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Alla periferia dell’Europa di mezzo: l’Albania e gli Stati baltic

1.6.1. L’ALBANIA PREMODERNA DI ZOGU

Per l’Albania la fine della Prima guerra mondiale non significò una svolta storica paragonabile a quella degli altri Stati della regione. Dopo aver detenuto una posizione privilegiata all’interno dell’impero ottomano, del quale gli albanesi furono fedeli e apprezzati servitori, il paese aveva visto riconosciuta dalle potenze occidentali la propria in- dipendenza in funzione antiserba con il trattato di Londra firmato il 30 maggio 1913, all’indomani della fine della Prima guerra balcanica. Il nuovo quadro statale non stimolò la costruzione di uno Stato na- zionale omogeneo, nonostante la sua popolazione multietnica e multi- confessionale. Secondo il censimento del 1937, due terzi del milione di abitanti erano di religione musulmana, ai quali si affiancavano or- todossi (20%), cattolici (10%) e israeliti (3%)85. L’Albania rimase,

di tipo clanico (la frattura linguistica e culturale più rilevante era quella fra i toschi del Sud e i gheghi del Nord), dominata da una cerchia di grandi proprietari terrieri musulmani e nella quale un ruo- lo importante rivestivano gli amministratori e i militari. La scarsa pre- sa del nazionalismo moderno sull’Albania interbellica è dimostrata dalla passività dei governi di Tirana nella questione del Kosovo e del- la Macedonia, regioni in cui il numero di albanesi superava il milio- ne. L’occupazione serba delle due regioni, legittimata sul piano inter- nazionale nel 1913 in seguito alla Seconda guerra balcanica, spezzò l’unità territoriale del vilayet ottomano (1881-1912), che comprende- va Kosovo, Macedonia e l’antico Sangiaccato di Novi Pazar. Fra le due guerre mondiali i governi jugoslavi condussero, soprattutto nel Kosovo, una politica fortemente discriminatoria nei confronti della popolazione albanese, sottoposta a processi di snazionalizzazione cul- turale, repressione politica e pressione demografica, stimolata dall’ar- rivo di 70.000 coloni serbi (il 10% della popolazione totale della re- gione)86.

Il personaggio politico più rilevante espresso dalla nuova classe dirigente era un notabile dell’Albania centrale, Ahmed bey Zogolli. Primo ministro con il nome di Zogu nel 1922-24, dopo essersi tem- poraneamente rifugiato in Jugoslavia in seguito alla presa del potere di un suo avversario sostenuto dall’Italia fascista, riprese il potere e proclamò la repubblica. Zogu orientò la politica estera albanese in senso italiano e nel 1926-27 firmò con il nostro paese un patto di amicizia e sicurezza grazie al quale crebbero notevolmente gli inve- stimenti italiani in Albania87. Nel 1928 si fece proclamare “re degli

albanesi” con il nome di Zog I, e mantenne tale carica fino all’occu-

pazione militare italiana dell’aprile 1939. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale l’Albania restava il paese più arretrato dell’intera re- gione. La capitale, Tirana, contava meno di 40.000 abitanti e il paese mancava del tutto di un’élite istruita. L’assenza di partiti politici di tipo europeo implicava anche un grave ostacolo alla ricezione delle idee comuniste. Negli anni venti e trenta l’Albania fu l’unico paese dell’Europa centro-orientale a non sviluppare un movimento politico organizzato legato al Komintern. Il comunismo poteva contare solo su qualche isolata simpatia fra l’intellighenzia urbana in grado di te- nere contatti con l’Occidente. Il futuro dittatore Enver Hoxha, che nel novembre 1941 divenne segretario del minuscolo partito comuni- sta creato su ispirazione jugoslava, era un tipico prodotto di questo gruppo sociale, potendo vantare studi al liceo francese della città di Korça e presso le università di Montpellier e Bruxelles.

