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RIVOLTE , LOTTE INTESTINE , IMMOBILISMO : LE REAZIONI NEL BLOCCO ALLA MORTE DI STALIN

Il disgelo e le sue contraddizion

4.4.1. RIVOLTE , LOTTE INTESTINE , IMMOBILISMO : LE REAZIONI NEL BLOCCO ALLA MORTE DI STALIN

La morte di Stalin, avvenuta il 5 marzo 1953, originò in breve tempo cambiamenti che dall’Unione Sovietica si riverberarono sull’Europa orientale. Osannata e indiscutibile in vita, la figura di Stalin iniziò a essere oggetto di una revisione critica all’interno della direzione so- vietica dopo la sua morte. Al sovraffollamento dei campi di lavoro

forzato, dove lavoravano nella primavera 1953 circa 2,5 milioni di prigionieri, si sommavano le disastrose condizioni economiche di un impero che aveva vinto la Seconda guerra mondiale ma stava perden- do la pace. Come ha osservato Tony Judt, il «rapporto coloniale» che caratterizzava le relazioni dell’URSS con gli Stati satellite restava vizia-

to da una circostanza inedita nella storia dei moderni imperi europei: il sottosviluppo materiale e civile del centro rispetto alla periferia77.

Nelle settimane successive alla morte del dittatore emersero se- gnali di profonda crisi interna. In Unione Sovietica la nuova direzio- ne collegiale formata, nel tentativo di evitare il ritorno di un’eccessiva personalizzazione del potere, dal primo segretario del PCUS, Nikita

Chruˇsˇcëv, dal presidente del Consiglio dei ministri, Georgij Malen- kov, e dal responsabile della polizia politica, Lavrentij Berija, avviò un programma di correzioni degli abusi criminali compiuti dalle auto- rità negli ultimi anni di Stalin. Lo stesso Berija denunciò la falsità del complotto dei medici e dispose la liberazione di un milione di prigio- nieri condannati per reati comuni (un atto che contribuì, paradossal- mente, ad aumentare la tensione all’interno del sistema concentrazio- nario, in cui si verificarono gravi rivolte)78.

Le notizie, provenienti da Mosca, di cambiamenti e conflitti inter- ni al vertice politico scossero profondamente le capitali esteuropee, dove i dirigenti comunisti faticavano a decifrare le intenzioni del cen- tro. In Cecoslovacchia il capo del partito cecoslovacco, Gottwald, morì pochi giorni dopo aver partecipato ai funerali di Stalin e il suo successore, lo stalinista Antonín Novotn´y, cercò di proseguire su una linea ortodossa. La riforma monetaria annunciata il 30 maggio, che prefigurava un prelievo forzoso dei risparmi destinato a colpire non solo la classe media, ma anche gli operai, fu all’origine del primo im- portante sciopero post 1948, iniziato spontaneamente alle officine ˇSkoda di Plze ˇn, in Boemia, e presto estesosi a una ventina di com- plessi industriali. Per reprimere le manifestazioni, cui parteciparono migliaia di persone, il governo inviò unità dell’esercito munite di ar- mamento pesante e sostenute da carri armati. A Mosca gli eventi ven- nero analizzati con grande preoccupazione: Berija e Malenkov giunse- ro alla conclusione che le autorità sovietiche avevano sottovalutato la portata del malcontento in Cecoslovacchia. Gli scontri, iniziati il 31 maggio e durati tre giorni, costarono la vita a decine di insorti, men- tre altri 2.000 partecipanti furono condannati a dure pene carcera- rie79. Il moto cecoslovacco seguì di qualche settimana le manifesta-

zioni e gli scontri, verificatisi in Bulgaria il 3-4 maggio, dove i lavora- tori del deposito di tabacco di Plovdiv avevano avanzato rivendicazio- ni economiche80.

