SECONDA PARTE LA FOLLIA
7. LA MENDICANTE INDIANA
7.3. Piani di lettura
La storia della mendicante è la storia di un viaggio che si origina a partire da una separazione irrevocabile: la separazione dalla madre.
La madre della mendicante caccia la figlia perché è rimasta incinta:
«Nel sonno, la madre, con un randello in mano, la guarda: Domani all’alba, vattene via, vecchia bambina gravida che invecchierà senza marito, il mio dovere è nei confronti dei vivi che un giorno ci abbandoneranno… vattene lontano…non devi assolutamente ritornare… assolutamente… vattene molto lontano, così lontano che io non possa neppure minimamente immaginare il posto in cui sarai…»163.
La scena è presentata come se fosse un incubo: la mendicante viene cacciata mentre dorme. Questo particolare, appena accennato, dà alla scena un’atmosfera onirica e sfuma già dall’inizio i contorni di questa storia, che si inoltra in una scivolosa zona di confine fra la realtà, il sogno, l’immaginazione e il pensiero. La separazione, a partire dalla quale inizia il viaggio della mendicante, ha, dunque, una profonda valenza simbolica.
Danielle Bajomée, nel suo libro Duras ou la douleur, mostra come l’opera della scrittrice sia interamente attraversata dal dolore della separazione rispetto a una pienezza d’essere impossibile e perduta per sempre:
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«Les textes mettent en relief, littéralement et latéralement, le déchirement tragique de l’éveil à soi […]. Distinguer, départager, voilà l’horreur de la condition humaine»164.
Una delle figure simboliche di tale pienezza d’essere, secondo Bajomée, è quella (androgina) del bambino nell’utero materno, prima della nascita (figura che renderebbe conto dell’insistenza di Duras sui personaggi delle madri e sul loro sostituto, il mare). La nascita stessa si configura così come una separazione dolorosa. Duras è molto esplicita a questo proposito:
«L’accouchement, je le vois comme une culpabilité. Comme si on lâchait l’enfant, qu’on l’abandonne. […] La sortie de l’enfant,
qui dort. C’est la vie qui dort, complétement, dans une béatitude incroyable, et qui se réveille. […] Le premier signe de vie, c’est le
hurlement de douleur. […] C’est de cris d’égorgé, des cris de quelqu’un qu’on tue, qu’on assassine. Les cris de quelqu’un qui ne veut
pas»165.
E possibile notare un elemento comune fra l’evento della nascita, così come è descritto da Duras in questa intervista, e la cacciata della mendicante da parte della madre: sia il bambino che sta per nascere sia la giovane mendicante stanno dormendo e vengono bruscamente risvegliati per essere irrimediabilmente separati dalla madre. La somiglianza fra questi due eventi suggerisce la possibilità di leggere la cacciata della mendicante come una nascita. Si può dire, quindi, che, nel complesso intreccio della scena all’origine del viaggio della mendicante sia in gioco il limite ambiguo di una separazione che può essere interpretata sia come un abbandono sia come una nascita. Se, da una parte, nascere significa perdere la pienezza d’essere, essere abbandonati e condannati alla separazione, d’altra parte nascere significa anche staccarsi e differenziarsi dall’origine.
Nel caso della mendicante, la separazione della madre avviene nel momento in cui lei stessa si è rivelata “in grado” di diventare a sua volta origine: come la madre è l’origine per la mendicante, così la mendicante potrebbe essere l’origine per la propria bambina. Non è questo, però, l’elemento che determina la separazione tra la madre e la figlia; esso disegnerebbe piuttosto una linea di continuità fra le due donne. Loro potrebbero, infatti, riconoscersi entrambe in questa facoltà di poter essere origine, nell’immagine della maternità. Ciò che determina la separazione è piuttosto il modo in cui la possibilità di diventare madre si è realizzata per la figlia. La ragazza è rimasta incinta all’età di quattordici anni. Per la madre questo avvenimento è un disonore inaccettabile, che mette in discussione una particolare rappresentazione (socio-simbolica) della maternità, verso la quale lei si sente obbligata. La madre dice infatti che il suo dovere «è nei confronti dei vivi che un giorno ci abbandoneranno». Il suo dovere è verso gli altri, verso una società per la quale ciò che è avvenuto è un disonore.
