SECONDA PARTE LA FOLLIA
6. IMMAGINI DEL VICECONSOLE E DI ANNE-MARIE STRETTER
6.2. Il cadavere di Anne-Marie Stretter a Venezia
Questa condizione sembra essere comune anche ad Anne-Marie Stretter; anche lei sembra portare nel suo corpo i segni di una morte che accompagna incessantemente la vita. Nella villa sulle isole del delta del Gange, guardando attentamente la donna, Charles Rosset scorge addirittura la figura del suo cadavere.
«La guarda a lungo, lei se ne accorge, se ne stupisce, tace, ma lui continua a guardarla fino a dissolverla, fino a vederla seduta in silenzio con i buchi degli occhi del suo cadavere in mezzo a Venezia, Venezia dalla quale lei è partita, e alla quale viene resa, istruita dell’esistenza del dolore»144.
Per certi aspetti l’atteggiamento di Anne-Marie Stretter è simile a quello del viceconsole davanti all’obiettivo della macchina fotografica immaginaria: anche lei sa di essere sotto uno sguardo ostinato e vi si concede in silenzio. In questo caso lo sguardo è quello “innamorato” di Charles Rosset. Qualche momento prima i due si sono baciati:
«Uscendo da una camera lui l’abbraccia, lei non resiste, la bacia, rimangono stretti, ed ecco che nel bacio – lui non se l’aspettava – s’insinua un dolore discordante, la fiammata di un legame nuovo intravvisto ma già precluso. O come se lui l’avesse già amata in altre donne, in un altro tempo, di un amore… quale?»145.
Lo slancio amoroso di questo bacio fa percepire a Charles Rosset il dolore di Anne-Marie Stretter. Il bacio non unisce i due amanti, ma, nel momento di massima vicinanza, fa piuttosto percepire la loro incolmabile distanza. Anne-Marie Stretter si concede, ma è altrove, assente, presa da un «dolore discordante». Amare Anne-Marie Stretter significa amare questo dolore, che la trattiene sempre lontana dai suoi amanti.
Con lo sguardo istruito dalla presenza di questo dolore Charles Rosset guarda attentamente la donna per capire, per poterla amare. Lei tace: dopo un attimo di stupore, non oppone resistenza a questo sguardo, si concede a esso. Proprio come il viceconsole.
Cosa vede Charles Rosset? Vede l’immagine di Anne-Marie Stretter morta, il suo cadavere. Non c’è alcuna possibilità di penetrare il segreto di Anne-Marie Stretter, di “aprire la tomba in cui”, anche lei, “fa la morta”, di conoscere quel luogo da cui si sprigionano le sue lacrime, apparentemente ingiustificate. Tale segreto rimane impenetrabile per lei stessa: anche per lei, come si è già visto, è impossibile parlare del suo dolore.
Significativamente, dopo questa visione, a Charles Rosset viene in mente il viceconsole:
«È allora, mentre la vede così, che il ricordo del viceconsole ritorna brutalmente in Charles Rosset e lo mette in ombra»146.
144 Marguerite Duras, Il viceconsole, cit., p. 121. 145 Ibidem.
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La visione del cadavere di Anne-Marie Stretter si associa, nella mente di Charles Rosset, al ricordo del suo ultimo incontro con il viceconsole. Dopo il ricevimento, infatti, Charles Rosset si era trattenuto con Anne-Marie Stretter, che lo aveva invitato all’Hotel Prince of Wales, assieme agli altri amanti. Il viceconsole aveva effettivamente ragione quando, durante il ricevimento, aveva pronosticato a Charles Rosset che sarebbe stato accolto nel circolo degli amanti della donna. Mentre Charles Rossset torna nella sua residenza, dopo aver ricevuto questo invito, il viceconsole, affacciato al balcone della sua stanza, lo vede e lo trattiene con insistenza per un ultimo dialogo. Il viceconsole chiede a Charles Rosset se sia stato assieme agli altri al Blue Moon, se sia stato accolto nel circolo, se sia stato invitato ad andare all’Hotel. Charles Rosset, mentendo, nega (in effetti al Blue Moon non erano andati, ma l’avvicinamento ad Anne-Marie Stretter era avvenuto), pensando di evitare un ulteriore dolore e una nuova crisi al viceconsole. Quest’ultimo, allora, sorprendentemente confessa al suo ospite il proprio amore per Anne-Marie Stretter:
«“Ho come un sentimento per lei, per questo non vado più a Bombay. Se gliene parlo con questa insistenza, è perché è la prima volta nella mia vita che una donna mi ispira amore”»147.
