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La libertà di coscienza dell‟operatore sanitario di fronte alle pretese giuridiche di fine-vita

LE SCELTE DI FINE VITA IN ITALIA

LA LIBERTA‟ DI CURA NELLA COSTITUZIONE

6. La libertà di coscienza ed il valore del pluralismo come ulteriori argomenti a favore della disponibilità (da parte del titolare) dei diritti alla

6.3. La libertà di coscienza dell‟operatore sanitario di fronte alle pretese giuridiche di fine-vita

Gli operatori sanitari (nedici e paramedici) hanno un ruolo fondamentale nelle scelte di fine vita, tanto nella definizione della scelta terapeutica di fine vita - perché a loro spetta l‟analisi della condizione clinica del paziente e la prospettazione delle possibili alternative terapeutiche – quanto nell‟esecuzione della stessa - perché il rifiuto e ancor più la rinuncia ad un trattamento sanitario richiedono l‟assistenza del personale medico e infermieristico. Il rifiuto di una terapia generalmente rende necessaria la somministrazione di palliativi affinché il paziente non soffra; la sospensione di un trattamento in corso, talvolta, implica il distacco di un macchinario (il sondino naso gastrico per l‟alimentazione artificiale, la macchina per la dialisi, il respiratore meccanico etc).

In questa prospettiva, la libertà di coscienza come assenza di costrizioni può fondare la pretesa del personale sanitario a non essere obbligato a dare esecuzione a certe decisioni di fine vita, quando ciò comporta, ad esempio, l‟astensione da un intervento indispensabile per la salute del paziente (emotrasfusione o terapia rianimatoria) oppure la sospensione di una terapia in atto (ad esempio attraverso il distacco di un macchinario per la respirazione o l‟alimentazione artificiale) o ancora la somministrazione di analgesici in dose massiccia (che può accelerare il decesso del paziente).

E‟ facile comprendere che proprio perché le pretese giuridiche rivendicate dal paziente sono frutto di scelte estremamente personali, che promanano dalla particolare percezione che ognuno ha di sé e della propria condizione di salute (o meglio di malattia), esse possano sembrare innaturali o addirittura „sbagliate‟ agli

occhi di una persona con una diversa identità morale che, peraltro, è chiamata - per dovere professionale - ad operarsi per salvaguardare la salute.

Il singolo operatore sanitario (medico ed infermiere) può non comprendere o non condividere la decisione di rifiutare o rinunciare alle cure presa da una persona che, medicalmente sostenuta, potrebbe ancora rimanere in vita; perché potrebbe essere diverso il suo modo di concepire i valori della salute e della vita, ma soprattutto perchè diverso è il suo modo di guardare a quella particolare

condizione di salute e di vita.

Di fonte a questo conflitto di concezioni etiche e di percezioni soggettive pare necessario chiedersi che tutela possa ricevere l‟opzione di coscienza del personale medico e paramedico, ed in particolare se ed a quali condizioni si possa riconoscere un diritto all‟obiezione di coscienza.

Ai giorni nostri l‟ambito sanitario, e più in generale quello della bioetica, rappresenta il luogo in cui il problema dell‟obezione di coscienza si menifesta con più pressante attualità, sia a causa dei valori importantissimi che in essa vengono coinvolti, sia per il rapido evolvere delle conoscenze scientifiche nel campo biomedico e della genetica, sia (appunto) per la pluralità di approcci etici rispetto ai problemi ivi insorgenti.

Com‟è si sa, l‟obiezione di coscienza in campo sanitario è espressamente prevista dalla legge sull‟interruzione volontaria della gravidanza (art. 9, l. 22 maggio 1978, n. 194), dalla legge in materia di procreazione medicalmente assistita (art. 16, l. 19 febbraio 2004, n. 40)391.

Rispetto alle scelte di fine vita il diritto positivo non prevede alcunchè dal momento che manca una disciplina espressa in materia.

Al riguardo, occorre però precisare che l‟ordinamento deontologico riconosce una generale facoltà di astenersi dalle prestazioni che contrastino con i convincimenti interiori del singolo operatore. In tal senso, l‟art. 22 del Codice di deontologia medica del 2006, stabilisce che: “Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia

391 Concerne le problematiche bioetiche un‟ulteriore ipotesi di obiezione di coscienza quella disciplinata dalla legge 12 ottobre 1993, n. 413 in materia di sperimentazione sugli animali.

di grave ed immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento”392.

