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Due interpretazioni dei testi autobiografici a confronto

2. POETICA DELL’INFANZIA

2.6. Due interpretazioni dei testi autobiografici a confronto

Su questa questione si possono distinguere, fra le altre, due strategie interpretative diverse: quella di Madeleine Borgomano e quella di Anne Cousseau. Questa distinzione non pretende di essere esaustiva, ma vuole soltanto contribuire a rendere conto della densità anche teorica degli elementi messi in gioco dai testi durassiani.

La prima linea interpretativa è quella percorsa da Madeleine Borgomano, che, commentando

L’amante già nel 1985, un anno dopo la sua pubblicazione, considera quest’opera come il centro, ma anche come la tomba della scrittura durassiana, perché, dicendo la verità, arresta il movimento della scrittura:

«L’Amant opère […] la “destruction capitale”, arrête le mouvement incessant de l’écrit: en les réduisant à “la vérité”, il fige

personnages et événements dans des images jaunies, dans un vieil album de photographies, feuilleté avec nostalgie. […] L’Amant est

le tombeau de l’œuvre durassienne: tombeau à l’italienne, baroque et paré de mille prestiges, mais fallacieux mirage de la mort»69.

Agli occhi di Borgomano, quindi, L’amante risulta un testo del tutto eterogeneo rispetto alle altre opere di Duras: la sua particolarità consiste proprio nell’aver fermato, ucciso il movimento della scrittura e dell’immaginario attraverso il patto di verità e trasparenza proposto dall’autrice in relazione alle vicende della propria infanzia. Qualche anno più tardi, nel 1988, con la conferenza tenuta all’Università di Pavia, intitolata La traversée du fleuve ou le choix du sens dans L’Amant de Marguerite Duras70,

68 Anne Cousseau, Poétique de l’enfance chez Marguerite Duras, cit., pp. 134-138. (“troviamo in L’amante la rivendicazione

ostentata della sincerità e della trasparenza. […] L’idea di verità si trova dunque al cuore dell’intenzione di scrittura di

L’amante”. Tr. mia)

69 Madeleine Borgomano, Romans: la fascination du vide, in L’Arc, n. 98, 1985, pp. 47-48, cit. in Anne Cousseau, Poétique de

l’enfance chez Marguerite Duras, cit., pp. 138-139. (“L’amante opera la “distruzione capitale”, arresta il movimento incessante dello scritto: riducendoli alla verità, irrigidisce personaggi e avvenimenti in immagini ingiallite, in un vecchio album di fotografie, sfogliato con nostalgia. […] L’amante è la tomba dell’opera durassiana: tomba all’italiana, barocca e ornata di mille preziosi, ma fallace miraggio della morte”. Tr. mia)

70 Madeleine Borgomano, La traversée du fleuve ou le choix du sens dans L’Amant de Marguerite Duras, in Il confronto Letterario,

supplemento al n. 8, Fasano di Puglia 1988, pp. 27-33. (“Tutto è simile, ma tutto è differente e la trasformazione non riguarda affatto la rivelazione di qualche segreto […], essa riguarda l’imposizione di un senso. Non di un senso unico:

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Borgomano torna ad interrogarsi sulla particolarità de L’amante, nel quale lei riconosce una vera e propria inversione di tendenza o addirittura una negazione del percorso condotto da Duras fino a quel momento. In questa occasione l’interpretazione non ruota attorno alla questione della verità del testo durassiano, quanto piuttosto attorno all’idea che il testo de L’amante, diversamente da tutte le opere precedenti, sia orientato da un senso:

«Tout est semblable mais tout est différente et la transformation ne tient nullement à la révélation de quelques “secrets” […], elle

tient à l’imposition du sens. Non pas d’un sens unique: L’Amant n’a rien d’un texte monosémique. Mais pour multiples que soient

les sens possible de cette vie que nous raconte L’Amant, ils n’en restent pas moins tous orientés par cette traversée, ce passage. […]

Dans L’Amant, les chemins, si contournés soient-ils, mènent quelque part, comme le fleuve qui va se perdre, mais dans la mer. […]

Le livre donne lieu à “l’histoire d’une vie”, une vraie histoire, avec un commencement, une fin et un sens. Le livre institue un centre, et trace des chemins, qui, désormais, vont quelque part. Et c’est ainsi, me semble-t-il, que L’Amant, en s’orientant autour de la

traversée d’un fleuve, crée les conditions de sa lisibilité et instaure son succès, mais au prix d’une inversion des perspectives si radicale qu’elle peut s’apparenter à une sorte de reniement»71.

