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La sensibilità e “l’ombra interna”

7.12 «Non si sbaglia mai più»

7.13. La sensibilità e “l’ombra interna”

Ciò che, nei paragrafi precedenti, è stato indicato come “sensibilità” probabilmente si avvicina a quella dimensione che, in numerose occasioni, Duras chiama “l’ombra interna”. Si è già visto, nel capitolo precedente, relativo all’infanzia, che cosa la scrittrice intenda per “ombra interna”: si tratta di qualcosa come un’interiorità, una cavità in cui la vita vissuta risuona e viene rivissuta, senza per questo essere fermata. Tale interiorità è una camera d’echi e di ombra del reale, che si lascia attraversare dal suo passaggio e lo fa risuonare, senza fermarlo. Tale interiorità è “scrittura”.

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Per il fatto stesso di essere qualcosa come un’interiorità, l’ombra interna si lega alla soggettività. Tale soggettività, però, come si è visto, per Duras non è affatto chiusa: l’ombra interna è «un dato comune»230, apre a una dimensione impersonale dell’esperienza.

Se questo è vero, come è possibile associare l’immagine dell’ombra interna alla sensibilità della mendicante indiana, dal momento che la follia di quest’ultima ha completamente distrutto la sua soggettività?

Secondo Duras con la scrittura si tratta di scalfire l’integrità dell’ombra interna, di portare all’esterno ciò che avviene nell’interiorità. Questo far luce nell’ombra interna è un processo che non sarà mai completo e totale. In un’intervista del 1967, però, la scrittrice dice:

«Oppure si fa completamente luce e si è pazzi. I pazzi operano fuori la conversione della vita vissuta. La luce illuminante che penetra in loro non ha scacciato l’ombra interna, ma ne ha preso il posto. Solo i pazzi scrivono

completamente»231.

Forse questo è proprio il caso della mendicante folle di Calcutta. Nella sua follia, la sua interiorità non è scomparsa, ma si è completamente rovesciata all’esterno. La sua interiorità non è più un’ombra, ma arriva a sovrapporsi all’intera esperienza del corpo e del mondo esterno. È così che l’esperienza del reale viene interamente intessuta di relazioni allo stesso tempo materiali e “spirituali”. In questo senso la sensibilità della mendicante appare allo stesso tempo come la negazione, ma anche come l’espressione più trasparente di ciò che Duras intende per ombra interna.

In questo modo, dato che l’ombra interna è scrittura, la mendicante diviene una figura mitica della scrittura, del mito di una scrittura totale: “solo i pazzi scrivono completamente”, afferma Duras, designando indirettamente la mendicante come il luogo di una scrittura totale a cui l’autrice stessa evidentemente mira come limite estremo della propria capacità di scrivere.

230 Marguerite Duras, Voci off, in Edda Melon (a cura di), Duras mon amour 2, cit., p. 211. 231 Ivi, p. 210.

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8. L’AMORE

Nel 1971 Marguerite Duras pubblica un’opera intitolata L’amore232; si tratta di un testo molto oscuro e, a una prima lettura, quasi indecifrabile. L’azione, infatti, è molto scarna, i personaggi non hanno un nome e si riferiscono a un passato che, però, non viene mai raccontato. Rimane tuttavia il nome del luogo in cui è ambientata la vicenda: S. Thala. Anche se scritto con una grafia leggermente diversa, questo nome ricorda quello della città in cui è ambientato Il rapimento di Lol V. Stein, S. Tahla. Questa ricorrenza può aiutare a decifrare il testo.

Un uomo, che viene designato come «il viaggiatore», arriva a S. Thala e vede una donna seduta contro un muro davanti al mare e un altro uomo, il «pazzo», che cammina e descrive imperscrutabili tragitti sulla spiaggia. A partire dai dialoghi frammentari e allusivi di questi personaggi si può avanzare l’ipotesi che la donna sia Lol V. Stein e il viaggiatore Michael Richardson. Quest’ultimo sembra essere tornato a S. Thala per uccidersi; inaspettatamente, ritrova Lol V. Stein e non si uccide più. La donna è diventata folle, vive sulla spiaggia e vicino a lei c’è sempre il pazzo. Ben presto nel testo si viene a sapere che lei è incinta. Si dice anche che rimanga spesso incinta di non si sa chi, che sia la madre di molti figli, che lei fa e che qualcuno, poi, viene a prendere.

Qualche giorno dopo il viaggiatore incontra un’altra donna dai capelli neri tinti che, presumibilmente, è Tatiana Karl. L’atmosfera sospesa viene interrotta dall’arrivo a S. Thala della moglie e dei figli del viaggiatore, che sono venuti a cercarlo per riportarlo a casa. L’uomo saluta i figli per l’ultima volta e abbandona definitivamente la moglie.

Il viaggiatore e la donna, che forse è Lol V. Stein, parlano spesso di un viaggio che devono fare al Casinò di S. Thala. I due, infine, vanno, ma lei rimane fuori sulla spiaggia a dormire, mentre lui entra e rivede una sala da ballo, probabilmente quella in cui lui aveva tradito Lol con Anne-Marie Stretter. La notte seguente il viaggiatore e la donna si stendono sulla spiaggia. Lei dorme e lui la guarda dormire. Dopo poco li raggiunge qualcuno, probabilmente il pazzo, di cui non rimane che la voce, una voce che parla al viaggiatore del sonno e dei risvegli della donna.