Si tratta perciò di capire se, alla luce di tale quadro costituzionale e normativo, possa considerarsi esistente un diritto all‟obiezione di coscienza del personale medico che si trovi a fronteggiare una scelta di fine vita, pur in assenza di una specifica previsione legislativa. Tale questione impone di risolvere preventivamente il problema del fondamento dell‟obiezione di coscienza rispetto al quale, come è noto, esistono almeno due tesi.

Un primo orientamento dottrinale distingue tra libertà di coscienza come diritto costituzionalmente garantito e obiezione di coscienza come mero valore costituzionale non immediatamente configurabile come posizione giuridica soggettiva senza l‟interpositio legislatoris. In quanto valore, rileva come criterio di interpretazione del diritto vigente e come direttiva data al legislatore ordinario.

In altre parole, spetta “al legislatore ordinario la possibilità, operando nel caso concreto una comparazione tra i valori che una data disciplina mira a realizzare con quelli di cui l‟obiezione di coscienza è espressione (libertà di coscienza, libertà religiosa, ecc.), di risolvere per sempre e una volta per tutte quel conflitto, attribuendo (o meno) al soggetto il diritto di far valere la propria obiezione di coscienza”393

.

Secondo un‟altra interpretazione, invece, l‟obiezione di coscienza è un diritto costituzionalmente riconosciuto e garantito, perciò legittimamente esercitabile e direttamente giustiziabile a prescindere da un‟espressa previsione legislativa394.

392 In termini ancora più espliciti il Codice di deontologia della professione infermieristica del 1999 (art. 2, comma 5) dispone che “Nel caso di conflitti determinati da profonde diversità etiche, l‟infermiere si impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. In presenza di volontà profondamente in contrasto con i principi etici della professione e con la coscienza personale, si avvale del diritto all‟obiezione di coscienza”. Cfr. Federazione nazionale Collegi Infermieri (IPASVI), Codice di deontologia della professione infermieristica, maggio 1999, in www.ipasvi.it

393

In questo senso si veda, tra gli altri, E. ROSSI, L‟obiezione di coscienza del giudice, in

Foro it., 1988, I, c. 764 ss; F. MODUGNO - R. D‟ALESSIO, Tutela costituzionale dei trattamenti sanitari e obiezione di coscienza, in Parl., 1986, p. 26 ss; A. BARBERA, Art. 2, in Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, cit., p. 50; A. ALBISETTI, La Corte Costituzionale e l‟obiezione di coscienza, cit., p. 158-161; S. LARICCIA - A. TARDIOLA, Obiezione di coscienza,

cit., p. 815 ss; A. PUGIOTTO, Obiezione di coscienza nel diritto costituzionale, cit., p. 240 ss, spec. p. 248-249; S. PRISCO, Stato democratico, pluralismo dei valori, obiezione di coscienza.

Sviluppi recenti di un antico dibattito, cit..

394 Secondo alcuni Autori l‟obiezione di coscienza è annoverabile tra i „nuovi diritti di libertà‟ dedotti dall‟evoluzione della coscienza sociale o più precisamente individuati dalla

Va precisato, tuttavia, che gli autori che sostengono questa seconda tesi non negano che il soggetto che rivendica ed esercita l‟obiezione contra legem si assume il rischio delle conseguenze negative del suo comportamento e comunque ritengono opportuno una disciplina legislativa attuativa che ne fissi specifiche modalità di esercizio395.

