• Non ci sono risultati.

I principi elaborati dalla giurisprudenza

LA LIBERTA‟DI CURA NELLO SPAZIO GIURIDICO EUROPEO Un‟indagine comparata

6. Il Regno Unito

6.2. I principi elaborati dalla giurisprudenza

Fino al 2005, anno di adozione del Mental Capacity Act, l‟Inghilterra non ha avuto una normativa specifica sul fine vita: l‟eutanasia attiva e il suicidio assistito ricadevono (e tutt‟ora ricadono) nell‟ambito di applicazione del Suicide Act del 1961 che, pur depenalizzando il tentato suicidio, all‟art. 2(1) sanziona l‟aiuto al suicidio174. Il diritto alle cure palliative ed il diritto al rifiuto delle cure, tanto del soggetto capace che di quello incapace, sono stati riconosciuti in via giudiziale.

La liceità penale della c.d. terapia del dolore anche laddove comporti, come risultato secondario dell‟effetto lenitivo perseguito, un‟abbreviazione della vita del paziente è stata affermata a partire dalla sentenza sul caso del Adams 175 e approfondita nel caso Nedrick, nel quale la giurisprudenza ha formulato alcuni criteri attinenti le modalità di accertamento dell‟elemento intenzionale nei casi di

double effect176. Il confine tra il lecito e l‟illecito è stato fissato nella presenza del diretto intento di uccidere il paziente poiché la fattispecie di murder nel panorama britannico, ruota intorno all‟elemento dell‟intention: la somministrazione di

173 Fra questi in particolare si può ricordare il Nuffield Council on Bioethics che nel 2006 ha elaborato un parere (“Critical care decisions in foetal and neonatal medicine: ethical issues”) sulle questioni etiche poste dalla medicina neonatale, l‟Human Fertilization and Embryology Authority,

l‟Advisory Committee on Genetic Testing, l‟Human Genetics Advisory Commission. Per una

descrizione dell‟attività di questi comitati e del loro apporto al dibattito bioetico in Inghilterra si veda, ancora, I. KENNEDY, Making policy in bioethics in the UK, cit., p. 56-57; R. GETZ,

Biolegal Develompments in the UK, in Dir. pubbl. comp. eu, 2007, p. 1723.

174 La sezione 2(1) del Suicide Act, prevede che “A person who aids, abets, counsels or

procures the suicide of another, or an attempt by an another to commit suicide, shall be liable on conviction on indictment to imprisonment for a term not exceeding fourteen years”.

175 Un medico imputato di omicidio per avere somministrato ad un paziente di ottantaquattro anni un‟ingente quantità di narcotici che ne avevano accelerato la morte. Cfr. R. v.

Adams (1957) in Criminal Law Rewiew, 1957, p. 365 ss.

176 Sul punto si veda D. TASSINARI, Profili penalistici dell‟eutanasia negli ordinamenti

anglo-americani, cit., p. 107-108. La sentenza è riportata in H. BIGGS, Euthanasia, Death with dignity and the law, Oxford, 2001, p. 57.

analgesici con il fine precipuo di alleviare una situazione di dolore intollerabile esclude la responsabilità penale (criminal liability) del medico177.

Anche il percorso che ha portato al riconoscimento, e poi alla codificazione, del diritto al rifiuto dei trattamenti medici ha avuto inizio con due importanti sentenze, la sentenza sul caso Re T (1992) della Court of Appeal di Londra e la sentenza sul caso Bland (1993) della House of Lords.

La prima sentenza riguardava il rifiuto di una terapia emotrasfusionale da parte di una giovane testimone di Geova. Il padre ed il fratello della donna – che non ne condividevano le opinioni religiose – avanzarono un‟istanza giudiziale per ottenere un‟autorizzazione che consentisse al personale medico una prosecuzione “forzosa” della terapia. La richiesta, accolta in primo grado, fu respinta in appello con un‟ampia motivazione nella quale si legge che “ogni paziente adulto, mentalmente e fisicamente capace di determinarsi, ha il diritto di scegliere se acconsentire ad un trattamento medico, rifiutarlo o scegliere un altro dei trattamenti possibili. Tale diritto di scelta non è limitato dalle decisioni che altri possono ritenere migliori ed è garantito indipendentemente dal fatto che la ragione che giustifica la scelta sia ragionevole, irragionevole o persino non sia conoscibile. Sottoporre un paziente ad una terapia senza il suo consenso, o nonostante il suo dissenso, costituisce una grave danno alla persona e potrebbe integrare una forma di reato” 178.