Il viceconsole arriva perfino a chiedere a Charles Rosset di intercedere per lui presso Anne-Marie Stretter perché la donna accetti di rivederlo, di tenerlo come gli altri accanto a sé. Charles Rosset rifiuta duramente la proposta:
«“Non c’è nulla da rispondere, non ha bisogno di intercessori. […] Del resto non credo a quanto mi ha appena detto”»148.
Nel momento in Charles Rosset immagina il cadavere di Anne-Marie Stretter a Venezia, gli torna alla mente questa scena, in cui egli ha ingannato il viceconsole. Qualcosa apparenta la figura della donna e il suo dolore alla figura impossibile del viceconsole. Charles Rosset inizia a pensare che il viceconsole in fin dei conti fosse sincero nel momento della confessione. Egli comincia così a intercedere per lui con insistenza presso Anne-Marie Stretter. Quest’ultima, però, rifiuta, nonostante l’ostinazione incalzante del giovane. In aiuto della donna viene Michael Richard:
«“Ascolta,” dice, “ascolti anche lei, il viceconsole di Lahore dobbiamo dimenticarlo, ne sono sicuro. Non c’è nulla da dire sui motivi di questo oblio. Non c’è nulla da fare se non sopprimerlo nella nostra memoria. Altrimenti…” stringe i pugni “… correremo un grosso rischio di… almeno di…”
“Dica.”
“Di non riconoscere più Anne-Marie Stretter.” “Qui, qualcuno mente,” dice Charles Rosset»149.
Perché mai l’incontro con il viceconsole dovrebbe rendere Anne-Marie Stretter irriconoscibile agli occhi dei suoi amanti? Sorge il sospetto che qualcuno stia mentendo o che stia omettendo qualcosa; in questo caso può essere solo Anne-Marie Stretter, che tace. Charles Rosset allora la incalza:
«“Non è per via di Lahore?”
147 Ivi, p. 110. 148 Ivi, p. 111. 149 Ivi, p. 123.
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“No, non è per via di quello.” “Dell’altra cosa?”
“Quale?” domanda Michael Richard. “Non capisco,” dice lei, “non saprei”»150.
Anne-Marie Stretter resiste, tace, si trincera nel silenzio, fino quasi a dissuadere Charles Rosset dall’insistere. La donna conclude:
«“Vede,” dice lei. “Se mi costringessi a vederlo, Michael Richard non me lo perdonerebbe, né altri
del resto… posso essere quella che è qui con lei solo… perdendo tempo così… vede.” “È tutto quanto c’è qui,” dice Michael Richard ridendo, “Anne-Marie, nient’altro.” “È per via di che cosa?” ricomincia Charles Rosset.
“Della nostra tranquillità di spirito,” dice lei»151.