A nostro parere, il carattere derogatorio ed eccezionale dell‟istituto, che consente al singolo di contravvenire ad obblighi legalmente posti e quindi alle regole stabilite dalla comunità, rende necessaria una legge che espressamente lo preveda in casi tassativi e con determinate modalità di esercizio. Ammetterne una portata espansiva significherebbe legittimare una violazione potenzialmente costante della tavola dei valori su cui si fonda il patto costituzionale, in deroga all‟art. 54 Cost.396

Questa tesi trova conferma nella giurisprudenza della Corte costituzionale la quale delinea l‟obiezione come estrinsecazione della libertà di coscienza costituzionalmente protetta che passa attraverso un riconoscimento legislativo e/o della giurisprudenza costituzionale stessa (Cfr. in particolare sent. 117/1979, 467/1991, 43/1997). Un‟altra conferma proviene, altresì, dall‟art. 10 della Carta

dei diritti fondamentali dell‟Unione Europea che garantisce il diritto all‟obiezione

di coscienza “secondo le legislazioni nazionali che ne disciplinano l‟esercizio”, avvalorando indirettamente la configurazione dello stesso quale diritto legalmente determinato397.

Ciò non toglie che la libertà di rimanere fedele nell‟azione alla propria legge morale sia un principio che informa l‟ordinamento costituzionale e che quindi lo

Costituzione materiale attraverso l‟interpretazione dell‟art. 2 Cost., si veda in questo senso P. BARILE, Diritti dell‟uomo e libertà fondamentali, cit., p. 54 ss, A. BALDASSARRE, Diritti

inviolabili, cit., p. 20 ss; per altri Autori il diritto all‟obiezione è semplicemente un contenuto

concreto della libertà di coscienza in base al quale il singolo può rivendicare nei confronti dei poteri dello Stato la pretesa a non essere costretto ad agire contro i propri convincimenti, in termini v. G. DALLA TORRE, Obiezione di coscienza e valori costituzionali, in A.A.V.V., L‟obiezione di

coscienza tra tutela della libertà e disgregazione dello Stato democratico, cit., p. 38.

395

Cfr. G. DALLA TORRE, Obiezione di coscienza e valori costituzionali, in A.A.V.V.,

L‟obiezione di coscienza tra tutela della libertà e disgregazione dello Stato democratico, cit., p.

40-41; A. BALDASSARRE, Diritti inviolabili, cit., p. 37-38.

396 Rischi da cui aveva già messo in guardia, in modo provocatorio ma realistico, G. CAPOGRASSI, Obbedienza e coscienza, in Foro it., 1950, II, c. 50 citato, adesivamente, da G. CAPUTO, L‟obiezione di coscienza: un‟erma bifronte fra tolleranza e fondamentalismo, cit., p. 11 ss.

397 Diversamente l‟art. 9 CEDU non contiene alcun riferimento al diritto all‟obiezione di coscienza e la giurisprudenza di Strasburgo ha ritenuto che non è ricavabile neppure in via interpretativa (cfr. Commissione EDU, Grandrath, parere in Ann. 10, p. 675 ss).

Stato deve soddisfare nei più ampi limiti compatibili con i fini supremi che esso fa suoi.

Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che nella materia de qua si dovrebbe garantire la piena attuazione della libertà di cura del paziente, rispettando altresì la libertà di coscienza del personale sanitario, contemperando in concreto le opposte opzioni valoriali.

A tal fine sarebbe senz‟altro opportuno che il legislatore prevedesse il diritto all‟obiezione di coscienza del personale medico a fronte delle prestazioni sanitarie necessarie per dar seguito alle scelte di fine vita di rifiuto o rinuncia alle terapie (anche vitali).

De iure condito, in assenza di previsione legislativa i medici (e gli

infermieri) potrebbero pretendere che la loro libertà di coscienza sia rispettata dalla struttura sanitaria presso cui operano tramite apposite decisioni organizzative.

Riservandoci di ritornare diffusamente sul punto, merita anticipare che il personale sanitario potrebbe rivendicare il rispetto delle proprie opzioni di coscienza in fase di distribuzione degli incarichi e di regolazione dei turni del personale, in modo tale che in quella sede la struttura sanitaria preveda dei meccanismi di sostituzione e di lavoro sostitutivo.

Tuttavia, in caso di impossibilità di soddisfare tale richiesta (ad esempio presenza di soli “obiettori”), si ritiene che la struttura sanitaria non potrebbe che garantire la doverosità delle prestazioni richieste dal paziente.

