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L’io nelle opere autobiografiche di Duras

CONFRONTO TRA LA SCRITTURA DI MARGUERITE DURAS E LA RIFLESSIONE DI MAURICE BLANCHOT

3.2. L’io nelle opere autobiografiche di Duras

Anche per Marguerite Duras la scrittura comporta uno spostamento all’esterno di ciò che è più intimo e, come per Blanchot, ciò che è più intimo risulta inappropriabile. Da questa separazione di sé da sé si origina, secondo Blanchot, il passaggio dall’io all’egli nella scrittura letteraria. Rimane il fatto, però, che Duras, in particolare nelle sue opere autobiografiche, ha parlato in prima persona della propria esperienza. Come si è già visto, la scrittrice rivendica un valore di verità per questi testi; anche la scelta di scrivere in prima persona va sicuramente in questa direzione. Delle stesse vicende, però, nell’opera durassiana esistono numerose versioni diverse; questa pluralità ha origine dalle trasfigurazioni che esse hanno dovuto subire per poter essere scritte, come nel caso di Una diga sul Pacifico, dalla lunga gestazione de L’amante e dall’occasione che ha costituito lo spunto per la composizione de L’amante della

Cina del Nord, scritto in risposta polemica al film di Jean Jacques Annaud, tratto da L’amante. Ci sono anche ragioni più profonde che motivano questa pluralità di versioni, come il lavoro della memoria e dell’oblio, il tentativo disperato e senza fine di restituire l’esperienza. Possono essere molte le ragioni di questa continua riscrittura delle vicende della propria infanzia e Duras depista il lettore in ogni modo, rendendo impossibile fornire una risposta univoca a tale questione. Per il momento, quindi, basti tenere conto del fatto che, nelle opere precedenti a L’amante, Duras aveva già approfondito la crisi dell’identità soggettiva. Il fatto di scrivere in prima persona, nella consapevolezza della problematicità di questa scelta, è, dunque, il segno di una differenza nell’esperienza e nella pratica della scrittura tra Duras e Blanchot.

Per capire il carattere di questa differenza è utile accostare il testo de L’amante da vicino. L’impressione che emerge già a una prima lettura è quella di essere testimoni di un processo di rimemorazione, che avviene sotto gli occhi del lettore, paragrafo per paragrafo. Al lettore viene dunque presentata una ricostruzione delle vicende non oggettiva, ma che lo attrae, affascinandolo, all’interno di una narrazione caratterizzata da forti discontinuità temporali e spaziali. Da un punto di vista formale, questa impressione è favorita dalla divisione del testo in paragrafi, che non seguono strettamente l’ordine cronologico delle vicende e rispondono anche ad esigenze diverse rispetto a quella della ricostruzione della vicenda autobiografica. Inoltre, la scrittrice usa il tempo presente anche quando parla

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degli episodi della sua infanzia. L’utilizzo del presente storico, in generale, ha l’effetto di avvicinare il lettore alle vicende narrate, accorciando drasticamente la distanza, a cui lo porrebbe il tempo passato. Nel caso de L’amante, però, l’effetto è più complesso, perché si innesta su una costruzione del testo particolare. Nell’opera la scrittrice lascia, infatti, confluire almeno tre diverse forme di presente: il presente della mano che scrive i ricordi legati alla foto, il presente del lavoro della memoria, e il tentativo dell’autrice di ricordare, di rendersi presente nel tempo, ormai passato, a cui la foto rimanda. Un simile intreccio temporale è riconoscibile in questo passo, in cui Duras parla del suo abbigliamento durante la traversata del fiume, nel corso della quale incontrò l’amante cinese:

«Ho un vestito di seta naturale, lisa, quasi trasparente, prima era di mia madre, un giorno ha smesso di portarlo perché le sembrava troppo chiaro, e me lo ha regalato. […] Ricordo quel vestito. […] Non ricordo le scarpe che avevo in quegli anni, ricordo solo qualche vestito. […] Quel giorno dovevo avere quel famoso paio di scarpe di lamé dorato, con i tacchi alti. Non so che altro avrei potuto calzare quel giorno, allora porto quelle, saldo di saldi che mi ha comprato mia madre. Porto scarpe di lamé per andare al liceo, vado al liceo con scarpe da sera decorate con un motivo di strass. Sono io che lo voglio. Mi accetto solo con quel paio di scarpe e anche ora voglio vedermi così, sono le prime scarpe con il tacco della mia vita, sono belle, hanno eclissato tutte quelle che le hanno precedute, scarpe per correre e per giocare, basse, di tela bianca»85.