Il passaggio in questione è l’attraversamento del fiume sul traghetto da parte della protagonista, che è la stessa Duras a quindici anni. Con questa scena si apre la storia narrata nel romanzo. Sarà proprio durante questa traversata che la bambina incontrerà l’amante cinese, con tutte le conseguenze che seguiranno nella vita della scrittrice-protagonista. La scena, quindi, assume un forte valore simbolico di passaggio dalla condizione infantile ad una dimensione adulta e, proprio questa direzione, secondo Borgomano, orienta tutto il testo: Duras avrebbe ricostruito attorno a questo passaggio, a questa prospettiva di senso, le vicende della propria infanzia e della propria esperienza. Nonostante che il centro dell’interpretazione nei due saggi di Borgomano sia diverso, sembra comunque possibile tracciare una linea di continuità tra loro e, da un punto di vista filosofico, anche tra le nozioni di verità e di senso. Estremizzando e forzando la posizione di Borgomano, ben al di là di quanto la critica affermi esplicitamente nei suoi testi, ma allo scopo di rendere più evidenti filosoficamente i nodi problematici tra i quali ci si sta muovendo, si potrebbe dire che la scrittura di Duras con L’amante si sia sottomessa a una logica referenziale, alla logica della verità che ferma e sacrifica il gioco della scrittura a favore di un senso che la orienta e che viene imposto alla scrittura da parte di un autore, di un soggetto, che detiene tale senso. La lettura della critica francese non è certamente così perentoria, anche perché lei sottolinea che, se la stesura del romanzo ha preso spunto da alcune foto dell’infanzia della scrittrice, invece la foto intorno a cui si orienta il senso del testo, quella dell’attraversamento del fiume, manca. L’amante si scrive a partire da una mancanza, attorno a un senso che si dà come assente e che fa in modo che il movimento della scrittura si dispieghi nuovamente. Per quanto l’espressione che la critica francese usa, «reniement», sia molto forte, tuttavia il suo lavoro suggerisce di riprendere in considerazione attentamente

L’amante non ha nulla di un testo monosemico. Ma per tanti che possano essere i sensi possibili di questa vita che ci racconta

L’amante, essi nondimeno rimangono orientati da questa attraversata, da questo passaggio. […] in L’amante, i cammini, per quanto tortuosi essi possano essere, conduco da qualche parte, come il fiume che va a perdersi, ma nel mare. […] Il libro dà luogo alla ‘storia di una vita’, una vera storia, con un inizio, una fine e un senso. Il libro istituisce un senso e traccia dei cammini, che, ormai, vanno da qualche parte. Ed è così, mi sembra, che L’amante, orientandosi attorno alla traversata del fiume, crea le condizioni della leggibilità e instaura il suo successo, ma al prezzo di una inversione di prospettive così radicale che può assomigliare a una negazione”. Tr. mia)

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la dimensione del senso e, quindi, anche il problema della soggettività per capire se e come la scrittura di Duras sia riuscita a giocarli, senza tornare a una cornice concettuale tradizionale.

Il percorso interpretativo di Anne Cousseau è differente e parte dalla considerazione che L’amante non è stato affatto la tomba della scrittura di Duras, perché l’autrice in seguito è tornata più volte, aggiungendo molte variazioni, sulle vicende della propria infanzia, rispetto alle quali nell’opera del 1984 avrebbe dovuto essere stato detto tutto, tutta la verità. Mano a mano che la parola dell’infanzia prende spazio nella produzione della scrittrice francese, la realtà e la verità del passato vengono erose dalle continue riscritture. Cousseau conclude:

«l’effet de vérité recherché par le discours est donc un leurre, le lieu pour Duras d’une stratégie d’écriture qui paradoxalement

mystifie le lecteur et mythifie l’enfance»72.

L’attenzione di Cousseau non si concentra tanto sul contenuto de L’amante né sul valore simbolico di alcuni elementi del romanzo, come fa Borgomano, ma mette piuttosto l’accento sul movimento della scrittura e delle riscritture. La lettura proposta non analizza L’amante isolatamente, ma tiene in grande conto i rimandi e le variazioni da un testo all’altro. Il fatto che la scrittura torni incessantemente sulle medesime vicende, decostruendo più che ricostruendo una storia, rende problematico intendere in senso referenziale il valore di verità, che Duras invoca per questi testi autobiografici. Le riscritture mostrano piuttosto l’impossibilità di dire l’esperienza dell’infanzia, dicono l’assenza di una storia biografica e il lavorio di una memoria che non può ricordare, ma che si affida al movimento della scrittura per evocare un passato, per evocarne l’assenza. È proprio questa assenza che apre lo spazio della scrittura:

«la parole d’enfance ne va donc pas vers l’avènement d’une histoire mais vers l’événement de l’écriture»73.

