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L’abuso del diritto nel recesso “prolungato”.

Sezione II: La conclusione del contratto *

L’ ABUSO DEL DIRITTO DI RECESSO DEL CONSUMATORE NEI CONTRATTI VIRTUALI

9. L’abuso del diritto nel recesso “prolungato”.

L’art. 57 del codice del consumo stabilisce, al comma 2, che il consumatore non è in ogni caso responsabile per la diminuzione del valore dei beni se il professionista ha omesso di informarlo sul suo diritto di recesso629. In caso di mancata informazione, quindi, il consumatore gode del termine prolungato (fino ad un anno e 14 giorni) per recedere dal contratto senza alcun costo, ovvero senza neppure essere responsabile della diminuzione di valore del bene dovuta all’uso che ne ha fatto medio tempore. La ratio di tale esenzione da responsabilità è evidente: il consumatore non sa di potere recedere e quindi usa il bene come se fosse obbligato a tenerlo630. Al tempo stesso la finalità della norma è sanzionare il professionista (ponendo a suo carico tale onere) che illecitamente omette l’informativa in modo tale da fornire maggiore efficacia alla disposizione che tale obbligo formativo impone.

Tale norma, di ulteriore favore per il consumatore, espone però il professionista a comportamenti scorretti e abusivi da parte di quest’ultimo. Il consumatore potrebbe essere ben consapevole dei propri diritti ed approfittare della lacuna informativa per ottenere la possibilità di utilizzare il bene per un anno e poi recedere riscuotendo un rimborso integrale. Tale comportamento sarebbe formalmente lecito: la legge non richiede che il consumatore ignori il proprio diritto ma solo che il professionista abbia omesso di informarlo; la norma, inoltre, non fa decorrere il termine di 14 giorni dal momento in cui il consumatore viene a conoscenza del proprio diritto, ma solo da quando il professionista eventualmente fornisce l’informativa tardiva. Ecco quindi che la disposizione normativa crea terreno fertile per un comportamento del consumatore scorretto ed abusivo.

629 L’obbligo di informazione sul diritto di recesso nei contratti a distanza è sancito dall’art. 49, comma 1,

lett. H) Cond.Cons.

630 S. PAGLIANTINI, La forma informativa nei c.d. scambi senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra

recesso ed abuso del consumatore (a proposito di C giust. CE, 3 settembre 2009, C-489/07), in Abuso del diritto e buona fede nei contratti, a cura di PAGLIANTINI, Giappichelli, 2010, 176. Si veda A.M. BENEDETTI, voce «Recesso del consumatore», in Enc. del dir., Annali IV, Giuffrè, 2011, 977: “se il

consumatore non era stato informato sul recesso può ritenersi non scorretto l'uso anche intensivo ch'egli abbia fatto del bene durante il termine (lungo) per recedere, giacché egli non sapeva, per colpa del professionista inadempiente ai suoi obblighi, che il contratto poteva essere risolto facilmente e che il bene avrebbe poi dovuto essere restituito a controparte. Se l'avesse saputo, può presumersi ch'egli avrebbe usato il bene in modo diverso, o non l'avrebbe usato per niente”.

A differenza dei casi ipotizzati in precedenza qui si ravvisa un’iniziale illiceità nel comportamento del professionista (che viola gli obblighi informativi), ma se questo presupposto è idoneo a giustificare una maggiore tutela per il consumatore non è invece accettabile che quest’ultimo ne approfitti per trarne un indebito vantaggio contrastante con le finalità della norma631.

Una simile ipotesi è stata oggetto di rinvio pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea: il consumatore aveva esercitato il diritto di recesso dopo sette mesi dalla conclusione di un contratto telematico di acquisto di un computer ed aveva chiesto il rimborso integrale; il venditore invece pretendeva gli fosse riconosciuta un’indennità per l’utilizzo che l’acquirente aveva fatto del bene. La Corte si pronunciò stabilendo che il diritto dell’Unione Europea impedisce che una legge interna ponga a carico del consumatore recedente un’indennità tale da minare l’effettività del diritto dell’unione europea632; ma la normativa europea non osta a che venga imposto il pagamento di una somma per l’uso del bene nel caso in cui il recesso sia stato esercitato in modo incompatibile con i principi del diritto civile quali la buona fede e l’arricchimento senza giusta causa633. Tale sentenza rappresenta quindi un’autorevole conferma dell’opportunità di applicare alla valutazione del diritto di recesso del consumatore il principio di buona fede e quindi la figura dell’abuso del diritto.