Nella scrittura de L’amante Duras disloca l’io narrante in tempi e luoghi differenti, tenuti assieme solo nello spazio della scrittura e dell’opera. L’io narrante, quindi, si rivela stratificato. Nei salti da un presente all’altro e da una dimensione dell’io all’altra, l’unità e la coerenza dell’io si sfaldano. Il fatto che anche nei brani scritti in prima persona emerga l’impossibilità dell’io che scrive di identificarsi completamente con se stesso conferma che la scrittura autobiografica di Duras non riesce a fondare o recuperare un’identità soggettiva forte. Il valore dell’utilizzo della prima persona singolare ha una portata diversa, che va ricercata altrimenti.

Se si va a vedere quali sono i brani in cui avviene esplicitamente il passaggio dalla prima alla terza persona singolare, ci si accorge che sono quelli legati alla dimensione del desiderio sessuale e dell’amore. Questa dimensione risulta radicalmente inappropriabile e impossibile da scrivere in prima persona. Si tratta, forse, di quei «periodi nascosti», di quei «fatti, sentimenti, eventi» che la scrittrice aveva dissimulato fino ad allora e che una forma di «pudore» rende ancora difficilmente comunicabili. Rimane il fatto che quel passaggio avviene in concomitanza con l’emergere nel testo della dimensione del desiderio.

Il passaggio “dall’io all’egli” nel caso di Duras si declina al femminile come passaggio dall’io all’ella, a

lei. Tale declinazione ha degli effetti di senso importanti relativamente proprio alle modalità con cui ne

L’amante avviene il passaggio all’ “impersonale”. Mantenendo il genere femminile anche nel momento del passaggio all’ “impersonale”, Duras sembra indicare che questo passaggio non sfocia su una

dimensione completamente neutra86. La scrittrice mette in campo una vicenda di passaggio

85 Marguerite Duras, L’amante, cit., pp. 19-20.

86 Sul rapporto fra il neutro e la parola della differenza femminile, cfr. Wanda Tommasi, La tentazione del neutro, in Diotima, Il

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all’impersonale e di erosione dei limiti della soggettività che tiene conto del vissuto legato alla differenza sessuale. Si tratta di una vicenda di passaggio all’impersonale che ha una “storia” e delle modalità differenti, rispetto a quelle delineate da Blanchot, e che ha, quindi, anche esiti diversi.

Il desiderio ha una grande importanza in tutta l’opera durassiana e si configura come una forza che, pur nascendo dall’intimità dell’io, è più forte dell’io stesso e lo trascina fuori di sé verso l’altro. Il desiderio conduce verso una dimensione quasi impersonale, nella misura in cui sfugge al controllo dell’io e apre quest’ultimo all’altro. Il desiderio lascia l’io in una condizione di passività: l’io subisce il desiderio, ne è invaso e quasi distrutto. In un articolo del 1981, intitolato Retake e pubblicato nella raccolta Il nero Atlantico, Duras scrive:

«Nella passione si diventa oggetto, si subisce completamente, non si possono assolutamente prevedere i colpi che arriveranno, è questa la grandezza, la follia, l’orrore della passione.

Per me il desiderio non può darsi se non tra maschile e femminile, tra sessi diversi.

[…] Lo splendore della passione, la sua immensità, il suo dolore, il suo inferno, è che non può darsi se non tra due generi inconciliabili, il maschile e il femminile. Dico passione come dico desiderio. […]

Quest’inferno di non poter sfuggire al desiderio di una persona è ciò che io, personalmente, chiamo lo splendore dell’eterosessualità»87.