Anne-Marie Stretter rifiuta di vedere il viceconsole perché questo incontro turberebbe la tranquillità di spirito. Di chi? La donna dice la «nostra tranquillità di spirito». «Nostra» di chi? Sua e degli amanti. Di nuovo Anne-Marie Stretter riesce ad evitare di rispondere in prima persona, per sé soltanto, ma finge di sentirsi in obbligo, verso il mondo civile dell’ambasciata e verso la cerchia dei suoi amanti, di comportarsi in modo tale da conservare la loro tranquillità d’animo, che l’incontro con il viceconsole turberebbe. Lei si fa scudo di questa preoccupazione di essere così come gli altri la vogliono, che, d’altra parte, lei stessa sembra considerare vacua: tale preoccupazione, dice infatti, consiste nel «perdere […] tempo». La vita della donna al centro dell’attenzione e dell’amore di tutti all’ambasciata è dunque una perdita di tempo, è una vita che per lei stessa non ha senso. Esattamente come il viceconsole nella foto, Anne-Marie Stretter si concede inerme agli altri, si mostra così come la desiderano, desiderabile e allo stesso tempo triste152. Lei ha disertato la propria vita e, come scrive Marcelle Marini, continua a recitare
una sorta di mascherata153. Tale alienazione ha un effetto ambiguo: da una parte, infatti, questa
mascherata le consente di essere integrata, seppure secondo il desiderio degli altri e non secondo il proprio, all’interno della società dell’ambasciata. D’altra parte, però, tutto ciò che la donna tace riemerge sotto forma di lacrime, che montano senza una ragione apparente, di un dolore, di cui Charles Rosset ha intuito il significato mortifero, e di silenzio, con cui, come si è già visto, lei si sottrae al linguaggio degli uomini. A volte Anne-Marie Stretter piange, tace, dorme: come il viceconsole e come Lol V. Stein, anche lei “fa la morta” nel cuore della società dell’ambasciata e del circolo dei suoi amanti. Offre agli altri un’immagine di sé che gli altri desiderano, ma in cui lei non c’è. Anne-Marie Stretter, dunque,
150 Ibidem. 151 Ivi, p. 123-124.
152 Nell’accostamento di questi due aggettivi sta tutto il fascino di Anne-Marie Stretter, ma anche una profonda violenza nei
suoi confronti. Anne-Marie Stretter è affascinante perché è bella e triste. Se lei liberasse le ragioni della sua tristezza potrebbe forse diventare inquietante. La sua bellezza rende tollerabile la sua tristezza, difende da quest’ultima. Se la sua bellezza viene mantenuta, ciò significa che lei ha ancora le forze per contenere la tristezza. D’altra parte la tristezza sembra portare con sé un “di più” di senso, oltre la semplice bellezza, una verità forse inaccettabile, che la bellezza rende invece accettabile. Gli amanti, languidi e dalla sensibilità raffinata, la vogliono così, bella e triste, custode di una verità, di cui essi in fondo non vogliono occuparsi e da cui, piuttosto, lei li deve difendere.
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dov’è? Dove si svolge la sua vera vita? Impossibile dirlo. È forse racchiusa nel buio del sonno e del silenzio, in quel dolore che è troppo antico per essere pianto e di cui lei stessa non sa dire nulla.
Eppure, forse, alla fine di questo capitolo del romanzo, si può trovare un’indicazione. Dopo aver pianto Anne-Marie Stretter si addormenta. Gli uomini allora escono.
«Mentre attraversano il parco, una canzone si leva d’improvviso, abbastanza lontano, che deve venire dall’altra riva dell’isola. Sì, l’isola è stretta e lunga, Michael Richard riconosce la voce.
“È quella donna di Savannakhet,” dice, “è vero ,si direbbe che la segua»154.
Poco dopo, quando gli uomini sono ormai usciti dal parco, Anne-Marie Stretter si risveglia:
«Escono dal parco. Una porta si apre dietro di loro nella casa. Anne-Marie Stretter esce, non li vede dietro il cancello, si avvia calma verso il mare.
“È stata sicuramente la canzone a svegliarla,” dice Michael Richard.
Si vedono nel mare, lungo le spiagge, i grossi pali di cemento che fissano i reticolati.
Lei non va fino alla spiaggia, si distende nel viale, con la testa sul palmo della mano, i gomiti puntati a terra, nella posa di una lettrice, raccoglie sassolini e li getta lontano. Poi non getta più i sassolini, allunga un braccio, appoggia il viso su quel braccio teso e rimane lì»155.
