.d. arbitrario) è da considerarsi illecito.
330 Sul piano della responsabilità civile la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che nel rapporto contrattuale che si instaura fra medico (e struttura sanitaria) e paziente rientrano le prestazioni di diagnosi e cura ed una serie di prestazioni ulteriori, fra le quali l‟obbligo di fornire al paziente una informazione adeguata sulla terapia proposta, i suoi rischi e le prevedibili conseguenze nonché sulle possibili alternative terapeutiche e di acquisire una consapevole adesione alla terapia (Cfr. in particolare Tribunale di Venezia, 13 dicembre 2004, in Corriere del
merito, 2005, 4, p. 407; Tribunale Venezia, 4 ottobre 2004, in Resp. civ. e prev., 2005, p. 519.). La
violazione di tale obbligo informativo – sussistente non solo in caso di omessa informazione, ma anche in caso di informazioni insufficiente o non veritiera, e che prescinde del tutto dalla correttezza dell‟attività medica eseguita – fa sì che il trattamento sia illecito perché eseguito in violazione degli artt. 32, comma 2, Cost. e 13 Cost. e quindi lesivo del diritto del paziente alla sua integrità psicofisica o meglio del suo diritto all‟autodeterminazione terapeutica. Si veda ex multis cass. Civ., sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24791, in Cass. Civ., sez. III, 28 novembre 2007, n. 24742, in
Giust. civ., 2007, p. 11; Cass. Civ., sez. III, 14 marzo 2006, n. 5444, in Riv. it. medicina legale,
2006, 2, p. 978; Cass. Civ., sez. III, 16 maggio 2000, n. 6318, in Danno e resp., 2001, p. 154; Cass. Civ. 15 gennaio 1997, n. 364 in Giur. it., 1998, p. 37 che però ancora inquadrava l‟obbligo informativo nella fase precontrattuale, quale espressione del dovere di comportarsi in buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, ex art. 1337 c.c.; Tribunale Milano, sez. V, 10 novembre 2008, n. 13192, in Giustizia a Milano, 2008, 11. p. 78; Tribunale Bari, sez. III, 25 marzo 2008, n. 769, in www.giurisprudenzabarese.it,2008; Tribunale Milano, sez. VI, 4 marzo 2008, in Giustizia a Milano, 2008, 3, p. 18; Tribunale Milano, 8 giugno 2007, in Resp.
civ. e prev., 2008, 2, p. 402; Tribunale Novara, 5 giugno 2007, n. 40, in Resp. civ. e prev., 2008, 5,
p. 1181; Tribunale Paola, 15 maggio 2007, n. 462, in Corti Calabresi, 2008, 1, p. 140; Tribunale Milano, sez. V, 9 agosto 2006, n. 8396, in Giustizia a Milano, 7, p. 50; Tribunale di Venezia, 13 dicembre 2004, cit.; Tribunale Venezia, 4 ottobre 2004, cit. Pertanto, il trattamento medico eseguito in violazione del principio del consenso informato può dar luogo al risarcimento del danno biologico e del danno non patrimoniale, sempre che il soggetto fosse in grado di esprimere un valido consenso e non ricorressero i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p. (situazione di urgenza ecc.) e purché risultino provati tutti gli elementi costitutivi dell‟illecito, in particolare il danno (c.d. conseguenza) risarcibile. Circa i confini della risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente alla violazione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantititi si veda da ultimo Cass. civ., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972, in dottrina si vedano i contributi contenuti in G. PONZANELLI - M..BONA, Il danno non patrimoniale. Giuda
commentata alle decisioni delle S.U., 11 novembre nn. 26972/3/4/5, Milano, Giuffrè, 2009.
331 In ambito penalistico, semplificando molto, si può affermare che dell‟atto medico compiuto senza il consenso del paziente sono state prospettate due ricostruzioni a seconda del bene giuridico che si è considerato oggetto di tutela. Laddove si riteneva che il consenso proteggesse l‟intangibilità corporea del soggetto, si sosteneva la configurabilità del reato di lesioni personali
La piena vigenza del principio del consenso informato nel nostro ordinamento, dunque, conferma definitivamente che l‟ordinamento è orientato a favore del riconoscimento del “diritto a scegliere la propria salute”332.