Il desiderio, quindi, conduce verso un passaggio all’impersonale, nel senso che invade l’io, oltre ogni sua possibilità di controllo, fino a renderlo ostaggio. L’io è condotto fuori di sé, in una dimensione in cui non si riconosce più ed è completamente rivolto verso l’altro. Nel desiderio l’altro, però, non è un altro io uguale a me, ma è qualcuno e qualcosa di ignoto, di irraggiungibile. Il rapporto che il desiderio istituisce con l’altro non è di uguaglianza, ma radicalmente asimmetrico: è un rapporto di invasione dell’io da parte dell’altro, che si subisce88.

Nel passaggio dall’io all’ella nei brani de L’amante risuona, quindi, l’erosione dell’io da parte del desiderio. Questo significa che il passaggio all’impersonale per Duras non coincide con una completa esclusione dell’io né con la sostituzione ad esso di una terza persona impersonale, come invece avverrebbe secondo Blanchot. Nelle sue opere autobiografiche Duras mette in gioco, piuttosto, un movimento di disgregazione al limite dell’io, che conserva ancora le tracce di questo stesso processo. La tensione fra la prima e la terza persona non si scioglie a favore dell’una o dell’altra: è ancora l’io che cerca di dire paradossalmente la propria sparizione.

A ben guardare, però, si può osservare che, oltre ai brani scritti in terza persona, tutto il testo de

L’amante parla di relazioni molto forti, in cui la protagonista è coinvolta: la relazione con la madre, con i fratelli e anche con gli elementi naturali e con la geografia dei luoghi in cui il romanzo è ambientato. Si tratta, anche in questi casi, di relazioni vissute nella passività, come invasioni, alle quali la bambina non può sottrarsi e che minano la sua stessa identità soggettiva. Si pensi, ad esempio, alla figura della madre,

87 Marguerite Duras, Il nero Atlantico, Cit., pp. 49-50.

88 La natura asimmetrica di alcune relazioni, presenti nell’opera di Duras, è approfondita da Françoise Barbé-Petit, in

relazione al pensiero di Lévinas, nel suo libro Marguerite Duras au risque de la philosophie, Éditions Kimé, Paris 2010, pp. 136- 143.

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la cui disperazione invade la vita dei figli; in quanto ancora bambini, essi non possono in nessun modo riscattare la disperazione della madre, ma, comunque, non vi si possono sottrarre. Anche questo rapporto è caratterizzato da una profonda asimmetria, che mette in crisi la formazione stessa della soggettività della protagonista. La bambina, infatti, condivide la disperazione della madre e contemporaneamente sente che il suo desiderio di libertà rispetto a quella disperazione è complice del dolore, che ha ferito la madre:

«Mai buongiorno, buonasera, buon anno. Mai grazie. Mai una parola, mai il bisogno di dire una parola. Muti, lontani. Una famiglia di sasso, pietrificata, chiusa in uno spessore inaccessibile. Tentiamo ogni giorno di ucciderci, di uccidere. Non parliamo tra di noi, non ci guardiamo neppure. […] Ci unisce la vergogna essenziale di dover vivere la vita, vergogna dovuta alla parte più profonda della nostra storia, all’esser tutti e tre figli di quell’onesta creatura che la società ha assassinato. Facciamo parte della società che ha ridotto mia madre alla disperazione. Per quel che è stato fatto a lei, così dolce, così fiduciosa, odiamo la vita e ci odiamo»89.

Il rapporto con il fratello maggiore viene descritto in termini non meno forti:

«Per me la guerra ha i colori della mia infanzia. Confondo il tempo della guerra con il regno del fratello maggiore. […] La guerra era come lui: invadeva, penetrava, imprigionava, rubava, c’era sempre, in tutto, mescolata a tutto, eterogenea, presente, nel corpo, nel pensiero, nella veglia, nel sonno, sempre, in preda all’inebriante passione di occupare l’adorabile territorio del corpo bambino, il corpo dei più deboli, dei popoli vinti, perché il male è alle porte, ci sta addosso»90.

Si può dire, quindi, che Duras, ricostruendo la propria vicenda biografica, non disegna un percorso che ha come protagonista assoluto l’io, nella sua autonomia e indipendenza. L’io che scrive L’amante è un io radicalmente segnato dalle relazioni in cui è coinvolto. Nello spazio di queste relazioni asimmetriche, esso si espone a un’espropriazione di ciò che è più intimo, che si rivela, così, estraneo e inappropriabile, quasi impersonale. Questo io non è affatto una realtà chiusa e autonoma, come quello pensato dalla tradizione filosofica occidentale e, quindi, non è nemmeno l’io a cui si riferisce polemicamente anche Blanchot. Esso, forse, ha un’altra storia, quella della differenza femminile; non è, infatti, un caso che un io che si lascia così profondamente segnare dalle relazioni, come quello presentato da Duras ne L’amante, sia un io femminile.

