3. Considerazioni critiche: oltre la polivalente nozione di eutanasia verso un “approccio per contesti”.
3.3. Le questioni giuridiche relative alle scelte di fine-vita in caso di soggetti privi di capacità decisionale
Nella riflessione sulle questioni bioetiche di fine-vita è profonda la differenza che corre fra l‟ipotesi relativa al soggetto capace di autodeterminarsi che rifiuti le cure o chieda un suicidio medicalmente assistito e la questione relativa alla decisione terapeutica che deve essere presa rispetto a un paziente „incompetente‟49
.
Nel primo caso, si tratta di riflettere sulle pretese giuridiche che riguardano la fase finale dell‟esistenza (che ci sembra di poter ricostruire) come rivendicazioni della libertà dell‟individuo di decidere della propria vita fino al suo momento ultimo, alla luce del suo personale patrimonio di aspirazioni e di convinzioni. Quando il soggetto coinvolto è incosciente e non ha espresso, in modo certo e documentabile, il proprio convincimento in ordine alla possibilità di ricevere o meno trattamenti sanitari, la questione si pone in termini assai più complessi, dato che il diretto interessato non solo non si trova nella condizione di comunicare una volontà rispetto alle cure, ma più radicalmente non è (più) in grado nemmeno di elaborare una volontà rispetto a qualsiasi situazione.
Ciò nonostante ci sembra assolutamente inappropriato parlare di eutanasia involontaria per qualificare questa problematica poiché tale espressione evoca il pregiudizio insito nei due orientamenti etici che si interessano al problema, per i
48 Per quanto direttamente ci interessa, inoltre, la predisposizione di adeguati strumenti per la palliazione è anche strumentale all‟effettivo riconoscimento del diritto al rifiuto dei trattamenti, perché l‟omissione o l‟interruzione del trattamento medico deve essere accompagnata dalla somministrazione di analgesici affinché il paziente non muoia in preda a terribili sofferenze. Inoltre, la c.d. „lotta al dolore‟ è considerata uno strumento essenziale per evitare o differire le richieste di assistenza sanitaria al suicidio da parte del malato che soffre.
49 Per „competenza‟ nel linguaggio bioetico si intende “le capacità ritenute rilevanti per essere considerato un agente capace di scelte e azioni responsabili. (…) Le dispute sulla competenza si concentrano soprattutto su come questa debba essere definita. Molte delle posizioni morali rilevanti in bioetica – come quelle kantiane, contrattualiste o anche proprie di alcune teorie dei diritti – definiscono la competenza in termini di autonomia e razionalità e quindi richiedono la capacità di svolgere complicate attività razionali, mentre altre posizioni la riconducono alla capacità di esprimere in modo comprensibile preferenze sulla propria vita.” , così C. BOTTI,
quali lo scopo dell‟analisi è quello di riflettere sulle argomentazioni che secondo l‟approccio della qualità della vita, possano giustificare il diritto ad una morte indolore per le persone incapaci tenute in vita artificialmente o secondo l‟approccio della sacralità della vita, possono portare a negarlo in principio. Ma questa impostazione, seppur densa di conseguenze da un punto di vista bioetico, non coglie nel segno dal punto di vista giuridico.
La questione giuridica deve essere impostata prendendo le mosse dai problemi che queste situazioni pongono e che il diritto è chiamato a regolare.
In primo luogo occorre chiedersi se a tali soggetti sia riconoscibile la titolarità del diritto al rifiuto delle cure e, nel caso, come debba esserne disciplinato l‟esercizio50
. Sotto quest‟ultimo profilo, il punctum dolens è stabilire
chi è legittimato a decidere per il paziente se iniziare, proseguire o interrompere
una terapia di sostegno vitale: il medico, un familiare o il rappresentante legale? E in conformità a quali criteri: solo sulla base della condizione clinica e della prognosi medica, anche alla luce dei desideri e delle speranze dei familiari oppure si deve tener conto della singola persona e delle aspirazioni, opinioni e convinzioni che essa ha espresso prima di cadere nello stato d‟incoscienza? Come devono comportarsi i medici di fonte ad una famiglia che si oppone al distacco delle terapie di sostegno vitale, anche se è clinicamente accertata la non reversibilità della malattia o, viceversa, come devono comportarsi quando a fronte di una non assoluta certezza sulla prognosi (dovuta ai sempre possibili sviluppi della scienza e della tecnica) la famiglia chiede che la persona sia lasciata morire?