Duras stessa, ne L’Amante, scrive:

«La storia della mia vita non esiste. Proprio non esiste. Non c’è mai un centro, non c’è un percorso, una linea. Ci sono vaste zone d’ombra dove sembra ci fosse qualcuno, ma non è vero, non c’era nessuno»74.

E continua:

«La storia di una piccola parte della mia giovinezza l’ho già più o meno scritta, insomma l’ho lasciata intravedere, intendo la parte di cui parlo, quella dell’attraversamento del fiume. Ora faccio qualcosa di diverso e di uguale. Prima ho parlato dei periodi limpidi, chiari. Ora parlo dei periodi nascosti di questa stessa giovinezza, di fatti, di sentimenti, eventi che avevo dissimulato. Ho cominciato a scrivere in un ambiente in cui dovevo farlo con pudore. Scrivere, allora, era ancora un impegno morale. Adesso scrivere sembra che spesso non sia più niente. Talvolta me ne rendo conto: scrivere, o è mescolare tutto in un viaggio che ha per destinazione la vanità e il vento, o non è niente; o si mescola tutto in un’unità per sua natura indefinibile, o si fa soltanto della pubblicità. Ma molto spesso non ho un’opinione, vedo che tutti gli spazi sono aperti, come se non ci fossero più pareti,

72 Anne Cousseau, Poétique de l’enfance chez Marguerite Duras, cit., p. 144. (“L’effetto di verità ricercato attraverso il discorso è

dunque un’illusione, il luogo per Duras di una strategia di scrittura che paradossalmente mistifica il lettore e mitizza l’infanzia”. Tr. mia)

73 Ivi, p. 289. (“La parola dell’infanzia non va dunque verso l’avvento di una storia, ma verso l’avvenimento della scrittura”.

Tr. mia)

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come se lo scritto non sapesse più dove andare per nascondersi, per strutturarsi, per leggersi, come se la sua fondamentale sconvenienza non venisse più rispettata, e subito dopo non ci penso più»75.

L’esperienza autobiografica dell’infanzia non esiste come una storia che si possa raccontare, seguendo uno sviluppo lineare che abbia un inizio, un centro e una fine. Esistono piuttosto delle «vaste zone d’ombra», delle zone di intensità nell’esperienza soggettiva, inafferrabili e perdute perché nemmeno l’autrice stessa vi si riconosce. È come se queste zone d’ombra, questi «fatti», questi «sentimenti», questi «eventi», in cui l’autrice era coinvolta, andassero al di là della soggettività di chi li vive, escludendo la possibilità di parlarne dall’interno e di assumerli sia a livello soggettivo che sul piano del linguaggio. In questo senso Duras scrive che nelle zone d’ombra «sembra ci sia qualcuno, ma non è vero, non c’era nessuno»: c’è la percezione di una presenza, ma non c’è nessuno di riconoscibile, con cui identificarsi completamente. La scrittura autobiografica cerca di far luce sulle zone d’ombra. Questo tentativo, però, è votato al fallimento perché il passato e l’esperienza sono inattingibili sul piano del linguaggio. La scrittura, quindi, si dispiega a partire da questa radicale assenza di una storia, sulla scia di una memoria che non può ricordare, ma che, piuttosto, evoca l’intensità del vissuto soggettivo. Ha origine, così, una lunga serie di riscritture delle medesime vicende, in cui l’unità dell’io narrante non si riconosce mai definitivamente, si frantuma e si disperde. È significativo, in questo senso, che in alcuni brani de L’Amante e anche de L’Amante della Cina del Nord, Duras parli della ragazzina protagonista dei romanzi, cioè di se stessa, in terza persona. Il passaggio alla terza persona avviene perché le zone d’ombra, che sono intensità del vissuto profondamente intime, escludono qualsiasi forma di appropriazione, linguistica ed esperienziale, da parte di un soggetto. Ciò che è più intimo si rivela essere piuttosto un punto di rottura della soggettività, che la apre ad una dimensione in cui sembra non esserci più nessuno di riconoscibile, la apre a una dimensione quasi impersonale. La regione più intima nel cuore della soggettività si mostra come il punto della sua radicale espropriazione, il punto in cui la soggettività non si possiede.