Anne-Marie Stretter si risveglia al canto della mendicate, canto che viene dalla direzione del mare, fuori dalle recinzioni della villa. Il canto della mendicante, che viene dal mare, sembra quasi avere la funzione di un richiamo irresistibile, che la risveglia. La risveglia a cosa? Impossibile dirlo. Sicuramente non la fa tornare alla sua “mascherata”; la donna, infatti, non va sulla spiaggia, non raggiunge gli uomini, ma si stende sul viale e rimane lì. Emerge di nuovo una grande somiglianza fra quest’immagine e la foto del viceconsole: una donna distesa a non far niente davanti al mare. Il risveglio di Anne-Marie Stretter che, interpretato in questo modo, potrebbe sembrare il preludio di un cambiamento e di una trasformazione, si rivela essere, invece, un nuovo risveglio al suo dolore, che rimane ancora muto: lei si stende a terra e rimane lì. Il canto della mendicante allora dà voce al dolore di Anne-Marie Stretter?
Da questo momento in poi la donna non avrà più voce nel romanzo.
All’inizio del capitolo seguente Charles Rosset la vede fare il bagno nel mare:
«lei nuota, galleggia sull’acqua, annega a ogni onda, addormentata forse, o piangente nel mare. […] Sono forse le lacrime che privano della persona?».156
Anne-Marie Stretter, infine, raggiunge il mare, vi si immerge. Le sue lacrime si confondono con l’acqua salata del mare, il suo dolore sembra perdersi in un dolore più grande che, come dice Charles Rosset, cancella ogni particolarità personale, per scioglierla in una generalità più vasta. La somiglianza fra il viceconsole e Anne-Marie Stretter risulta evidente, dunque, anche per quanto riguarda ciò che essi stessi non riescono a dire, il loro impossibile: per entrambi esso viene rappresentato da un mare in cui perdersi. L’esito della loro vicenda rimane sospeso: perdersi nel mare può significare, infatti, trovare un
154 Marguerite Duras, Il viceconsole, cit., p. 126. 155 Ibidem.
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riposo accogliente dal dolore, ma anche annegare in quello stesso dolore, precipitare nella follia e nel silenzio.
Tale somiglianza è sancita esplicitamente da alcuni pensieri che Charles Rosset fa mentre cammina sulla spiaggia, dopo aver visto nuotare Anne-Marie Stretter:
«A proposito, a chi somigliava, il viceconsole di Lahore?
La fatica è ritornata, lui avanza a stento. Un vento caldo comincia a spirare sulla Mesopotamia del gange, piccola cosa. Sono ancora ubriaco, pensa Charles Rosset.
Sente la risposta: A me, dice Anne-Marie Stretter»157.
Anne-Marie Stretter e il viceconsole vivono, dunque, entrambi in una condizione che potremmo chiamare di alienazione, per la quale essi si trovano “costretti” a condurre una vita che non appartiene loro, in cui entrambi muoiono al loro desiderio. La costrizione che subiscono o accettano deriva dal fatto che, da un lato, il loro desiderio sarebbe socialmente inaccettabile e, dall’altro, che tale desiderio è ingestibile o impossibile da dire. Cos’è diventato il loro desiderio? Tenendo fermo il riferimento all’immagine del mare, esso potrebbe essere indicato come il desiderio di perdervisi dentro. Come si è già visto un simile desiderio si offre a interpretazioni ambivalenti. Rimane il fatto che un simile desiderio significa forzare i limiti della propria soggettività particolare, del linguaggio che la costituisce, forzare i limiti di ciò che distingue la vita dalla morte, la singolarità dal tutto. In ogni caso si tratta di un’apertura su qualcosa che sembra impossibile.
Fuori da questi limiti, da queste recinzioni, c’è il mare, la follia o una forma di libertà, il compimento del linguaggio (la musica? il canto?) o il silenzio, una vita vera o la morte. O la mendicante.
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