In questa interessante pronuncia la Corte Europea ha quindi messo parzialmente in discussione i dogmi della insindacabilità e gratuità del diritto di recesso. Tuttavia, il legislatore europeo, con la direttiva 83/2011/CE, non ha dato attuazione a tale orientamento ma ha posto il consumatore al riparo da ogni possibile pretesa del professionista nel caso in cui quest’ultimo sia inadempiente all’obbligo informativo. Tale scelta appare giustificata per il fatto che è il professionista ad essere in prima

631 La finalità della norma è tutelare il consumatore che non conosca il proprio diritto, non permettere al

consumatore astuto e informato (aliunde) di ottenere vantaggi indebiti.

632 Nel caso oggetto della sentenza il venditore aveva chiesto un’indennità di importo addirittura superiore

al costo di acquisto del bene.

633 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 3 settembre 2009, nella causa C-489/20017. Per

un commento più esteso della decisione si rinvia a S. PAGLIANTINI, La forma informativa nei c.d. scambi

senza accordo: l’indennità d’uso del bene tra recesso ed abuso del consumatore (a proposito di C giust. CE, 3 settembre 2009, C-489/07), in Abuso del diritto e buona fede nei contratti, a cura di PAGLIANTINI, Giappichelli, 2010, 176

battuta inadempiente (rispetto agli obblighi informativi) ed è quindi ingiusto che le conseguenze di tale inadempienza debbano ricadere sul consumatore634.

Quanto detto, evidentemente, rimane valido fino a che non sia ravvisabile un comportamento del consumatore contrario alla buona fede. Il consumatore contravverrà al divieto di abuso del diritto quando, essendo perfettamente consapevole del proprio diritto di recedere e del termine prolungato derivante dalla mancata formale informativa, acquisti il bene allo scopo di goderne per il maggior tempo possibile e di restituirlo635 domandando il rimborso integrale del prezzo pagato. Ovviamente ogni decisione in merito dovrà essere fondata sul corretto bilanciamento degli interessi in gioco ma non si dubita che, quantomeno in situazioni estreme, sia giusto e doveroso applicare la clausola generale in commento al fine di contrastare un comportamento scorretto da parte del consumatore636.

634 “A dispetto di tale rilievo, la soluzione della direttiva pare condivisibile, ove si consideri che l'utilizzo

(prolungato) del prodotto costituisce una conseguenza del mancato assolvimento dei doveri di trasparenza posti a carico del professionista. Posto, infatti, che lo slittamento del cooling off period è causalmente riconducibile ad un'omissione informativa, non si comprendono le motivazioni per cui i "costi" di tale inadempimento dovrebbero essere addebitati ad un soggetto che ha agito come se l'affare concluso non fosse soggetto ad alcun ripensamento” (E. BACCIARDI, Il nuovo statuto del diritto di

ripensamento tra efficienza del mercato e razionalità (limitata) dei consumatori, in Nuova Giur. Civ.,

2017, 3, p. 415).

635 Il bene acquisito potrebbe essere gravemente usurato o addirittura danneggiato o inservibile senza che

per questo, dal punto di vista formale, al consumatore possa essere negato il rimborso integrale del prezzo pagato.

636 “Segnatamente, il ripensamento potrà essere assoggettato ad una valutazione che ne escluda il

carattere emulativo, avuto riguardo al duplice piano degli interessi in gioco e del quomodo dell'esercizio del diritto, alla stregua del canone di cui all'art. 1375 cod. civ. In questa prospettiva, diviene confutabile l'assunto per cui il consumatore che receda dopo aver utilizzato intensamente il bene integra, ipso facto, gli estremi di un abuso del diritto; il giudizio ex fide bona non si limita, infatti, a fotografare aprioristicamente un comportamento - nella specie costituito dalla sequenza acquisto - uso prolungato - ripensamento - ed elevarlo a fattispecie paradigmatica di recesso illecito, consentendo altresì di plasmare l'esegesi dell'interprete sulle concrete modalità di esperimento del rimedio. La struttura e le finalità dello ius poenitendi, del resto, rendono "tollerabile" il sacrificio dell'interesse del professionista che ometta di comunicare l'esistenza della facoltà di recesso. Soltanto il vaglio (a posteriori) del comportamento tenuto dal consumatore potrà confutare tale conclusione, soprattutto ove sia riscontrabile un'eccessiva ed ingiustificata frustrazione dell'affidamento della controparte.” (E.

BACCIARDI, Il nuovo statuto del diritto di ripensamento tra efficienza del mercato e razionalità (limitata)

10. Conseguenze dell’esercizio abusivo del diritto di recesso da parte del

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