1.6.2. L’INDIPENDENZA CONQUISTATA: LITUANIA, LETTONIA ED ESTONIA

I paesi baltici ottennero la propria indipendenza dall’ex impero russo dopo il 1917, assieme alla Finlandia e a parte della Polonia. Nono- stante vengano accomunati nel discorso storico e pubblicistico per la loro prossimità geografica, questi Stati presentano caratteristiche sto- riche, politiche, linguistiche e religiose assai diverse. La lingua estone appartiene al ceppo ugro-finnico, è simile al finlandese e non ha nulla in comune con le altre lingue baltiche. In Estonia e in Lettonia pre- vale la religione luterana, mentre la Lituania è in maggioranza cattoli- ca. La Lituania era storicamente legata alla Polonia (con la quale il granducato di Lituania formò dal 1561 al 1795 una confederazione che copriva anche parte dell’attuale Belarus, Ucraina e Lettonia) e al- l’Europa centrale; la Lettonia (l’antica Livonia) dal punto di vista cul- turale era maggiormente vicina alla Russia; mentre l’Estonia, alla Fin- landia e alla Scandinavia. In tutta la regione baltica, tuttavia, le comu- nità tedesche ed ebraiche ricoprirono fino alla Seconda guerra mon- diale un ruolo culturale ed economico rilevante.

Quella dei paesi baltici fu un’indipendenza difficile, conquistata con le armi negli anni che seguirono il collasso dell’impero zarista provocato dalle rivoluzioni di Febbraio e di Ottobre. Durante la Pri- ma guerra mondiale la Lituania e la Lettonia (1915) e in seguito an- che l’Estonia (1917) caddero sotto l’occupazione tedesca e proprio sotto il dominio tedesco il fermento politico assunse un orientamento indipendentista. Alle elezioni convocate nel 1917 dalla Costituente russa, il partito bolscevico ebbe la maggioranza relativa in Estonia e in Lettonia, ma il clima popolare cambiò dopo la rivoluzione d’Otto- bre. In Lituania il movimento nazionalista, più radicato e legato alla tradizione statale medievale, rifiutava invece non solo l’occupazione tedesca ma anche l’idea di riportare in vita la confederazione con la Polonia88.

Con la pace di Brest-Litovsk (3 marzo 1918) e l’applicazione delle sue clausole in agosto, la Russia sovietica rinunciò all’Estonia e a par- te della Lettonia. Quest’ultima il 12 aprile entrò a far parte del nuovo Stato baltico federale (Baltischer Staat) indipendente89. Il 13 novem-

bre il governo bolscevico ripudiò tuttavia il trattato di Brest-Litovsk e mosse alla conquista del Baltico, sostenuto dai movimenti comunisti locali, nel quadro del progetto di espansione a ovest della rivoluzione mondiale. Nel gennaio 1919 l’Armata rossa raggiunse il culmine del- l’offensiva e arrivò a occupare l’Estonia, la Lettonia (qui venne creata

alla fine del 1918 una Repubblica sovietica di Lettonia, riconosciuta da Mosca) e parte della Lituania, dove però ai bolscevichi mancò il sostegno locale. Nel corso del 1919 la controffensiva lanciata dai Consigli nazionali baltici, sostenuta da truppe alleate, ribaltò la situa- zione militare e dopo fasi alterne – nelle quali le truppe baltiche si trovarono a fronteggiare ora i bolscevichi, ora gli eserciti “bianchi controrivoluzionari”, ora i Freikorps tedeschi, le parti concordarono un armistizio e quindi la pace90. La Russia riconobbe l’indipendenza

dell’Estonia (trattato di Tartu, 2 febbraio 1920), della Lituania (trat- tato di Mosca, 12 luglio 1920) e della Lettonia (trattato di Riga, pri- mo agosto 1920). Le repubbliche vennero riconosciute dal Consiglio supremo alleato e, nel settembre 1922, ammesse alla Società delle nazioni91.

I nuovi Stati baltici avevano una superficie ridotta e un numero di abitanti compreso, negli anni trenta, fra 1,1 milioni (Estonia), 2 milioni (Lettonia) e 2,4 milioni (Lituania). Mentre l’Estonia aveva un carattere etnicamente più compatto (12% di minoranze, soprattutto tedeschi e svedesi, con una minuscola comunità ebraica di 5.000 persone), la Lituania e soprattutto la Lettonia erano Stati multinazio- nali con importanti comunità ebraiche (oltre 150.000 persone in Li- tuania, 100.000 in Lettonia), russe (oltre 200.000 in Lettonia) e po- lacche (quasi 100.000 in Lituania)92. A differenza dell’impero zarista

e della Polonia rurale, negli Stati baltici e soprattutto in Estonia e Lettonia un’economia tradizionale, basata sull’agricoltura, si combi- nava con una fiorente attività commerciale e industriale, soprattutto nel settore tessile. La diffusa educazione popolare (il celebre canto corale), che sotto l’impero russo aveva tenuto in vita il sentimento nazionale, poneva la regione all’avanguardia in Europa: negli anni trenta l’analfabetismo era compreso fra il 5% dell’Estonia e il 15% della Lituania93.

