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Lacan: la visione, tra immagine e sguardo

SECONDA PARTE LA FOLLIA

4. IL RAPIMENTO DI LOL V STEIN

4.3. Lacan: la visione, tra immagine e sguardo

Lacan interpreta questa scena secondo le sue riflessioni sullo sguardo e sulla visione:

«j’enseigne que la vision se scinde entre l’image et le regard»51.

Molto brevemente si potrebbe dire che, nella fase dello specchio, così come è stata teorizzata dallo psicanalista francese, il bambino, che fino a quel momento si vive come un corpo in frammenti, si identifica con un’immagine di sé, che gli permette di costituirsi come un io cosciente che vede le cose e organizza, per immagini, la visione. Il soggetto si pone così come un punto geometrico a partire dal quale vede e rappresenta gli oggetti.

La possibilità che il soggetto ha di costituirsi come vedente si fonda, però, secondo Lacan, sulla preesistenza di una funzione di visibilità, di “veditura” (voyure) del reale, che fa sì che il soggetto, “prima” di essere colui che vede, sia una macchia nello spettacolo del mondo. In I quattro concetti della

psicanalisi Lacan scrive: «io non vedo che da un punto, ma nella mia esistenza sono guardato da

49 Ivi, pp. 38-39.

50 Jacques Lacan, Hommage fait à Marguerite Duras, du ravissement de Lol V. Stein, cit., p. 133. (“l’immagine di sé di cui l’altro vi

ricopre e che vi veste, e che vi lascia quando voi ne siete derubati”. Tr. mia)

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ovunque»52. Nel mondo esiste uno sguardo che coglie il soggetto nel punto in cui esso non si vede, ma

soltanto a partire dal quale può vedere: quel punto è costituito dal fatto che il soggetto è una “macchia” nello spettacolo del mondo, è una parte nel mondo prima e più originariamente di essere un occhio che guarda il mondo. Questa funzione di sguardo, che esiste nel mondo, è indipendente dalla presenza di un occhio che vede. Come sintetizza Paolo Gambazzi nel suo libro L’occhio e il suo inconscio, «lo sguardo di cui sono oggetto non si confonde assolutamente col fatto che ci siano degli occhi che mi vedono. Lo sguardo è “una x”, dice Lacan. Lo sguardo è ciò che guarda senza vedere»53.

Lo sguardo, così determinato, non ha e non è un’immagine: si situa fuori delle possibilità di rappresentazione del soggetto. Vedere, per un soggetto, è possibile solo a partire da una funzione di visibilità del mondo: c’è uno sguardo che lo guarda, senza necessariamente vederlo, “prima” che egli possa vedere. Lo sguardo, questa funzione che per esercitarsi non necessita di un occhio che veda, è il punto cieco della visione organizzatrice del soggetto, è un punto inconscio a partire dal quale il soggetto può costituirsi come soggetto vedente e cosciente. Lo sguardo è irrappresentabile.

Nell’elaborazione teorica lacaniana lo sguardo viene annoverato, in una posizione di grande rilevanza, fra quelli che lo psicanalista chiama “oggetti a”. Tratto comune agli “oggetti a” è il fatto che «non hanno immagine speculare»54: essi, cioè, non sono rappresentabili in un’immagine da parte di un

soggetto e la loro forma è dunque quella di qualcosa che manca, di un manque à être, di una mancanza che muove il desiderio del soggetto.

Per delineare il rapporto fra immagine e sguardo in Lacan, alla luce di quanto è stato detto finora, ci si può riferire nuovamente al testo di Gambazzi:

«Lo sguardo come oggetto a è ciò che sfugge alla rappresentazione: l’irrappresentabile non-specularizzabile nella rappresentazione speculare. Esso è “strano”, “dispari”, “fuori simmetria”: è “il fuori spazio”.

È in questo oggetto (lo sguardo) che Lacan vede, negli anni Sessanta, “ciò che è racchiuso nel nervo più segreto dello stadio dello specchio”. Esso è “l’oggetto inafferrabile nell’immagine speculare cui l’immagine speculare

fa da abbigliamento”»55.

Il soggetto, dunque, si costituisce identificandosi con l’immagine speculare. Attraverso l’immagine speculare, però, appare qualcosa che resiste a questa identificazione: lo sguardo. Nel momento stesso in cui il soggetto si identifica con l’immagine speculare, esso appare anche come una macchia all’interno dello spettacolo del mondo. “Prima” di vedere il soggetto è già qualcosa che può essere visto, che è guardato dallo sguardo del mondo. Qualcosa, una cosa, una macchia assume la funzione di sguardo, di un occhio inerte, che non vede, ma che guarda il soggetto dall’immagine con cui esso si identifica. Questo sguardo è perturbante e fonte di angoscia; ciò «deriva dall’esposizione al mondo che esso mi

52 Jacques Lacan, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicanalisi, tr. it. di G. Contri, Einaudi Torino 1974, p.

74. Per una trattazione ampia e approfondita di questi temi cfr. Paolo Gambazzi, L’occhio e il suo inconscio, Raffaello Cortina Editore, Milano 1999.

53 Paolo Gambazzi, L’occhio e il suo inconscio, cit., p. 129.

54 Jacques Lacan, Scritti, tr. it. di G.B. Contri, Einaudi, Torino 1974, p. 821. 55 Paolo Gambazzi, L’occhio e il suo inconscio, cit., p. 135.

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mostra e mi fa sentire. L’io del soggetto, dallo sguardo delle cose, è destituito dalla sua posizione di centro organizzatore, sintetico e costituente. Ciò che è eliso (perché il soggetto possa assumersi come coscienza di oggetti e come illusione di vedersi vedere) è ora ‘là’, e mi mostra tutto ciò che vi è, nel mio vedere, “di non padroneggiato da me”. Quando l’immagine speculare si modifica, e il corpo non ci è più dato de façon pure et simple dans notre miroir, l’esteriorità della macchia che mi guarda senza vedermi si muta in perturbante»56. Figure emblematiche del perturbante sono il sosia e il doppio, immagini quasi

speculari del soggetto, nelle quali quest’ultimo non si riconosce più e che sembrano voler prendere il suo posto.

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