7. Conclusioni

Alla luce dell‟analisi dell‟ordinamento italiano vigente, occorre rispondere al quesito posto all‟inizio del capitolo, circa la copertura costituzionale delle posizioni giuridiche esercitate (rectius: rivendicate) nelle scelte di fine vita dal soggetto capace di determinarsi398 ed il loro grado di effettività, distinguendo tra la pretesa al rifiuto (e rinuncia) alle terapie salvavita e la pretesa al suicidio assistito399.

Come abbiamo osservato, l‟art. 32 della Costituzione pone al centro del concetto costituzionale di salute l‟essere umano nella sua individualità e mette in evidenza la strumentalità del bene salute rispetto alla tutela della persona complessivamente intesa.

In tale prospettiva, il principio del consenso informato non solo pone la necessità di rispettare la volontà del paziente come requisito legittimante l‟invasione della sua sfera corporea, ma indica innanzi tutto la considerazione che l‟ordinamento riserva all‟idea di benessere che l‟individuo concepisce per sé.

Il diritto alla salute, dunque, comprende la libertà di cura, espressione della libertà personale in campo sanitario400, in forza della quale a ciascun individuo spetta il diritto di essere adeguatamente informato sul proprio stato di salute e sul possibile o prevedibile decorso della propria patologia, il diritto di scegliere tra le eventuali alternative terapeutiche, il diritto di rifiutare qualsiasi cura o rinunciare alla terapia cui aveva precedentemente acconsentito ed il diritto di ottenere nella fase terminale della malattia le necessarie cure palliative.

Tale libertà può trovare un limite solo quando è in gioco la salute di soggetti terzi e, perciò, una legge impone uno specifico obbligo di cura (tramite la previsione di un trattamento sanitario obbligatorio) strettamente necessario per la salvaguardia della salute collettiva e di quella dell‟interessato, nel rispetto delle

398 Si ricorda nuovamente che la posizione del soggetto incapace sarà affrontata nel prossimo capitolo.

399 Come già osservato nel capitolo I il diritto del paziente terminale ad ottenere le cure palliative necessarie per diminuire le sofferenze legate al decorso della malattia, che possono accelerando il decorso della patologia, anticipare il decesso, è pienamente riconosciuto e giustiziabile come dimostra da ultimo la legge recentemente varata dal Parlamento n. 38 del 15 marzo 2010, (in G.U. n. 65 del 19 marzo 2010) recante “Disposizioni per garantire l‟accesso alle

cure palliative e alla terapia del dolore”.

400 Che come abbiamo visto contiene in sé un legame stretto con i valori della libertà e personalità individuali, tanto che gli artt. 2 e 13 Cost. entrano in gioco quali supporti sistematico- interpretativi.

dignità della singola persona che deve prevalere anche di fronte ad esigenze collettive ed a interventi che astrattamente potrebbero sembrare necessari e proporzionati.

Il diritto alla vita, pur nella sua centralità, non è configurato come assolutamente indisponibile né da parte di terzi (ci sono casi in cui si giustifica l‟uccisione di una persona da parte di terzi) né da parte del suo titolare, come dimostra (oltre alla liceità del suicidio) il fatto che la giurisprudenza (italiana ed europea) è orientata a riconoscere piena vigenza al diritto al rifiuto delle cure anche quando possa derivarne la morte.

A tutto ciò si aggiunga, che l‟ampio rilievo attribuito alla libertà di coscienza individuale mostra l‟apertura del nostro ordinamento verso un principio di autodeterminazione intorno alla propria persona, principio di rilievo costituzionale che entra nel bilanciamento con gli altri interessi o diritti fondamentali coinvolti dalle scelte di fine vita.

Se questo è il quadro che abbiamo ricavato dall‟analisi, la questione della copertura costituzionale di tali posizioni soggettive si risolve attraverso il bilanciamento tra la libertà di cura, il diritto alla vita e la libertà di coscienza.

Vedremo di seguito come tale operazione permetta di considerare costituzionalmente garantito il diritto di rifiutare le cure anche salva-vita (o di sostegno vitale) e di rinunciare a trattamenti sanitari in corso (§ 7.1), ma esclude che possa darsi copertura costituzionale alla pretesa al suicidio medicalmente assistito (§ 7.2).

7.1. Il diritto al rifiuto o alla rinuncia alle cure (anche se può derivarne

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