Alla luce di tali difficoltà, per un corretto approccio giuridico alla questioni in esame è necessario muovere da due considerazioni.
Da una parte, non si può negare che i pazienti privi di capacità decisionale si trovano necessariamente e completamente in balia dell‟altrui decidere.
Dall‟altra parte, si deve però considerare che è un principio assolutamente pacifico e indiscutibile quello per cui la menomazione psichica e fisica, la debolezza che accompagna qualsiasi forma di incapacità, non può in nessun caso condurre ad una diminuzione nel godimento dei diritti fondamentali della persona,
50 In questi casi, di regola, non si può parlare di eutanasia attiva (o suicidio assistito) ma di rinuncia alle cure, perché i pazienti mantengono le loro funzioni vitali grazie ai macchinari cui sono collegati ed è sufficiente il loro distacco (cui si accompagna la somministrazione di farmaci analgesici per alleviare il dolore) per provocare il decesso.
pena una grave violazione del principio di uguaglianza. Naturalmente, in concreto ci si scontra con la difficoltà di attuazione pratica di tali diritti della persona incapace, difficoltà inevitabilmente legata all‟evidente connotato personale degli stessi, alla delicatezza della scelta, ai dubbi che può legittimamente suscitare l‟intervento di un soggetto diverso dall‟interessato su beni giuridici essenziali quali la salute e la vita.
Tutto ciò, impone di cercare una quadratura del cerchio, elaborando delle soluzioni che rendano compatibile l‟esercizio dei diritti fondamentali della persona (alla salute e alla vita) con l‟indispensabile intervento di un altro soggetto.
In questi termini, si pone la necessità di individuare le modalità e i criteri da seguire per le scelte concernenti la salute del paziente non più capace di determinarsi, scelte che solo formalmente sono affidate alle diverse figure di protezione previste nei vari sistemi giuridici. Ciò in concreto, significa innanzitutto individuare quale sia la volontà determinante nella individuazione del miglior interesse del paziente (tra quella dei rappresentanti legali o dei familiari, quella del medico, quella lasciata o manifestata dall‟interessato) nonché le sedi giuridiche nelle quali la decisione terapeutica deve essere assunta.
In secondo luogo, significa predisporre delle procedure da seguire per la soluzione dei conflitti che possono sorgere tra i vari soggetti coinvolti nella decisione (rappresentanti legali, familiari, medico) e dei criteri per la ripartizione delle responsabilità.
Si tratta di questioni che nessun legislatore, oggi, può rifiutarsi di affrontare se non accettando che sia la giurisprudenza a (dover) decidere al suo posto.
Muovendo da questa prospettiva, nel presente studio esamineremo la questione con riferimento a pazienti „incompetenti‟ o „incapaci‟51, intendendo per
51 È opportuno precisare subito che per ragioni di semplicità useremo il termine „incapace‟ in modo atecnico con riferimento alle persone che non sono più capaci di autodeterminarsi al momento in cui deve essere assunta la decisione terapeutica. Non ci occuperemo, invece, dei soggetti legalmente incapaci (minori, interdetti, inabilitati, beneficiari di un amministratore di sostegno) ma dotati di una, seppur attenuata, capacità decisionale per i quali gli ordinamenti prevedono specifiche regole per la manifestazione della volontà. Per essi si ritiene che possano valere le considerazioni che svolgeremo in ordine alla titolarità del diritto al rifiuto delle cure anche salva vita. Il consenso/dissenso alle cure, secondo le regole generali sulla capacità d‟agire e la rappresentanza, deve esser espresso dal legale rappresentante, il quale essendo titolare di una
funzione, deve decidere nel miglior interesse del rappresentato, interesse coincidente di regola con
la tutela della salute e della vita dello stesso. Ciò potrebbe portare a ritenere che il rappresentante non abbia mai facoltà di rinunciare alle cure salva vita. Tuttavia, è ormai generalmente affermato che questi debba tenere in debita considerazione anche l‟opinione dell‟incapace se in grado di esprimerla (questo vale soprattutto per i minori ultra quattordicenni - c.d. grandi minori -, gli
tali i soggetti caduti in stato d‟incoscienza a seguito del decorso di una malattia oppure quelle persone che arrivano in ospedale già incoscienti a causa di un evento traumatico52.
