3. Considerazioni critiche: oltre la polivalente nozione di eutanasia verso un “approccio per contesti”.
3.2. Il diritto di non soffrire
Proseguendo nell‟analisi si osserva che anche la nozione di eutanasia indiretta, oltre che inutile, è giuridicamente sbagliata. Come anticipato, il ricorso alle cure palliative, cioè dirette ad alleviare il dolore del malato terminale38, anche se l‟effetto del sedativo può accelerare il processo patologico, non solo è considerato pienamente lecito39, ma rientra tra i doveri del personale sanitario.
A livello internazionale il dibattito sul tema dell‟alleviamento del dolore nei malati terminali è vivo da molti anni40. Molti ordinamenti appartenenti alla tradizione giuridica occidentale inseriscono le cure palliative41 tra i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie garantite dal sistema sanitario nazionale42.
37 Solo per citare alcuni obiezioni di fondo generalmente mosse al riconoscimento dell‟eutanasia attiva: il rischio che siano pregiudicati i soggetti deboli, quale sono le persone malate, tanto più se anziane o incapaci, il rischio che sia snaturato il ruolo del personale medico chiamato non più a curare, ma “a dare la morte”, il rischio che la liceità del suicidio assistito produca uno svilimento, anche solo simbolico, del valore, sociale e giuridico, della vita.
38 Per la definizione di malato terminale si veda P. CENDON, La nozione di malato
terminale, in ID., Prima della morte. I diritti civili dei malati terminali, in Pol. dir., 2002, p. 379-
380, secondo il quale “ (…) l‟espressione in esame vale a designare il soggetto inguaribile: quello con ridotta aspettativa di vita, bisognoso di assistenza continuativa, nei cui confronti appare vano ormai il ricorso a terapie di tipo eziologico, restando possibile soltanto la messa in opera di trattamenti sintomatici o di natura palliativa (…) Tratti caratterizzanti rimangono, in ogni caso, la ridotta aspettativa di vita e l‟impossibilità stabilizzata di guarigione”.
39 Si vedano gli autori citati alla nota n. 13.
40 Di ciò costituiscono una prova il rapporto dello Hastings Center, Gli scopi della
medicina: nuove priorità, pubblicato in versione italiana a cura di M. Mori, in Politeia, 1997, n. 45
che ha coinvolto tredici paesi con la collaborazione dell‟Organizzazione mondiale della Sanità; il Rapporto del Consiglio d‟Europa, Protezione dei diritti umani e della dignità del malato terminale
e del morente, pubblicato il 21 maggio 1999, che si conclude con la raccomandazione di procedere
sul terreno legislativo: a) al riconoscimento di un effettivo diritto alle cure palliative dei soggetti in fin di vita; b) alla protezione del diritto di autodeterminazione del morente; c) al rafforzamento delle norme che vietano la volontaria soppressione dei malati terminali.
41 L‟espressione si riferisce “all‟insieme degli interventi finalizzati all‟eliminazione dei dolori e dei sintomi che vi si accompagnano nel caso di malati in genere senza speranza di guarigione. Si parla di medicina palliativa in quanto non è rivolta direttamente alla cura della
Il nostro paese, rimasto per lungo tempo in una posizione fortemente arretrata, negli ultimi anni si è mostrato più aperto ad una significativa rivalutazione tecnico-scientifica e giuridica del „diritto di non soffrire‟, definito quale aspirazione/pretesa a trattamenti di sollievo del dolore finalizzati al mantenimento di livelli accettabili di qualità della vita, anche durante la fase finale di una malattia43.
Di tale mutato atteggiamento sono prova oltre alla maggiore attenzione del dibattito bioetico sul tema44, l‟inserimento della „lotta contro il dolore‟ fra le priorità del Servizio sanitario nazionale45 nonché l‟approvazione della legge 8
malattia, ma ad alleviare le condizioni di sofferenza del morente. (…) Il tipo di intervento proprio della medicina palliativa non è solo quello di un‟attenzione per il dolore e una conseguente azione attiva con gli antalgici per eliminarlo o alleviarlo, ma anche una considerazione della situazione complessiva del malato con tutte le sue esigenze psicologiche e problemi di relazione. (…) ”. Così E. LECALDANO, Palliative, cure, in ID., Dizionario di bioetica, Bari, Laterza, 2002, p. 211. La diffusione del ricorso alle cure palliative per le malattie terminali e incurabili è stato favorito dall‟hospice movement nato in Gran Bretagna per opera della Dott.ssa Cecily Saunders e, in particolare, per la fondazione di una struttura in cui accogliere i malati terminali.
42
Ad esempio le discipline vigenti in Spagna e in Francia sulle quali torneremo nel prossimo capitolo. Al riguardo si vedano anche le famose sentenze della Corte Suprema degli Stati Uniti D‟America, Vacco c. Quill e Stato Washington c. Glucksberg, 26.06.1997, in Foro it., 1998, IV, c. 76 con nota di G. PONZANELLI, La Corte Suprema esclude la garanzia costituzionale del
“right to assisted suicide”, nelle quali la Corte Suprema, dopo aver marcato, con grande chiarezza,
la distinzione tra rifiuto o sospensione delle cure, pretesa legittima e costituzionalmente fondata sul diritto all‟integrità del proprio corpo e a non subire interventi invasivi non desiderati, e assistenza al suicidio - pretesa che “is not a fundamental liberty interest protected by due process
clause”- , proclama solennemente che “ogni amministrazione statale dovrà garantire che non risulti
intralciata, nelle realtà ospedaliere, l‟applicazione di misure mediche o farmacologiche volte lenire la sofferenza, seppur atte a provocare uno stato di incoscienza o suscettibili di accelerare la fine”. In questo modo, esclude espressamente che la terminal sedation – ossia la pratica che è diretta ad indurre e mantenere artificialmente lo stato di incoscienza, quale estremo rimedio alla sofferenza del paziente – possa considerarsi una forma di assistenza al suicidio.