Nella medesima sentenza i giudici hanno anche riconosciuto l‟ammissibilità di dichiarazioni anticipate con cui un paziente esprime le proprie volontà in ordine al rifiuto di trattamenti sanitari per il caso di futura perdita della coscienza, individuandone alcune condizioni di validità: a) la capacità del paziente nel momento in cui le ha redatte e la consapevolezza delle conseguenze di un eventuale rifiuto di cure; b) l‟esatta previsione da parte del dichiarante della

177 Sul tema v. anche R. TALLARITA, L‟eutanasia nel Regno Unito, in S. SEMPLICI (a cura di) , Il diritto di morire bene, cit., p. 148.

178 L‟opinione di Lord Donaldson continua nei seguenti termini “The law requires that an

adult patient who is mentally and phisically capable of exercising a choice must consent if medical treatment of him is to lawful, although the consent need not in writing and many sometimes be inferred from patient‟s conduct in context of sourranding circumnstances. Treting him without his consent or despite a refusal of consent will constitute a civil wrong of trespass to the person and may constitute a crime”, Re T (Adult Refusal of medical treatment), in Weekly Law Report, 1992,

p. 782, il brano citato è risportato anche in D. TASSINARI, Profili penalistici dell‟eutanasia negli

ordinamenti anglo-sassoni, cit., p. 111. In termini si veda anche la pronuncia sul caso Re MB(Medical treatment) [1997] FLR, 426.

situazione in cui verrà a trovarsi nel momento in cui perderà la coscienza; c) l‟assenza di alcuna influenza da parte di soggetti terzi nel momento della redazione.

L‟orientamento affermato nel caso Re T è stato confermato, più di recente, con la sentenza sul caso Ms B, nel quale una donna tetraplegica aveva agito in giudizio per veder riconosciuto il suo diritto ad ottenere l‟interruzione di un trattamento di sostegno vitale (nella specie, di ventilazione artificiale) da lei esplicitamente rifiutato, ma che continuava a venirle praticato dai medici contro la sua volontà179. La Hight Court of Justice of London, dopo aver accertato la lucidità e la piena capacità decisionale di Ms B, ha stabilito che la sua decisione di interrompere il trattamento sanitario doveva essere rispettata – sul presupposto che “anche un paziente gravemente handicappato ha lo stesso diritto di una persona umana che sia rispettata la sua autonomia” – e ha condannato l‟ospedale (in particolare il procuratore legale dell‟ospedale, NHS Hospital Trust) al risarcimento del danno causato alla paziente durante il tempo in cui la sua richiesta era rimasta inascoltata. La pronuncia si conclude con l‟individuazione puntuale di alcune regole di comportamento che il personale medico dovrà seguire, di lì innanzi, nell‟affrontare casi simili le quali, come vedremo, sono state quasi completamente recepite nella normativa intervenuta di recente in materia.

Con la famosa sentenza sul caso Tony Bland, invece, la House of Lords ha affrontato e risolto, per la prima volta, la delicata questione del rifiuto o della sospensione di trattamenti medici in caso di soggetto incapace180.

La questione su cui la Corte era stata chiamata a pronunciarsi riguardava la possibilità di considerare lecita la sospensione dei trattamenti medici di sostegno vitale (alimentazione ed idratazione artificiale, farmaci antibiotici) nel caso di un

179 High Court of Justice of London, Family Division, 22 marzo 2002, Caso Ms B v. An

NHS Hospital Trust, reperibile al sito www.courtservice.gov.uk.

180 Antony Bland, un giovane tifoso rimasto ferito negli scontri avvenuti durante una partita di calcio, era in stato vegetativo permanente da più di tre anni e nell‟opinione unanime del personale medico la sua condizione non lasciava alcuna speranza di miglioramento né tantomeno di recupero delle funzioni percettive. A fronte di tale situazione, la direzione dell‟ospedale dove il ragazzo era ricoverato, con l‟appoggio dei genitori e della famiglia, rivolsero un‟istanza giudiziaria al fine di ottenere una pronuncia che sancisse la liceità dell‟interruzione dei trattamenti che lo tenevano in vita. L‟istanza dopo essere stata accolta per due gradi di giudizio, approdò alla House

of Lords che, con decisione unanime, rigettò l‟appello così confermando il decisum dei giuridici di

merito. Cfr la sentenza della House of Lords, 14, 15, 16 Dicembre 1992- 4 febberaio 1993, Caso

Airendale Nhs Trust v. Bland, in Bioetica, 1997, p. 302 ss con commento di J. KEOWN, Uscire dalla “via mediana”: la depenalizzazione giudiziaria dell‟eutanasia passiva non volontaria, p.

paziente in stato di incoscienza, senza speranza di recupero, che non aveva mai dato indicazioni circa i suoi desideri per il caso si fosse trovato in una simile situazione.