La ricostruzione delle vicende de L’amore, proposta qui, sulla scorta delle indicazioni offerte da Angelo Morino nella sua Postfazione alla traduzione italiana dell’opera, può essere attendibile, ma, in ogni caso, come sottolinea lo stesso Morino, non esaurisce affatto le suggestioni del testo e i punti oscuri, le lacune di senso, da cui è attraversato:

«attraverso il recupero di quei nomi, il testo si fa più decifrabile e, al tempo stesso, […] l’assenza di nominazione vi diventa più significativa: conseguenza di una precisa esigenza…»233.

L’esigenza è forse quella di corrispondere a un universo, qual è quello che Duras crea in L’amore, pervaso dalla follia, in cui i nomi e le identità si perdono del tutto.

232 Marguerite Duras, L’amore, tr. it. di Angelo Morino, Mondadori, Milano 1989. 233 Angelo Morino, Postfazione, in Marguerite Duras, L’amore, cit., p. 99.

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8.1. S. Thala

Anche l’unico nome che si è salvato, quello della città, non indica più un luogo particolare:

«L’uomo che cammina mostra intorno a sé la totalità, il mare, la spiaggia, la città azzurra, la bianca capitale, dice:

― Qui, è S. Thala fino al fiume.

Il suo movimento si ferma. Poi il movimento riprende, mostra di nuovo, ma più precisamente, sembra, la totalità, il mare, la spiaggia, la città azzurra, quella bianca, poi altre, altre ancora: la stessa, aggiunge:

― Dopo il fiume è ancora S. Thala»234.

I confini sfumano in una serie di contraddizioni: S. Thala è fino al fiume e dopo il fiume è ancora S. Thala. Tutte le città sembrano essere S. Thala. Tutte le città sembrano essere la stessa: ovunque ci sarebbe la stessa follia. La follia di S. Thala ha invaso tutto lo spazio e non è più possibile distinguere i confini.

S. Thala, dunque, non è quasi più il nome di una città, ma è il nome di una follia, legata a quella città, che ha eroso quasi completamente ogni distinzione. La follia ha avuto il sopravvento sul luogo e gli ha preso il nome. Questo nome, come la parola Battambang della mendicante, non ha nemmeno la funzione di un simbolo, non comunica più nulla né racconta una storia, perché è il nome di una follia che tende a cancellare la propria origine e l’identità dei folli stessi.

Se questa follia erode i confini, da essa e dalla città non è possibile uscire né entrare:

« ― Non è possibile superare S. Thala, non è possibile entrarci»235.

I personaggi, quindi, continuano a vagare inquieti in questo spazio indefinito, da cui non riescono a uscire, ma in cui non possono nemmeno entrare.

Come si può rendere conto di questa impossibilità?

La contraddizione può diventare meno oscura leggendo un dialogo fra il viaggiatore e il pazzo su S. Thala:

« ― Prigione fuori dei muri. ― Appunto.

― Dentro i muri c’è il delitto? Lui risponde distratto: ― Il delitto eccetera»236.

In questo dialogo sembra possibile operare almeno una distinzione fra un dentro e un fuori. Dentro alle mura di S. Thala c’è il delitto: poiché uno degli interlocutori è probabilmente Michael Richardson, si può supporre che il delitto cui egli si riferisce sia il tradimento di Lol V. Stein. Si è visto in precedenza, però, che per la donna, il momento più acuto della sofferenza non era stato tanto il tradimento, quanto piuttosto l’arrivo dell’aurora, che l’aveva separata dalla nuova coppia di amanti. L’assassinio è stato, dunque, l’assassinio del desiderio impossibile di Lol di continuare a essere una spettatrice esclusa.

234 Marguerite Duras, L’amore, cit., p. 15. 235 Ivi, p. 21.

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Questo significa che dentro le mura della sala da ballo non si può tornare nemmeno per rivivere quella scena e finalmente liberarsene, come capita, ad esempio, alla protagonista di Hiroshima mon amour, perché quella scena non si è mai realizzata del tutto. Dentro non si può realizzare la propria sparizione né la propria esclusione: si è costretti a continuare a vivere fuori. Per questo il fuori è una prigione. Continuare a vivere fuori, comunque, significa essere esclusi dal dentro. L’esclusione, però, è il cuore della scena desiderata dentro. Si innesca così una vertigine per cui non è possibile stabilire se si è dentro o fuori. S. Thala è ovunque.

S. Thala è una città che si affaccia sul mare, la cui presenza è costante e ossessiva in tutto il testo. L’architettura della città è stratificata: ci sono zone con edifici nuovi e bianchi, ma ci sono anche edifici che portano i segni di una guerra passata e dei bombardamenti.

L’atmosfera di S. Thala è angosciosa. Accadono degli avvenimenti che incutono paura, ma di cui non è possibile cogliere l’origine, la localizzazione né gli effetti. Si sentono spesso delle grida, che provengono da qualche parte nella spiaggia, scoppia un incendio, che sembra spostarsi da un punto all’altro della città, e delle sirene suonano in continuazione. Inoltre c’è un rumore costante a S. Thala, che non è il rumore del mare, ma un non meglio definito «rodimento incessante»237. La donna, in

particolare, continua a sentirlo. Di tutti questi avvenimenti non si colgono che i resti: dell’incendio si vedono solo alcune chiazze nere sulla spiaggia, del bombardamento non rimangono che i resti di un edificio, delle tempeste non si vedono che i cadaveri degli uccelli sulla spiaggia, una volta che la perturbazione è passata. Tutto è già accaduto o sta per avvenire. La vicenda si costruisce su dei resti.

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