43 Cfr. P. CENDON, Il diritto di non soffrire, in ID., Prima della morte. I diritti civili dei
malati terminali, in Pol. dir., 2002, p. 390 ss.
44
In argomento si veda il parere del COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, La
medicina palliativa nel processo del morire, in Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana, 14 luglio 1995, p. 43-40 e il documento dello stesso Comitato La terapia del dolore: orientamenti bioetici, 30 marzo 2001, entrambi in www.governo.it/bioetica/pareri/html, ove si
legge “Questo documento intende riaffermare che la lotta al dolore, inteso come malattia del corpo e della mente, rientra nei compiti primari della medicina e della società” (p. 3) e “Quando le prospettive di guarigione sono escluse e la vita del malato si approssima alla fine, l‟obbiettivo principale della medicina diventa l‟assistenza globale al paziente, nel cui ambito è prioritaria la terapia del dolore” (p. 8).
45 Si consideri al riguardo a partire dal Piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000 che si propone come un “patto di solidarietà per la salute” ed individua tra gli obbiettivi da privilegiare un‟assistenza alle persone nella fase terminale della vita, ed in particolare alle persone affette da patologie evolutive irreversibili, "finalizzata al controllo del dolore, alla prevenzione ed alla cura delle infezioni, al trattamento fisioterapico ed al supporto psicosociale” attraverso “l‟erogazione di assistenza farmaceutica a domicilio tramite le farmacie ospedaliere ed il potenziamento degli interventi di terapia palliativa ed antalgica”. In attuazione di quanto previsto nel piano sanitario per gli anni 1998-2000, è stato adottato il decreto legge 28 dicembre 1998, n.
febbraio 2001, n. 12, Norme per agevolare l‟impiego dei farmaci analgesici
oppiacei nella terapia del dolore, diretta ad agevolare l‟uso e la diffusione dei
farmaci oppiacei con l‟abolizione dei vincoli che erano previsti dal vigente Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope (D.p.r 9 ottobre 1990, n. 309).
Inoltre, il codice di deontologia medica del 16 dicembre 2006 inscrive la cura del dolore fra i doveri primari dell‟attività medica46
ed, in termini ancora più espliciti, l‟art. 39 prevede che “In caso di malattie a prognosi sicuramente infausta o pervenute alla fase terminale, il medico deve improntare la sua opera ad atti e comportamenti idonei a risparmiare inutili sofferenze psico-fisiche e fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità di vita e dignità della persona. (…)” 47
.
Nella medesima direzione, da ultimo, si muove la legge 15 marzo 2010, n. 38 recante Disposizioni per garantire l‟accesso alle cure palliative e la terapia
del dolore, che prevede l‟istituzione di una rete nazionale per le cure palliative.
Quanto considerato indica che allo stato attuale del dibattito medico- scientifico e giuridico è ormai scorretto e fuorviante continuare a parlare di eutanasia indiretta, mentre occorre valorizzare il diritto di non soffrire, quale pretesa che trova fondamento nei principi costituzionali di cui agli artt. 2 e 3
450 convertito con modificazioni con la legge 26 febbraio 1999, n. 39 che prevede la realizzazione in ogni regione “di una o più strutture dedicata all‟assistenza palliativa e di supporto prioritariamente per i pazienti affetti da patologia neoplastica terminale e che necessitano di cure finalizzate ad assicurare una migliore qualità della loro vita e di quella dei loro familiari” e regolamenta altresì l‟erogazione di finanziamenti per l‟assistenza domiciliare integrata. Da ultimo, il Documento preliminare informativo sui contenuti del nuovo piano sanitario nazionale 2010-
2012, del 29 aprile 2010 (consultabile al sito www.ministerosalute.it) individua tra le priorità
relative alle fasi ultime della vita l‟attuazione della l. 15 marzo 2010, n. 38 Disposizioni per
garantire l‟accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore.
46 In questo senso, l‟art. 3 recita “Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell‟Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona senza distinzioni di età, di sesso, di etnia, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia (…). La salute è intesa nell‟accezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona.”
47 In termini analoghi si veda il Codice deontologico dell‟infermiere approvato dal Comitato centrale della Federazione nazionale collegi infermieri professionali, assistenti sanitari,
vigilatrici d‟infanzia, con deliberazione n.1/09 del 10 gennaio 2009 e dal Consiglio nazionale dei
Collegi Ipasvi riunito a Roma nella seduta del 17 gennaio 2009, nel quale è previsto all‟art. 6 che “L'infermiere riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione”; all‟art. 34 che “L'infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l‟assistito riceva tutti i trattamenti necessari” e all‟art. 35 che “L'infermiere presta assistenza qualunque sia la condizione clinica e fino al termine della vita all‟assistito, riconoscendo l'importanza della palliazione e del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale”.
Cost., che proclamano la tutela dei diritti inviolabili e la promozione della dignità della persona e, soprattutto, nell‟art. 32, 1 co., Cost., a norma del quale la Repubblica (rectius: il servizio sanitario nazionale) è tenuto a fornire i trattamenti sanitari necessari al benessere psico-fisico dell‟individuo in ogni fase della vita48.
3.3. Le questioni giuridiche relative alle scelte di fine-vita in caso di