In entrambi i casi, il paziente non è più in grado di esprimere alcuna volontà sulle cure (che intende ricevere o rifiutare), spesso è in una condizione di irreversibilità clinica (anche se non necessariamente terminale), ma, grazie ai progressi della tecnica, può essere mantenuto in vita artificialmente tramite misure di sostegno vitale (alimentazione ed idratazione artificiale, respirazione meccanica) e con l‟ausilio di farmaci specifici (antibiotici per evitare che i tubi delle macchine creino infezioni, antidolorifici che allevino il dolore provocato dalla malattia e dagli stessi macchinari invasivi, medicazioni frequenti per evitare o curare le piaghe da decubito che possono formarsi sul corpo che rimane sempre nella medesima posizione ecc..
A tal fine confronteremo le diverse soluzioni elaborate dalla giurisprudenza e/o adottate dai legislatori in alcuni ordinamenti europei (cfr. capitolo II, capitolo IV)53, quindi, individuata la soluzione che ci pare preferibile, cercheremo di
inabilitati e i beneficiari dell‟amministrazione di sostegno) con la conseguenza che potrebbero sorgere conflitti la cui soluzione è affidata al giudice tutelare.
52 Non si ignora che nel dibattito corrente vengono ricondotti in questa categoria anche i neonati fortemente prematuri o gravemente malformati. Si ritiene però che tale accostamento non sia affatto appropriato. Come avremo modo di argomentare nel corso del lavoro, le scelte giuridiche adottate per risolvere le questioni bioetiche di fine-vita dei soggetti incapaci muovono dal presupposto che la persona interessata non sia più in grado di determinarsi, ma abbia una identità personale, delle opinioni, dei desideri a cui certe discipline cercano di “dar voce” con specifici istituti giuridici (le direttive anticipate di trattamento, la figura del c.d. fiduciario, le procedure per la ricostruzione della volontà presunta ecc.), in modo tale che la decisione terapeutica non sia tutta e soltanto dei medici o dei familiari. Se il paziente interessato è un neonato non è la stessa cosa: questi non ha potuto formarsi una coscienza, delle opinioni sul proprio modo di esser persona, tanto meno ha potuto formarsi delle volontà in ordine ai trattamenti sanitari. Ci sembra evidente quindi, che in caso di neonati prematuri o gravemente malformati, i soggetti della scelta terapeutica non possono che essere i medici che li hanno in cura e i genitori, quali rappresentanti legali del minore. In questo quadro, i medici sono chiamati ad agire a tutela della salute e della vita del paziente, sulla base degli standard clinici accreditati dalla scienza medica in quel momento, mentre per i genitori operano le regole giuridiche in materia di potestà genitoriale. Perciò essi possono non prestare il loro consenso alle cure proposte dai medici, ritenendole inutili, sproporzionate o contrarie alla (loro) idea di cosa sia nel miglior interesse del figlio, ma sono soggetti al normale controllo dell‟autorità giudiziaria che, in caso di conflitto, può anche revocare temporaneamente la potestà genitoriale e decidere nell‟interesse del minore.
53 Al riguardo, merita anticipare che nella prassi sono state „sperimentate‟ tre diverse tecniche. Secondo un primo modello, del c.d. giudizio sostitutivo, si è fatto ricorso al giudizio di persone vicine all‟incapace (quali congiunti, amici, rappresentanti legali ecc.) sul presupposto che esse fossero i soggetti più adeguati a decidere nel suo interesse. Per tale approccio si veda la sentenza sul caso In re Quinlan (1976) della Corte Suprema del New Jersey. Su questa ed altre sentenze che hanno segnato la storia giurisprudenziale del right to refuse medical treatment si veda G. PONZANELLI, Il diritto a morire; l‟ultima giurisprudenza della Corte del New Jersey, in
verificare quali sono le soluzioni organizzative più adeguate per ambientare le procedure di assunzione delle decisioni sanitarie per l‟incapace.