L’impatto più dirompente della destalinizzazione si ebbe in Ger- mania Orientale e in Ungheria. Nel primo caso, il malcontento portò a uno scontro armato, mentre nel secondo il partito comunista riuscì a prevenire le proteste popolari con un netto cambio di linea. Su pressione di Stalin, deluso per il rifiuto occidentale di considerare la sua proposta di riunificazione della Germania in uno Stato neutrale, la SEDaveva deciso nel luglio 1952 di avviare l’«edificazione sistemati-

ca del socialismo», colmando nel settore agricolo e in quello indu- striale il ritardo nei confronti del resto del blocco. La paura di un possibile conflitto militare aveva, inoltre, dirottato buona parte del bi- lancio statale nel settore della difesa, mentre il peggioramento delle condizioni di vita spingeva oltre 300.000 persone, soprattutto giovani con buona preparazione scolastica, a emigrare verso la Germania Oc- cidentale. Come temuto da Berija, ostile alla linea estremista di Wal- ter Ulbricht, il 16 giugno 1953 il malcontento esplose nei quartieri operai di Berlino Est, infiammato dall’ulteriore aumento delle norme di produzione previsto per il 30 giugno. Le proteste si allargarono a 560 località e il giorno seguente coinvolsero circa 500.000 operai, con attacchi alle sedi del partito e l’uccisione di dirigenti comunisti e in- formatori81. La repressione del movimento, affidata soprattutto alle

truppe sovietiche di occupazione, costò la vita ad almeno 125 perso- ne, mentre migliaia furono arrestate e condannate, un centinaio delle quali alla pena capitale. Le autorità di Berlino Est reagirono alla ri- volta di giugno con diverse concessioni economico-sociali, mentre la sospensione del pagamento delle riparazioni di guerra, accordata dai sovietici, rese possibile negli anni seguenti un notevole aumento dei salari e della produttività sul lavoro. Sul piano politico, il primato di Ulbricht si consolidò ulteriormente, ponendo le basi di un’egemonia personale durata fino al 197182.

Il 13-15 giugno, nel frattempo, un cambiamento di rilievo si anda- va delineando in Ungheria. I massimi esponenti del regime furono convocati a Mosca per “consultazioni”, durante le quali Berija e Ma- lenkov rimproverarono a Rákosi gli errori di politica economica e l’eccesso di repressione, soprattutto nelle campagne. Pur conservando la carica di segretario generale, Rákosi si vide imposta la nomina a primo ministro dell’ex ministro dell’Agricoltura e suo rivale, Imre Nagy, che i sovietici consideravano più adatto per le qualità personali e le sue origini (magiaro, di famiglia contadina e religione calvinista; Rákosi e i suoi protetti erano, invece, di origine ebraica). Kramer ha notato che il Cremlino, pur mostrando compattezza di fronte ai diri- genti ungheresi chiamati all’autocritica, a questa data era già scosso dal complotto ordito da Chruˇsˇcëv e Malenkov contro Berija. L’arre-

sto di quest’ultimo, il 26 giugno, cadde in un momento delicato per il blocco sovietico, sospeso tra nuove opportunità diplomatiche (il 27 luglio fu firmato l’armistizio che pose fine alla guerra di Corea) e la crisi politica in Europa orientale83.

La caduta di Berija, che nella primavera 1953 era divenuto il protettore informale dei riformatori, ridusse i margini di manovra politici del governo Nagy, entrato in carica il 4 luglio. Nei diciotto mesi trascorsi alla testa dell’esecutivo, fino al ritorno al potere degli stalinisti di Rákosi nella primavera del 1955, Nagy non riuscì a por- tare a termine il programma di riforme, liberalizzazione e migliora- mento del tenore di vita il cui annuncio aveva suscitato nell’estate 1953 grandi aspettative nella popolazione. Allo slancio dei primi mesi (allentamento della stretta poliziesca, freno allo sviluppo indu- striale basato sul settore militare, tolleranza dell’autoscioglimento di centinaia di fattorie collettive) seguì nel 1954-55 l’inasprirsi all’inter- no del partito del conflitto fra due linee ormai chiaramente definite: quella moderatamente riformatrice, guidata da Nagy e sostenuta da un ampio schieramento sociale, che andava dagli intellettuali al Fronte popolare (da Nagy rivitalizzato come formazione politica in competizione con il partito), e quella stalinista di Rákosi, che Mosca tornò ad appoggiare nel 1954 per bocca del suo ambasciatore a Bu- dapest, Jurij Andropov.