Tuttavia bisogna sottolineare che la scrittura autobiografica di Duras ne L’amante e ne L’amante della

Cina del Nord si struttura su una tensione fra l’istanza dell’io che scrive e la sua impossibilità di appropriarsi della propria esperienza, che si traduce nel passaggio ad una scrittura in terza persona. Il fatto che questa tensione non venga mai meno nei due testi significa che Duras non rinuncia del tutto alla possibilità di prendere la parola in prima persona e al desiderio di esprimere l’intensità di un vissuto soggettivo, per quanto inappropriabile esso sia. La scrittura di Duras non decostruisce completamente la dimensione della soggettività per abbandonarsi all’impersonalità, ma, piuttosto, mette in gioco in una tensione continua queste due istanze. Tale tensione non può risolversi, ma continua a dar origine a nuovi tentativi di dire l’indicibile. È, forse, proprio in questa tensione della scrittura che l’autrice può

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ancora dire io, nonostante la frantumazione a cui è sottoposta la soggettività. A questo proposito Cousseau scrive:

«C’est donc sur le plan de l’écriture, et non celui de l’histoire à raconter, que le sujet trouve sa cohérence. L’écriture de l’enfance ne

construit pas le sujet d’une histoire, celui que nous avons désigné comme “sujet autobiographique”, mais le sujet d’une écriture. […]

Le mythe personnel s’édifie au prix d’une réécriture qui n’a pas d’autre intérêt qu’elle-même et qui dévoile toujours un peu plus la béance du vécu dans sa dimension référentielle, c’est-à-dire le manque du sujet autobiographique à voir son histoire comme celui à concevoir son image et son identité. Obsession d’un texte mélancolique fantasmant l’objet perdu. […] Le vrai sujet du discours

autobiographique est-il l’écriture, par laquelle se construit la seule identité qui vaille pour Duras, celle d’écrivain»76.

Le interpretazioni di Anne Cousseau e di Madeleine Borgomano risultano essere molto diverse: mentre Borgomano lavora sul valore simbolico delle immagini del testo de L’amante, riconoscendo a quella della traversata del fiume il ruolo di orientare, secondo un senso, la narrazione, Cousseau lavora invece sul piano della scrittura e dell’intertestualità e legge nei testi “autobiografici” di Duras non tanto una ricostruzione del suo passato il più possibile fedele alla realtà e soggetta a un’imposizione di senso, quanto piuttosto l’emergere della dinamica più profonda della scrittura durassiana. La scrittura, infatti, si rivela come il luogo in cui si esercita il lavoro interminabile della memoria, che non consiste nel recuperare al linguaggio il passato e l’esperienza, che rimangono inattingibili, ma nell’evocarlo attraverso le immagini della sua assenza. È solo in questo movimento che viene chiamata in causa, in maniera originale, l’istanza della soggettività, del soggetto dell’enunciazione, a dispetto di ogni sua pretesa liquidazione: tale soggetto è immanente al dispiegarsi stesso della scrittura, è soggetto di scrittura e si rivela nell’incessante ritorno, con infinte variazioni, sulle vicende autobiografiche.

Da quest’ultima prospettiva è forse possibile cogliere, al di là delle differenze, una convergenza fra le due interpretazioni messe a confronto: in entrambi i casi, infatti, viene riconosciuto a livello della composizione de L’amante una discontinuità all’interno dell’opera di Duras; tale discontinuità apre a una scrittura in cui qualcosa come un “io” prende la parola e parla, nonostante l’espropriazione dell’esperienza che il linguaggio comporta. Per Borgomano questa discontinuità si lega all’imposizione di un orientamento di senso alle vicende biografiche dell’autrice, che ha il valore di «reniement» del percorso letterario precedente, mentre per Cousseau si tratta dell’emergenza e della radicalizzazione del movimento stesso della scrittura, che è il luogo in cui un io, indefinibile e decostruito, può ancora parlare e mostrarsi come colui che scrive.

76 Ivi, p. 293. (“È dunque sul piano della scrittura, e non su quello della storia da raccontare, che il soggetto trova la sua

coerenza. La scrittura dell’infanzia non costruisce il soggetto di una storia, colui che abbiamo designato come il “soggetto autobiografico”, ma il soggetto di una scrittura […]. Il mito personale si edifica al prezzo di una riscrittura che non ha altro interesse che essa stessa e che svela sempre un po’ di più il vuoto del vissuto nella sua dimensione referenziale, cioè l’assenza del soggetto autobiografico e della sua storia come colui che concepisce la sua immagine e la sua identità. Ossessione di un testo malinconico che sogna l’oggetto perduto. […] Il vero soggetto del discorso autobiografico è la scrittura, attraverso la quale si costruisce la sola identità che vale per Duras, quella di scrittore”. Tr. mia)

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SUL PASSAGGIO DALLA PRIMA ALLA TERZA PERSONA: UN PRIMO

CONFRONTO TRA LA SCRITTURA DI MARGUERITE DURAS E LA

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