5. Il diritto alla vita. Le diverse concezioni della indisponibilità del
diritto alla vita
Quanto appena illustrato in materia di diritto alla salute parrebbe sugfficiente a dotare la libertà di cura (del soggetto capace) coinvolto nelle scelte di fine vita della veste di diritto soggettivo pienamente garantito dall‟ordinamento giuridico.
In verità alcuni dubbi interpretativi riemergono quando tale libertà è esercitata da un paziente allo stato terminale oppure quando la scelta terapeutica si
(artt. 582 c.p.); ove si riteneva che il bene giuridico protetto fosse la libertà di autodeterminazione terapeutica, il reato configurato era quello di violenza privata (art. 610 c.p.). La giurisprudenza più recente distingue fra l‟intervento medico effettuato nonostante il rifiuto espresso del paziente e l‟intervento operato in assenza di consenso (che può verificarsi nel caso in cui il medico esegua un intervento diverso rispetto a quello originariamente accettato dal paziente). Nel primo caso è pacifico che la condotta del sanitario che abbia agito contro la volontà del paziente, a prescindere dall‟esito fausto o infausto del trattamento praticato, è da considerarsi illecito anche penalmente, trattandosi di condotta che, quantomeno, realizza una illegittima coazione dell‟altrui volere (Cfr. Cass., S.U. penali, 21 gennaio 2009, n. 2437, punto 6 del Considerato in diritto). Diversamente in
assenza di consenso (mancando altresì un esplicito rifiuto) del paziente bisogna distinguere a
seconda che il trattamento sanitario abbia avuto o meno esiti infausti. Al riguardo, la giurisprudenza è ormai concorde nel sostenere l‟irrilevanza penale del trattamento c.d. migliorativo. E‟ infatti da escludersi la configurabilità del reato di violenza privata perché la condotta di approfittamento dello stato di incoscienza (in cui versa il paziente sottoposto all‟intervento) non è naturalisticamente né giuridicamente equiparabile alla condotta di costrizione della vittima codificato all‟art. 610 c.p.. Ugualmente, se l‟intervento è condotto nel rispetto delle
leges artis ed ha esito fausto non può dirsi realizzato l‟evento del reato di lesioni personali, ossia
la malattia. Dunque, il mancato consenso del paziente potrà rilevare su altri piani (civile e/o disciplinare), ma non su quello penale. Mentre in caso di trattamento c.d. peggiorativo, la condotta del medico avendo cagionato una “malattia”, ex art. 582 c.p., (ovvero un processo patologico accompagnato da una più o meno rilevante compromissione dell‟assetto funzionale dell‟organismo) realizza un fatto conforme alla fattispecie del reato di lesioni personali, punibile naturalmente ove sussistano gli altri presupposti (elemento psicologico ed assenza di cause di giustificazione). Al riguardo, ci sembra che gli ultimi arresti della giurisprudenza penale valorizzino ragionevolmente la rilevanza dell‟autodeterminazione del paziente delineando un sistema di tutela nel quale la sanzione penale opera come extrema ratio: mentre la terapia medica eseguita contro la volontà del soggetto integra sempre un illecito penale, il trattamento effettuato in assenza di consenso rileva penalmente solo se dannoso ed imputabile ad un comportamento colpevole del medico, ma ciò non esclude che possa rilevare ad altri fini.
332 L‟espressione è di P. ZATTI, Il diritto a scegliere la propria salute,cit.. In questo senso, abbiamo visto, depongono la legislazione ordinaria in campo bioemedico, la giurisprudenza in materia di responsabilità medica e le fonti deontologiche.
traduce nel rifiuto o nella rinuncia a cure essenziali per il mantenimento (anche solo artificiale) delle funzioni biologiche (c.d. terapie di sostegno vitale)333.
Le questioni nascondono un problema costituzionalmente molto rilevate e „delicato‟ dal momento che in tali casi tra i diritti costituzionali coinvolti entra in gioco il diritto alla vita334.
Anche nell‟analisi di questo diritto il profilo che maggiormente ci interessa riguarda la tutela della pretesa a disporre negativamente o rinunciare alla vita335 o, in altre parole, l‟ammissibilità ed i limiti della potestà del titolare del diritto sul bene oggetto dello stesso.
Come vedremo, sulla qualificazione giuridica, sul contenuto e sui caratteri del diritto si contrappongono diverse interpretazioni336: una parte della dottrina