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Le esperienze dei limiti in Il rapimento di Lol V Stein

SECONDA PARTE LA FOLLIA

4. IL RAPIMENTO DI LOL V STEIN

4.7. Le esperienze dei limiti in Il rapimento di Lol V Stein

Le reticenze e i silenzi a partire dai quali si scrive Il rapimento di Lol V. Stein aprono lo spazio a molte interpretazioni diverse. Lol è così sfuggente che nessuna parola, nemmeno quella di Jacques Hold, può colmare le lacune che lei lascia. Nell’inafferrabilità di Lol si deve, comunque, certamente leggere anche una “sua” libertà e nelle lacune del testo un’apertura a infinite risorse di riflessione e lettura.

Nondimeno, dopo questa analisi, è possibile tornare alle questioni, da cui si era partiti, e offrire qualche spunto di riflessione in più.

Che cosa è cambiato in Il rapimento di Lol V. Stein rispetto a Hiroshima mon amour a proposito della “follia”? Ciò che viene ripetuto nel romanzo non è un evento accaduto, ma è il comparire di qualcosa, all’interno della scena del ballo, che non è accaduto, che non poteva accadere, di una mancanza impossibile da colmare. Si è visto che ciò che appare è lo sguardo irrappresentabile e impossibile della nudità, che espropria Lol della sua stessa persona. L’origine della ripetizione è dunque irrimediabilmente ed essenzialmente perduta perché si mostra proprio come una mancanza impossibile da colmare, come un assoluto irraggiungibile.

Lol rimane rapita da questo sguardo, che ne annienta la soggettività e la apre a un vuoto impossibile da colmare. Ciò che Lol continua a cercare non è di colmare tale vuoto, ma, come si è visto, lei cerca «l’annientamento vellutato della propria persona». In questa passione consiste la sua “follia”. A Lol non capiterà mai di poter dire «Ah! Com’è bello essere qualcuno, qualche volta»68, come capita invece all’attrice francese, protagonista di Hiroshima mon amour, una volta che è riuscita a raccontare la sua storia all’uomo giapponese. Non le capiterà mai nemmeno di poter dire, come l’attrice, «ho raccontato la nostra storia./ Come vedi, si poteva raccontare»69. Lol non può raccontare la propria storia perché al

cuore di questa storia c’è un irrappresentabile, un irraggiungibile, un indicibile e perché questa storia è la storia di qualcuno che non dice più io, che cerca di spogliarsi e di essere spogliato della propria soggettività.

A proposito dell’esperienza di Lol, si può dire che essa sia un’esperienza che si situa oltre il limite della soggettività, sfociando in una dimensione quasi impersonale: è questa rottura dei limiti della soggettività ciò che viene designato come follia.

In Il rapimento di Lol V. Stein c’è anche un altro personaggio che fa esperienza dei limiti: è Jacques Hold, il narratore, innamorato di Lol. Se ci basiamo sulla lettura di Lacan, secondo la quale egli occupa la posizione del soggetto, bisogna concludere, come si è visto, che Jacques Hold viene messo in

67 Su questo cfr. Madeleine Borgomano, Le ravissement de Lol V. Stein de Marguerite Duras, cit., pp. 126-129 e 189-192. 68 Marguerite Duras, Hiroshima mon amour, cit., p. 65.

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discussione dalla scena in cui lo coinvolge Lol. Quest’ultima gli fa esperire l’estraneazione provocata dall’emersione dello sguardo. Jacques Hold è perturbato da questo sguardo, ma non diviene “folle”; si spinge fino ai limiti della follia, laddove il soggetto scopre il nulla che lo riguarda (lo sguardo), ma non vi si abbandona. Per questo, forse, può ancora dire “io” e soprattutto può ancora scrivere. Scrivere di Lol, scrivere la propria storia con lei e tentare di ricostruire la sua storia. Al fondo della vicenda di Lol, tuttavia, rimane qualcosa di indicibile e di irrappresentabile. L’esperienza limite di Jacques Hold diviene così anche l’esperienza limite della scrittura, che non può dire l’irrappresentabile presso cui si tiene Lol.

A questo punto può essere utile richiamare la critica di Marcelle Marini all’interpretazione di Lacan: se Jacques Hold occupa la posizione di soggetto, che “detiene” la padronanza del linguaggio, ne segue, nell’interpretazione lacaniana dell’opera, «l’impossibilità per tutte le donne di accedere allo statuto di “soggetto” se non mettendosi al maschile». Questo potrebbe far capire anche perché Duras abbia bisogno di Jacques Hold, di un mediatore maschile, che conserva la padronanza del linguaggio e dell’ordine simbolico, per avere un accesso indiretto alla follia di Lol: quest’ultima è fuori dal simbolico, ma l’autrice ha bisogno di un accesso all’ordine simbolico e al linguaggio per poterne parlare. Jacques Hold, infatti, non si dichiara né viene dichiarato folle, mentre Lol sì. La critica di Marini fa emergere un’attenzione alla differenza sessuale, a cui Duras non era certamente estranea.

Dalla lettura del romanzo e dai commenti che l’autrice stessa fa a proposito di quest’opera emerge uno sguardo benevolo e affettuoso della scrittrice per il personaggio di Lol e per la sua follia. Da questo punto di vista, non è certamente un caso che, per scriverne, abbia avuto bisogno di avvicinarla attraverso un personaggio, Jacques Hold, che la ama. La follia di Lol non è presentata solamente come un delirio, come una sofferenza angosciante, ma anche come l’accesso a una dimensione ulteriore del reale. Tale accesso è sicuramente inquietante, nella misura in cui comporta un’erosione della soggettività, ma esso apre a una dimensione in cui c’è ancora vita, indefinibile e irrappresentabile. In La

vita materiale Duras scrive a proposito dell’oblio di Lol V. Stein:

«Esiste un fenomeno, nel gelo. L’acqua diventa ghiaccio a zero gradi, e qualche volta succede che vi sia una tale immobilità dell’aria durante il freddo, che l’acqua dimentica di gelare»70.

L’immagine dell’acqua che dimentica di gelare, usata da Duras, al tempo stesso, allude a una dimensione in cui sembra non esserci più nessuno di definibile, ma un continuo movimento che assomiglia a quello del mare. Allo stesso modo dell’acqua, che qualche volta dimentica di gelare, Lol aveva dimenticato che la scena del ballo che tanto la affascinava era in realtà diretta contro di lei, era qualcosa che la stava distruggendo: aveva “dimenticato” di soffrire e così era scivolata nella follia senza accorgersene. In un passo del romanzo si legge:

«Il mare sale, alla fine, sommerge le pozze azzurre, una dopo l’altra, progressivamente, e quelle con eguale lentezza perdono la loro individualità, si confondono col mare, ecco, è finita per loro, tocca alle altre che

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aspettano. La morte delle pozze azzurre riempie Lol di una indicibile tristezza, l’aspetta, la prevede, la vede. La riconosce»71.

Dire questa dimensione, questa follia, riportarla nel linguaggio per colmarne i vuoti e attribuirle un senso è impossibile. Il linguaggio e la scrittura falliscono in questo tentativo, che Duras, nel romanzo, consegna a un personaggio maschile, quasi a voler sottolineare il legame del linguaggio e del senso con un ordine simbolico maschile. Da questo punto di vista si potrebbe dire che la follia di Lol è una dimensione del reale legata a un livello femminile di esperienza, a cui l’ordine maschile e il linguaggio non giungono. In questo contesto è la scrittura che perde, che non riesce a dire l’indicibile: infatti, la follia è anche una forma di libertà, selvaggia (selvaggiamente libera)72.

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