Come osserva Adriana Cavarero, nel suo saggio Per una teoria della differenza sessuale91, il soggetto e l’io

femminili sono stati doppiamente esclusi dalla tradizione filosofica occidentale; da una parte perché quest’ultima ha pensato la soggettività come un universale, del tutto indipendente dalla sessuazione. D’altra parte il modello di questa soggettività, pretesa universale, è quello maschile. «Ne consegue per la donna che essa non può riconoscersi nel pensiero e nel linguaggio di un soggetto universale che non la contiene ed anzi la esclude, senza rispondere di tale esclusione»92.

L’io femminile, quando prende la parola, ha, dunque, alle spalle una vicenda del tutto differente rispetto a quella dell’io universale e maschile della tradizione filosofica. Esso non è mai stato una

89 Marguerite Duras, L’amante, cit., pp. 62-63. 90 Ivi, p. 70.

91 Adriana Cavarero, Per una teoria della differenza sessuale, in Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, cit., pp. 41-79. 92 Ivi, p. 48.

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sostanza chiusa e autonoma, ma piuttosto un io che è stato escluso, nel momento in cui il soggetto della tradizione maschile ha assunto se stesso come universale.

Quando il soggetto della tradizione entra in crisi emerge, però, l’attenzione per tutto ciò che non è soggettivo, che è al di là dei limiti dell’io e che ne mette in discussione la chiusura e l’autonomia: l’impersonale, il neutro. Maurice Blanchot è stato uno dei pensatori che più di tutti si sono interrogati su questa dimensione. Il neutro indicherebbe proprio ciò che è stato escluso dal linguaggio e negato dalla tradizione con la sua logica binaria, per affermare la forza e il dominio del soggetto. Come scrive Wanda Tommasi, nel suo saggio La tentazione del neutro, «il neutro è prima di tutto traccia di qualcosa che è scomparso»93.

L’apertura al neutro è, quindi, l’esito di un ripensamento e della crisi del soggetto della tradizione, che allude a qualcosa che è scomparso. Ciò che è scomparso, secondo il percorso disegnato da Tommasi, è proprio «la differenza sessuale, l’irriducibile asimmetria tra maschile e femminile, che è stata ridotta a una uni-versalità priva di differenze, a un discorso unico che, tuttavia, se viene nominato come

ne-uter, allude perlomeno a quei due, a quella dualità originaria di cui solo un lato ha potuto svilupparsi, pretendendosi però come l’unico possibile»94. Da una parte, dunque, l’apertura al neutro è l’esito

dell’esclusione della differenza sessuale, ma, d’altra parte, essa allude, anche se in maniera solamente negativa, a questa esclusione. Per questa ragione l’autrice procede secondo «una pericolosa e insieme necessaria prossimità al neutro»95, che mette in evidenza il legame fra il neutro e la scrittura: «scrivere è al neutro perché scrivere è legarsi all’esteriorità, all’alterità, all’assenza»96. Emerge, inoltre, una

complicità delle donne con la scrittura, come «complicità con l’assenza del femminile dal linguaggio: complicità con quella forma parlante di silenzio che è la scrittura – scrittura come silenziosa obiezione alla uni-vocità del linguaggio, alla coerenza senza residui del logos, presa di distanza da esso, sintomo di estraneità e di disagio»97. La prossimità al neutro dell’io femminile appare, dunque, come un pericoloso,

ma necessario ascolto delle «tracce della cancellazione di sé nel linguaggio, nella scrittura, per arrivare a una parola non neutra, ma consapevole di quei silenzi, parola che può cominciare a parlare quindi a partire dalla differenza sessuale»98.