Nell’estate-autunno 1954 vennero al pettine le contraddizioni in cui Nagy si dibatteva fin dalla sua nomina. L’ondata di liberazione di prigionieri comuni e politici (15.000 persone, tra cui diversi esponenti comunisti come Kádár) fece emergere le proporzioni delle storture giudiziarie, mentre la gente sfruttava ogni occasione per esprimere la propria insoddisfazione. Il 4 luglio 1954 l’Ungheria perse inaspettata- mente la finale dei campionati mondiali di calcio contro la Germania Ovest. Nei giorni seguenti Budapest fu scossa da manifestazioni di massa che degenerarono in scontri e devastazioni. Tifosi e cittadini accusarono la Federazione calcistica e i dirigenti politici di aver ven- duto la partita alla Germania Ovest in cambio di benefici economici. Nello stesso periodo si registrarono proteste di massa in vari distretti operai della capitale, dove la polizia stava sfrattando gli occupanti abusivi di numerose abitazioni (Budapest aveva guadagnato in pochi anni mezzo milione di abitanti senza disporre di alcun piano di edili- zia popolare). Per frenare la folla, la polizia dovette ricorrere alle armi. Secondo János M. Rainer, l’intensificarsi delle manifestazioni anche violente segnalò un mutamento irreversibile dello spirito pub- blico. La gente non temeva più il regime e gli intellettuali, liberatisi

di ogni complesso di fedeltà ideologica, pretendevano libertà di espressione e di critica84.

In Romania la morte di Stalin non segnò l’avvio di una svolta po- litica: le autorità di Bucarest si limitarono a seguire pedissequamente le istruzioni sovietiche. Dopo aver consolidato nel 1952 il proprio po- tere a danno dei “moscoviti” Pauker, Luca e Georgescu, il primo se- gretario Gheorghiu-Dej procedette nell’aprile 1953 a una vasta amni- stia che, senza includere i detenuti politici, cancellò i reati penali e amministrativi a 525.000 persone e rimise in libertà 15.000 detenuti, dei quali il 21% operai e il 37% contadini poveri o medi85. Al ple-

num del Comitato centrale del partito del 19-20 agosto, Gheorghiu- Dej promise moderazione in campo economico e sociale, ma rifiutò l’idea di una svolta politica sul modello ungherese: in Romania, affer- mò, le distorsioni erano già state corrette. Negli anni successivi egli guidò una destalinizzazione che non intaccava le basi ideologiche del regime. Furono smantellate le società miste romeno-sovietiche che controllavano la produzione petrolifera e mineraria, sospesa la costru- zione del canale Danubio-Mar Nero (l’avrebbe ripresa Nicolae Ceau- ¸sescu nel 1973), allentata la pressione sui contadini con l’abolizione delle consegne obbligatorie agli ammassi (con l’eccezione della carne e del latte). In omaggio al principio della direzione collegiale, dall’a- prile 1954 all’ottobre 1955 Gheorghiu-Dej abbandonò la carica di se- gretario del partito, affidata al suo seguace Gheorghe Apostol, con- servando quella di primo ministro. Nell’agosto 1955 egli propose ad- dirittura a Chruˇsˇcëv di ritirare le truppe sovietiche dalla Romania, la cui presenza avrebbe perduto di significato con il trattato di pace au- striaco. Pur non nascondendo la propria sorpresa, Chruˇsˇcëv accon- sentì al ritiro nell’ambito di una più ampia strategia di distensione internazionale86.

In Polonia la caduta in disgrazia di Berija provocò, in controten- denza con il resto del blocco, un temporaneo inasprimento della re- pressione poliziesca, culminata il 26 settembre 1953 con l’arresto del cardinale Wyszy ´nski. Questi restò confinato in un convento, senza su- bire alcun processo, fino al 195687. Nell’autunno 1954, tuttavia, uno

scoop sensazionale, realizzato da Radio Europa Libera (RFE), smosse

le acque dell’incerta destalinizzazione polacca. Il vicedirettore del X

Dipartimento del ministero della Sicurezza pubblica, il colonnello Jó- zef ´Swiat/lo, lavorava per i servizi occidentali sin dal 1948 e defezionò

a Berlino Ovest nel dicembre 1953. Fu preso in consegna dalla locale stazione della CIA e sottoposto a lunghe interviste. La sezione polacca

della radio di Monaco di Baviera fu così in grado di mandare in onda le confessioni dell’alto ufficiale sul funzionamento dei servizi di sicu-

rezza e i crimini ad esso connessi. Le sue rivelazioni scossero la po- polazione, che detestava tali apparati, e costrinsero le autorità polac- che ad avviare la loro ristrutturazione88.

4.4.2. IL RIAVVICINAMENTO MOSCA-BELGRADO

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