Nei primi anni venti gli Stati baltici si dettero un ordinamento costituzionale moderno e divennero repubbliche parlamentari. La Co- stituzione estone del 1920 dava ampi poteri al Parlamento e limitava al massimo il ruolo dell’esecutivo, mentre quella lettone del 1922 pre- vedeva un presidenzialismo assai temperato, che si ispirava alle Co- stituzioni francese e tedesca di Weimar. Il sistema politico era assai simile, con un bilanciamento di forze fra partiti agrari conservatori al potere, socialdemocratici all’opposizione (con una significativa quota di consenso: fino al 30% in Lettonia) e, in posizione centrista, gruppi liberali in rappresentanza degli intellettuali. I comunisti vennero ban- diti in seguito al ruolo assunto dal movimento bolscevico nel conflitto

con la Russia sovietica e per i legami che li univano alla Terza Inter- nazionale. Le formazioni sotto il cui nome si candidavano gli espo- nenti comunisti riuscirono, comunque, a conquistare un numero limi- tato di seggi. In Lettonia, già nei primi anni venti, comparve un mo- vimento di estrema destra extraparlamentare, l’Associazione nazionale (Nacion¯al¯a apvien¯ıba), mentre in Lituania assunse presto un ruolo do- minante la componente agraria cattolica94.

Negli anni venti tutti i governi baltici attuarono radicali riforme agrarie intese a spezzare il latifondo (proprietà quasi esclusiva del pa- triziato tedesco in Estonia e in Lettonia). La vita politica fu tuttavia dominata dall’instabilità (20 governi si susseguirono in Estonia fino al 1934) e influenzata negativamente dalla precaria situazione geopoliti- ca di una regione sospesa fra le mire di tre vicini: l’Unione Sovietica, la Germania (che teneva aperto un contenzioso con la Lituania su Memel, l’attuale Klaip˙eda, città portuale a maggioranza tedesca) e la Polonia. Nel 1926, proprio la firma di un patto di non aggressione lituano-sovietico portò al colpo di Stato militare attuato dalle forze che si opponevano al riavvicinamento all’URSS. Il regime autoritario

guidato da Antanas Smetona restò in piedi fino al 1940.

Nonostante questo sgradevole precedente, i governi di coalizione estone e lettone decisero di imitare la Lituania per rafforzare la sicu- rezza dei rispettivi Stati ed entro il 1932 strinsero patti di non aggres- sione con l’Unione Sovietica. Nel 1933 l’ascesa al potere di Hitler spinse i paesi baltici a rafforzare la propria cooperazione. Il 12 set- tembre 1934 venne costituita la cosiddetta “Intesa baltica”, un patto decennale che escludeva i contenziosi territoriali fra gli stessi paesi baltici. Secondo Ralph Tuchtenhagen, tale formazione nasceva debole proprio in quanto ognuno dei tre Stati si contrapponeva a una di- versa potenza europea: l’Estonia all’URSS, la Lettonia alla Germania,

la Lituania alla Polonia95. Il rafforzamento dei conflitti etnici e la cri-

si economica mondiale mandarono in crisi il pluralismo politico. Nel- la primavera del 1934, colpi di Stato incruenti attuati in Estonia e in Lettonia portarono allo smantellamento del regime parlamentare, so- stituito da governi presidenziali di carattere autoritario e dai tratti corporativi, sostenuti da milizie paramilitari e ispirati a un nazionali- smo al tempo stesso intransigente e “integrativo”. Al momento dello scoppio della Seconda guerra mondiale la regione baltica era gover- nata da regimi ormai stabili, che raccoglievano il consenso di buona parte della popolazione nonostante le diverse opinioni politiche. Fu l’evoluzione della situazione internazionale nel 1938-39 a decretare la fine della loro indipendenza.

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