164 Danielle Bajomée, Duras ou la douleur, De Boeck – Wesmael, Bruxelles 1989, p. 100. (“I testi mettono in
rilievo letteralmente o lateralmente, lo strappo tragico del risveglio a sé […] Distinguere, dividere, ecco l’orrore della condizione
umana” Tr. mia)
165 Marguerite Duras, Michelle Porte, Les lieux de Marguerite Duras, Les Éditions de Minuit, 1977, p. 23. («Il parto, io lo vedo
come una colpa. Come se si lasciasse il bambino, come se lo si abbandonasse. […] L’uscita del bambino, che dorme. E la vita che dorme, completamente, in una beatitudine incredibile, e che si risveglia. […] Il primo segno di vita è un urlo di dolore. […] Sono delle grida di qualcuno che è stato sgozzato, di qualcuno che viene ucciso, assassinato. Le grida di qualcuno che non vuole ». Tr. mia)
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Nello sdegno della madre della mendicante, che insulta la figlia chiamandola «vecchia bambina gravida che invecchierà senza marito», è possibile riconoscere la stessa rabbia che muove la mano della madre di Suzanne in Una diga sul pacifico. In questo romanzo, la madre si preoccupa di trovare per la figlia un marito facoltoso, che le possa garantire una vita libera dalle ristrettezze economiche. Per questa ragione la donna favorisce la frequentazione tra Suzanne e un uomo poco affascinante, ma molto ricco, M. Jo. La madre insiste molto con quest’ultimo sul fatto che egli non potrà avere Suzanne se prima non l’avrà sposata. Quando la madre scopre che M. Jo ha regalato alla figlia un preziosissimo anello, viene sopraffatta dall’ira e picchia duramente la figlia, nella convinzione che quest’ultima si sia concessa all’uomo:
«La cosa era scoppiata quando Suzanne era andata via da tavola. Ella [la madre] si era finalmente alzata. S’era gettata su di lei e l’aveva colpita coi pugni, con tutta la forza che ancora le restava. Con tutta la forza del suo diritto, con tutta la forza, uguale, del suo sospetto. […]
- Dimmelo e ti lascio stare.
- Non sono andata a letto con lui, me l’ha dato così, non gliel’ho nemmeno chiesto, me l’ha fatto vedere e me l’ha regalato così, per niente»166.
In questo romanzo, le ragioni dell’attaccamento della madre al matrimonio non sono di natura morale o religiosa, ma sono piuttosto legate a una consuetudine sociale. La madre vorrebbe assicurare alla figlia un futuro economicamente e socialmente rispettabile. Secondo lei è possibile raggiungere questo stato solamente cercando di rispettare le consuetudini della “buona società”. Il rapporto della madre con queste consuetudini, però, è ambiguo, dal momento che la società, a cui esse appartengono, le ha rovinato la vita con la vicenda della diga. La madre, dunque, pur non condividendo le regole di una simile società, tuttavia le accetta, fino a negare se stessa, e vorrebbe imporle alla figlia.
Molti anni più tardi, in L’amante, Duras ritornerà su questi scoppi di ira della madre contro di lei:
«Improvviso spavento nella vita della madre. La figlia corre il pericolo più grave, quello di non sposarsi, di non avere un posto nella società, di rimanere vulnerabile, perduta, sola. Nelle sue crisi, mi si butta addosso, mi rinchiude in camera, mi dà pugni, schiaffi, mi spoglia, mi si avvicina, mi annusa, […] e urla, da farsi sentire in tutta la città, che sua figlia è una prostituta, che lei la sbatterà fuori di casa, che vorrebbe vederla crepare, che nessuno la vorrà più, che è disonorata, che è peggio di una cagna. Piange chiedendosi che cosa può farne, se non cacciarla di casa perché non appesti tutto»167.
In Una diga sul Pacifico e in L’amante, testi scritti rispettivamente prima e dopo Il viceconsole, ritorna, dunque, la scena di una madre che picchia la figlia e che vuole cacciarla di casa per il timore e il sospetto che lei si sia concessa a un uomo. La scena in questione, anche se non è uguale, ricorda molto quella de
Il viceconsole. Dal momento che Una diga sul Pacifico e L’amante sono due testi più o meno esplicitamente autobiografici, si può supporre che anche la storia della mendicante abbia delle implicazioni autobiografiche per l’autrice. Nella relazione fra la mendicante e la madre, Duras offre probabilmente una rielaborazione del rapporto con la propria madre. Oltre a questo, tenere conto del lato autobiografico di questa vicenda potrebbe consentire di leggere in questa luce anche il viaggio della
166 Marguerite Duras, Una diga sul Pacifico, cit., p. 118. 167 Marguerite Duras, L’amante, cit., p. 66.
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mendicante. Esso, infatti, potrebbe essere interpretato come un percorso di liberazione. In che senso? Di quale liberazione si tratta?
Per provare a rispondere a queste domande, ci si può riferire nuovamente a Una diga sul Pacifico e a
L’amante. In entrambi questi romanzi la figlia esprime con forza il desiderio e la necessità di allontanarsi dalla madre, di liberarsi di lei. In Una diga sul Pacifico si legge:
«bisognava anzitutto liberarsi dalla madre, la quale non sapeva comprendere che nella vita si potevano acquistare la propria libertà, la propria dignità, con armi ben diverse da quelle ch’ella aveva creduto buone»168.
Questa liberazione in L’amante si lega esplicitamente alla scrittura:
«Le ho risposto che innanzitutto volevo scrivere, solo scrivere, null’altro. Ne è gelosa. Nessuna risposta, una rapidissima occhiata, un’impercettibile alzata di spalle, indimenticabile. Così io me ne andrò per prima. […] Mi guarda e mi dice: tu forse ne verrai fuori. Giorno e notte quell’idea fissa. Il difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi dalla condizione in cui si è»169.