Questi brevi accenni al problema della differenza sessuale consentono di mettere in evidenza la diversità delle vicende dell’io “maschile”, contro la cui chiusura lavora Blanchot, e di quello femminile, che invece ha conosciuto una profonda esclusione dal mondo simbolico legato alla tradizione. Tale diversità apre una prospettiva di lettura del percorso che l’io femminile compie ne L’amante di Duras. L’io femminile non ha una storia di potere e di chiusura, ma piuttosto di esclusione e di assenza dal

93 Wanda Tommasi, La tentazione del neutro, cit., p. 90. 94 Ibidem.

95 Ivi, p.94. 96Ibidem. 97 Ivi, p. 95. 98 Ivi, p. 96.

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linguaggio, che lo rende già pericolosamente prossimo alla dimensione del neutro e dell’impersonale. Nel momento in cui l’io femminile riesce a prendere la parola, inoltre, porta il segno della propria differenza. Proprio perché riattiva una differenza, che è stata esclusa dalla tradizione e che ha segnato la costruzione di una soggettività chiusa e autonoma, l’io femminile suggerisce un pensiero della soggettività e dell’io fondati non più su un’astrazione universalizzante, ma su una singolarità incarnata, già da sempre coinvolta e attraversata dalla relazione asimmetrica con l’altro.

La differenza di approccio alla questione dell’io e del passaggio all’impersonale tra Blanchot e Duras risulta illuminata anche dalla prospettiva della differenza sessuale, a partire dalla quale si può dire che non è sicuramente un caso che un io, come quello che scrive L’amante, che per parlare di sé parla di relazioni asimmetriche in cui è coinvolto, sia un io femminile.

Si tratta ora di valutare qual è la portata della scelta di scrivere in prima persona da parte di Duras. Gli elementi su cui la scrittrice comincia a delineare l’identità della protagonista e, quindi, anche la propria, sono il desiderio e la scrittura.

Non sottraendosi al desiderio dell’amante cinese e al proprio, la protagonista si separa dalla condizione di dipendenza simbolica dell’infanzia:

«Lei sa anche qualcos’altro, che è giunto ormai il momento in cui non può sottrarsi agli obblighi che ha verso se stessa e che di ciò la madre non deve saper nulla, e neppure i fratelli. Lo ha capito quel giorno. Appena è salita sull’auto nera l’ha saputo, si sente lontana da quella famiglia, per la prima volta e per sempre. Ormai non devono sapere che ne sarà di lei. Anche se qualcuno la prende, la porta via, la ferisce, la sciupa, la madre e i fratelli non devono più saperlo. Questo è il loro destino e lei già ne piange, sulla limousine nera»99.

I luoghi della relazione con l’amante cinese diventeranno per la scrittrice luoghi della memoria in cui raccogliersi:

«È quello il posto in cui mi rifugerò, una volta abbandonato il presente, solo quello. Le ore passate nella garçonnière di Cholen me lo fanno apparire sotto una luce fresca, nuova. È un posto irrespirabile che rasenta la morte, un posto di violenza, di dolore, di disperazione, di disonore. È Cholen. Dall’altra parte del fiume, appena attraversato il fiume»100.

Fare della disponibilità al desiderio un elemento centrale della propria identità da una parte consente la separazione dalla dipendenza simbolica nei confronti della famiglia e l’apparizione di una soggettività autonoma, ma, dall’altra, significa consegnarsi, come si è già visto prima, a una relazione non simmetrica con l’altro, una relazione che invade e mette in crisi l’autonomia dell’io. L’io che si incontra nelle opere autobiografiche non ha, in ogni caso, i caratteri di una sostanza chiusa.

L’altro elemento, con il quale Duras designa la propria identità ne L’amante, è la scrittura:

99 Ivi, p. 43. Si noti che, paradossalmente, uno dei brani in cui l’io della protagonista si definisce è scritto in terza persona.

Questo fatto indica la difficoltà della formazione e dell’accettazione della sua identità, ma è comunque testimonianza di un sentimento di separazione dall’invasività dell’ambiente familiare.

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«Le ho risposto [alla madre] che innanzi tutto volevo scrivere, solo scrivere, null’altro. Ne è gelosa. Nessuna risposta, una rapidissima occhiata, un’impercettibile alzata di spalle, indimenticabile. Così io me ne andrò per prima. Passeranno ancora alcuni anni prima che lei mi perda, prima che perda sua figlia, questa figlia»101.

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