In primo luogo, la Corte ha affermato come pacifico il diritto di autodeterminazione del paziente intorno alla propria salute ed ha ribadito l‟ammissibilità delle direttive anticipate di trattamento, la liceità della somministrazione della terapia palliativa che può avere come effetto secondario, non direttamente voluto, l‟abbreviazione della vita del paziente e l‟illegalità dell‟eutanasia attiva181

.

Passando ad esaminare il caso specifico, i giudici hanno seguito un percorso argomentativo molto chiaro: il fine primario ed irrinunciabile della medicina è quello di preservare o ripristinare la salute delle persone ed esiste un preciso obbligo del personale sanitario di fare tutto il possibile in tal senso. Tuttavia, nel caso di un paziente senza speranza di recupero la prosecuzione di un trattamento medico non è più doverosa, anche se si è consapevoli che a seguito della sospensione il paziente morirà, “purché la valutazione responsabile e competente del medico sia nel senso che sarebbe nel migliore interesse del paziente non prolungare la vita tramite la prosecuzione di tale forma di trattamento medico, poiché detta prosecuzione sarebbe inutile e non gli recherebbe alcun beneficio”. In altre parole, qualora, a giudizio dei medici, le terapie abbiano come unico effetto il prolungamento artificiale della vita del paziente, senza portare alcun miglioramento del suo stato di salute, non è più nel suo miglior interesse che esse siano continuate.

In questo caso la sospensione del trattamento “non costituisce reato poiché, se il prolungamento di una misura di sostegno vitale di tipo invasivo non è nel miglior interesse del paziente, il medico non ha più l‟obbligo di mantenere in vita il paziente” e la morte viene considerata dal punto di vista giuridico come “dipendente in via esclusiva dalle lesioni o dalla malattia alle quali la sua condizione è attribuibile” 182

.

181 In questo senso si sostiene che “se un paziente adulto nel possesso delle sue facoltà mentali rifiuta, anche se in modo irragionevole, di consentire al trattamento o alla cura per mezzo dei quali la sua vita potrebbe essere prolungata, i medici che lo hanno in cura devono dar seguito al suo desiderio, anche se pensano che farlo non sia nel suo migliore interesse”. Cfr. House of Lords, 14, 15, 16, dicembre 1992- 4 febbario 1993, Parere di Lord Goff of Chieveley.

182

E‟ interessante notare come in questa sentenza della House of Lords il punto centrale per la soluzione della questione, non sia l‟autodeterminazione del paziente da provare e proteggere, ma la valutazione del suo best interest, criterio ampio e flessibile la cui definizione deve essere lasciata ai medici ed al loro prudente e competente giudizio.

La House of Lords, sempre nel suo ruolo di Suprema Corte d‟Appello, è tornata ad occuparsi delle questioni bioetiche di fine vita nel caso Pretty (2001) nel quale è stata chiamata a decidere se una persona, in condizioni di malattia terminale ed affetta da una paralisi che le impedisce di uccidersi da sola, possa legittimamente essere aiutata a suicidarsi da un terzo183.

Come abbiamo visto (supra § 2.2), la decisione era stata sollecitata dalla richiesta di una donna inglese, Mrs Diane Pretty – colpita da una malattia neurodegenerativa che porta progressivamente alla paralisi di tutti i muscoli del corpo fino alla morte per soffocamento – che chiedeva l‟impunità per suo marito nel caso in cui egli l‟avesse aiutata a suicidarsi184

.

In particolare la ricorrente aveva chiesto alla Corte di dichiarare che il

Director of PubblicPersecution (DDP) avrebbe potuto legittimamente impegnarsi

a non perseguire suo marito per aiuto al suicidio, sanzionato dall‟art. 2(1) del

Suicide Act, o , in alternativa, di sancire l‟incompatibilità di tale disposizione con

gli articoli 2,3,8,9 e 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti

dell‟uomo e delle libertà fondamentali185

.

183 Cfr. House of Lord, 29 novembre 2001, Caso The Queen on the application of Mrs

Diane Pretty (Appellant) v. Director pf Pubblic Prosecutions (Respondent) and Secretary State for the Home department (Interested Part),in www.publications.parlaiment.uk/pa/Id2002/ldjudgmt/

jd011129/pretty-l.hmt. Sul caso Pretty si veda P. CENDON, L‟eutanasia, in Pol. dir., 2002, p. 488 ss; C. TRIPODINA, Primavera 2002: la “questione eutanasia” preme sull‟Europa, in Dir. pubb.

comp eu., 2003, p. 361-366; ID., Il diritto nell‟età della tecnica. Il caso dell‟eutanasia, cit., pp.