Se la storia della mendicante in Il viceconsole ha delle implicazioni autobiografiche indirette, che nel testo vengono omesse o trasfigurate, il riferimento a Una diga sul Pacifico e a L’amante consente invece di metterle in evidenza e di leggerne la trasfigurazione.
Il desiderio di liberazione della figlia, nei due romanzi citati, dà origine a due esperienze diverse: l’amore e la scrittura.
Nonostante le proibizioni della madre, alla fine di Una diga sul Pacifico Suzanne si concede a un ragazzo della pianura, Jean Agosti. La ragazza, però, non lo sposa, ma lo abbandona per seguire il fratello e la sua compagna, una volta che la madre è morta.
In L’amante la relazione con l’uomo cinese assume esplicitamente i caratteri di una liberazione:
«L’immagine comincia molto prima che lui abbordi la ragazzina bianca appoggiata al parapetto, nel momento in cui è sceso dalla limousine nera, quando ha cominciato ad avvicinarsi a lei, e lei lo sentiva, sapeva che era impaurito. […]
Lei sa anche qualcos’altro, che è giunto ormai il momento in cui non può più sottrarsi agli obblighi che ha verso se stessa e che di ciò la madre non deve sapere nulla, e neppure i fratelli. Lo ha capito quel giorno. Appena è salita sull’auto nera l’ha saputo, si sente lontana da quella famiglia, per la prima volta e per sempre»170.
Poche pagine più avanti, quando la bambina è già nella garçonnière dell’amante cinese si legge:
«L’immagine della donna con le calze rammendate ha attraversato la camera. Ha una figura di bambina. […] La madre non ha mai conosciuto il piacere. […]
Mi domando come ho trovato la forza di fare la cosa proibita da mia madre con tanta calma e tanta determinazione. Come ho potuto andare “fino in fondo”»171.
La relazione con l’amante cinese assume il carattere di una presa di distanza dalla madre: la bambina inizia a descrivere un percorso diverso rispetto a quello della madre, un percorso proibito da quest’ultima.
168 Marguerite Duras, Una diga sul Pacifico, cit., p. 159. 169 Marguerite Duras, L’amante, cit., pp. 30-31. 170 Ivi, p. 43.
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Marcelle Marini, nel suo libro Territoires du féminin, interpreta in questo senso la storia della mendicante in Il viceconsole. Nel viaggio della mendicante, infatti, sarebbe in gioco la possibilità di liberarsi da una rappresentazione del sesso e del desiderio femminili imposta da un ordine socio- simbolico maschile, che la madre ha subito e anche accettato. La lettura della studiosa ha sullo sfondo in particolare la riflessione che Luce Irigaray conduce nel suo libro Speculum, in cui quest’ultima rivela polemicamente la natura fallocentrica del sistema socio-simbolico maschile. Quest’ultimo, organizzato, nei termini della riflessione lacaniana, attorno al significante fallo, definisce il sesso femminile come quello che manca del fallo. Al sesso femminile non viene, dunque, riconosciuta la possibilità di articolare il proprio desiderio autonomamente rispetto a quello maschile. Dal momento che, inoltre, il significante fallo è il simbolo di riferimento della legge, dell’ordine, del linguaggio e del mondo umano, il femminile viene associato a un angosciante quanto impotente elemento di disordine, consegnato al silenzio e legato a una dimensione materiale, corporea e quasi inumana dell’esistenza. Nella storia della mendicante, quindi, secondo Marini è in gioco la possibilità di liberarsi da una madre, vittima e complice dell’ordine socio-simbolico maschile, per porsi come soggetto di un desiderio femminile autonomo. In questo tentativo, secondo Marini, ne va anche della possibilità di un discorso e di una parola femminili, autonomi rispetto a quelli maschili.
Più in generale e in un senso diverso da quello indicato da Marini, si può dire che nella storia della mendicante ne vada della scrittura. Si è detto che in L’amante l’altra esperienza, originata dal desiderio di liberazione, oltre all’amore, è la scrittura. Il viaggio della mendicante può essere allora letto come il percorso della scrittura, un percorso che si dirige verso un ignoto e, forse, verso la follia.
Nel libro che Peter Morgan sta scrivendo sulla mendicante, si trovano delle espressioni e delle immagini che Duras impiega anche altrove per parlare della propria scrittura. Il libro di Peter Morgan allora non è solo un libro sulla storia della mendicante, ma è anche un libro in cui Duras parla della mendicante come se parlasse della propria scrittura. La mendicante può apparire così come una figura della scrittura stessa e il suo viaggio può essere letto come il percorso della scrittura. La storia della mendicante e il libro di Peter Morgan possono, dunque, essere considerati dei luoghi in cui la scrittura di Duras riflette su se stessa.