SECONDA PARTE LA FOLLIA
4. IL RAPIMENTO DI LOL V STEIN
5.5. L’ambasciatore e Charles Rosset commentano il dossier del viceconsole
Sulla figura del viceconsole cominciano ad articolarsi i discorsi degli altri uomini; l’ambasciatore di Francia invita Charles Rosset a esaminare il dossier di Jean Marc de H. Nella propria deposizione il viceconsole scrive:
«Riconosco di avere commesso i fatti imputatimi a Lahore. […] Mi assumo la piena responsabilità di quei fatti. […] Non chiedo né di rimanere a Lahore né di andarmene. Non posso dare una spiegazione chiara né di ciò che ho fatto a Lahore né sul perché di questo rifiuto. […] Mi limito semplicemente a constatare l’impossibilità in cui mi ritrovo di rendere conto in modo comprensibile di quanto accaduto a Lahore»94.
La difficoltà davanti alla quale si trova l’ambasciatore, che deve decidere come risolvere il caso del viceconsole, dove inviarlo e quale incarico affidargli, è notevole. Non si tratta, infatti, di verificare le deposizioni né di risolvere un caso ristabilendo la verità dei fatti: il viceconsole si assume la piena responsabilità di ciò che ha commesso a Lahore, ma dichiara anche, con un’inquietante affermazione, di trovarsi nell’impossibilità di rendere conto di ciò che è successo. Il viceconsole sfugge assieme al senso del suo gesto: egli stesso, che l’ha commesso, non ne sa dire niente, lo sottrae (e si sottrae) alle parole, alla comprensione. Questa impossibilità di parlare rende Jean Marc de H. inquietante perché nega la possibilità di risalire dal suo gesto alla sua persona, nega il percorso che consente l’attribuzione di una responsabilità (morale e giuridica). La figura del viceconsole tende, così, a sottrarsi alla categoria morale, giuridica, ma anche “metafisica” della soggettività. È dunque un folle? Va considerato come incapace di intendere e volere (cosa che lo escluderebbe dalla società civile dell’ambasciata)?
«“La follia è stata presa in considerazione?” “No, solo la depressione nervosa»95.
Se non è folle allora è necessario cercare di comprendere le ragioni del suo gesto, è necessario ricostruire il percorso che va dal suo gesto alla sua persona. Tale percorso non può essere condotto che dall’esterno, dato che il viceconsole non è in grado di offrire spiegazioni. Si tratta di separare il gesto del viceconsole dalla sua persona per conoscerne il grado di responsabilità. Solo così, rischiarata e neutralizzata l’inquietudine che suscita, potrebbe essere possibile decidere la sua destinazione.
A ben guardare l’ambasciatore e Charles Rosset tentano di fare nei suoi confronti ciò che per Georges Crawn è impossibile fare nei confronti della mendicante: separare la sua follia dalla follia, il suo riso dal riso, la parola Battambang dalla parola Battambang. La difficoltà e il limite sono gli stessi:
94 Ivi, pp. 28-29. 95 Ivi, p. 30.
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cercare di ricondurre al linguaggio, alla legge, a un ordine simbolico un impossibile che si sottrae. Se per la mendicante folle la possibilità di compiere questa operazione è negata, perché lei è quasi completamente esclusa dal mondo umano, confusa indistintamente con una vita selvaggia, invece per il viceconsole, che non è dichiarato folle e che, anche per i suoi incarichi politici, appartiene ancora alla società civile, tale operazione si rivela gravemente necessaria. La follia del viceconsole è pericolosa.
Inizia così un’indagine sul passato di quest’uomo, che, però, non si distingue per eventi particolari. La sua zia, unica parente rimasta in vita, in una lettera indirizzata all’ambasciatore, non dice quasi nulla dell’infanzia del nipote, a parte sottolineare la riservatezza del suo carattere e il fatto che egli non è mai stato innamorato. La lettera della zia si conclude così:
«La condotta dissennata di mio nipote a Lahore non testimonia forse in fin dei conti di qualche segreto stato d’animo, qualcosa che ci sfugge ma che forse, nonostante questo, non è del tutto indegna? Prima di venire definitivamente condannata, quella condotta non dovrebbe essere considerata con attenzione, forse dal suo inizio? Perché risalire all’infanzia per spiegare la condotta di Lahore? Non si dovrebbe cercare anche a Lahore?»96.
Ancora una volta è una donna, la zia, che si avvicina il più possibile con le sue parole, con le sue domande, all’impossibile, al gesto incomprensibile del nipote. La zia parla di un «segreto stato d’animo», di una conoscenza oscura che ci sfugge e che forse non è da considerare così indegna. Le parole della donna cercano di aprire un varco per avvicinarsi all’impossibile del nipote e, inoltre, mettono in dubbio il tentativo di cercare l’origine di questo gesto nell’infanzia. In questo dubbio si potrebbe leggere un accenno polemico di Duras nei confronti della pratica psicanalitica, che, nelle sue derive più deterministiche, riconduce molte patologie psichiche a esperienze infantili, pretendendo così di spiegarle e di esaurirne il senso. La zia suggerisce piuttosto di cercare a Lahore, là hors, là fuori, fuori della storia del soggetto, fuori del soggetto, là dove il soggetto viene messo in crisi. Significativamente, a proposito di questo intricato caso del viceconsole, verso il quale sta usando un’indulgenza che Charles Rosset gli rimprovera, l’ambasciatore dice:
«“Qui non c’è una parte lesa, capisce? è uno… stato di cose… è chiaro, è Lahore… qual è il senso di Lahore?”»97.
Che significa Lahore, là hors? Di nuovo per l’ambasciatore è questione di comprendere, di separare gli elementi e i nomi di questo evento: il viceconsole, il suo gesto, Lahore. Egli non può cogliere il suggerimento della zia:
«“Preferisco che ci atteniamo alle congetture consuete e che indaghiamo sulla sua infanzia,” dice l’ambasciatore.
Estrae la lettera dall’incartamento»98.
Una parola femminile viene negata. L’ambasciatore preferisce la ragionevolezza, la conoscenza e il discorso abituali e, si potrebbe aggiungere, maschili.
96 Ibidem. 97 Ivi, p. 31. 98 Ivi, p. 30.
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Del viceconsole, comunque, non sa quasi niente nessuno, perché nessuno gli parla, escluso il direttore del Circolo, al quale fa delle confidenze.
L’incontro fra l’ambasciatore e Charles Rosset si conclude e quest’ultimo torna nella sua residenza.