295-306; C. CASONATO, Introduzione al biodiritto, cit., pp. 143, 248-253. 184

Nel momento in cui presenta l‟istanza, la donna si trovava in uno stato molto avanzato della malattia: era completamente paralizzata, tanto che non poteva suicidarsi da sola, e le sue aspettative di vita erano misurabili in termini di settimane o mesi. Nonostante ciò le sue facoltà mentali e la sua capacità decisionale erano inalterate ed era ferma la sua volontà di suicidarsi per evitare la condizione di sofferenza acuta alla quale la fase finale della malattia la costringeva. Non potendo suicidarsi da sola, la donna aveva bisogno dell‟aiuto di un terzo che però sarebbe incorso in una severa sanzione, giacché l‟art. 2 (1) del Suicide Act del 1961 punisce l‟aiuto al suicidio con l‟arresto fino a 14 anni. Per evitare tali conseguenze penali a suo marito, Mrs Pretty aveva chiesto al Director of PubblicPersecution (DDP) di impegnarsi a non perseguirlo se egli l‟avesse aiutata a morire. Il DDP aveva rifiutato la sua richiesta e la decisione era stata confermata dalla Corte Divisionale a cui la donna si era appellata. Cfr. la sentenza della House of Lord

185 Che rispettivamente tutelano il diritto alla vita (art. 2), il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti (art. 3), il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare,

La House of Lords, con una pronuncia molto prudente, ha verificato punto per punto la compatibilità degli articoli della CEDU richiamati dall‟appellante con la sezione 2(1) del Suicide Act e ha deciso che sotto nessuno dei profili per i quali era stata sollevata la questione vi era incompatibilità fra i due testi 186.

In particolare, ci preme evidenziare gli argomenti utilizzati dalla Corte con riferimento agli art. 2 e 8 della CEDU, perché costituiscono le obiezioni che più frequentemente vengono mosse contro il possibile riconoscimento del diritto al suicidio medicalmente assistito (e per questo ritorneranno nel corso del lavoro).

Con riferimento all‟art. 2 CEDU, ha sostenuto che il suicidio e il suicidio assistito “non sono azioni che possono trovare fondamento in un articolo scritto per tutelare la sacralità della vita”, ritenendo incompatibile la possibilità di far derivare dalla stessa norma l‟affermazione che il diritto alla vita è sacro ed è dovere dello Stato tutelarlo in ogni modo e l‟affermazione che lo Stato ha il dovere di riconoscere anche il diritto ad essere assistiti nel suicidio.

In relazione all‟art. 8 CEDU, la House of Lord ritiene che la sanzione dell‟aiuto al suicidio non si può considerare come una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata, dal momento che la determinazione di farsi aiutare a morire ha come conseguenza un atto che esorbita dalla sfera privata del singolo interessato, coinvolgendo l‟interesse pubblico alla tutela della vita187

. Sulla base di questo assunto, a giudizio della Corte, viene meno la necessità di verificare la necessarietà e la proporzionalità dell‟interferenza statale nel diritto di autodeterminazione individuale: non essendo coinvolta questa sfera, rientra nel pieno diritto degli Stati “ adottare misure per proteggere, contro comportamenti

del proprio domicilio e della propria corrispondenza (art. 8) la libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 9), il divieto di discriminazione per morivi di sesso, razza, colore, lingua, religione, opinioni politiche o di altro genere, origine nazionale o sociale, appartenenza ad una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione (art. 14).

186

Come è noto, Mrs Diane Pretty esperite tutte le possibili vie di ricorso in Gran Bretagna, si rivolse alla Corte Europea dei diritti dell‟uomo che ha reso la sua decisione il 29 aprile 2002 riprendendo nella sostanza le argomentazioni addotte dalla House of Lords nella sentenza citata. Le due Corti discordano solo sulla possibile violazione dell‟art. 8 e conseguentemente dell‟art. 14, della Convenzione, anche se poi è analogo il giudizio finale di non incompatibilità. Sulla sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Pretty, si veda retro, § 2.2.

187 Sotto questo profilo il giudizio della House of Lord si distingue nettamente dall‟opinione espressa dalla Corte Europea dei diritti dell‟uomo sul medesimo caso la quale, come osservato

supra, ha riconosciuto che sotto la tutela del diritto al rispetto della propria vita privata rientra

anche il diritto a scegliere come e quando morire e che, dunque, impedire ad una persona di scegliere il modo e il tempo della propria morte costituisce interferenza nella sfera di autodeterminazione individuale. Per la sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Pretty si rinvia al § 2.2.

criminali, la vita dei cittadini, e in particolare di quelli più vulnerabili a causa della loro età e del loro stato di salute”188

.

Con tali argomenti la giurisprudenza inglese ha confermato la chiusura dell‟ordinamento inglese rispetto al suicidio medicalmente assistito.

6.3. La libertà di cura, con particolare riferimento al soggetto incapace:

Outline

Documenti correlati