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LO SMEMBRAMENTO DELLA JUGOSLAVIA E IL “ NUOVO ORDINE ” NEI BALCAN

Guerra di sterminio a Est

2.3.1. LO SMEMBRAMENTO DELLA JUGOSLAVIA E IL “ NUOVO ORDINE ” NEI BALCAN

La situazione geopolitica dell’Europa orientale e in particolare dei Bal- cani mutò radicalmente in seguito all’attacco sferrato dalle truppe del- l’Asse alla Jugoslavia nell’aprile 1941. Dopo la disfatta francese il go- verno di Belgrado aveva compiuto sforzi notevoli per preservare dal conflitto un paese per nulla pacificato nonostante il compromesso con la Croazia, mentre gli Stati confinanti, l’Ungheria, la Romania e la Bul- garia, aderivano al patto tripartito con le forze dell’Asse. Nel frattem- po la catastrofica campagna italiana contro la Grecia avviata da Mus- solini nell’ottobre 1940 aveva costretto Hitler a soccorrere l’alleato. Il

dittatore tedesco premeva dunque sulla Jugoslavia perché firmasse il patto in cambio di aggiustamenti territoriali (un corridoio sul Mare Egeo comprendente il porto di Salonicco). Consapevole che il suo paese era militarmente circondato ed economicamente dipendente dal- l’Asse, il principe Paolo firmò il 25 marzo 1941, nel tentativo di pre- servare l’unità del paese. L’élite serba reagì a quello che giudicava un tradimento nazionale cacciando lo “straniero” Paolo e installando al potere il generale Duˇsan Simovi´c. Hitler ordinò l’immediata invasione della Jugoslavia, che venne scatenata il 6 aprile e alla quale partecipa- rono contingenti tedeschi, italiani, ungheresi e bulgari.

Il governo jugoslavo cadde vittima dell’aggressione esterna ma so- prattutto della sua debolezza e della sfiducia accumulata dai suoi cit- tadini e non solo di quelli non serbi. L’esercito, forte di 2 milioni di effettivi e relativamente ben equipaggiato, si dissolse in pochi giorni. I croati si piegarono senza quasi combattere e anche le truppe serbe mostrarono una capacità di resistenza ben inferiore a quella esibita durante la Prima guerra mondiale. Il 10 aprile, a Zagabria, venne proclamato con l’appoggio della Germania uno “Stato indipendente croato”, comprendente la Bosnia-Erzegovina e guidato dal leader

ustaˇsa Ante Paveli´c. Il 12 aprile cadde la capitale, Belgrado, e cinque

giorni dopo venne proclamata la resa dell’esercito. Il governo si recò in esilio a Londra, mentre gruppi di ufficiali iniziavano a organizzare la resistenza militare all’occupazione17

Lo smembramento della Jugoslavia consentì agli Stati aggressori notevoli incrementi territoriali e creò nei Balcani un “nuovo ordine” destinato a durare fino al 1944-45. La Serbia venne annessa al Reich che, analogamente al Protettorato di Boemia e Moravia, la governò attraverso un’amministrazione locale. Il Banato serbo nei territori a est del Danubio, conteso fra l’Ungheria e la Romania, venne affidato al comandante militare tedesco sostenuto dai locali Volksdeutsche, cit- tadini di etnia tedesca. L’Ungheria recuperò, invece, la regione della Baˇcka (l’attuale Voivodina), perduta nel 1920, e attuò una dura poli- tica nei confronti dei serbi. Agli ebrei locali, così come era avvenuto nel 1940 in Transilvania settentrionale, il governo di Budapest estese la legislazione discriminatoria già in vigore nella madrepatria. La resi- stenza armata e gli atti di sabotaggio da parte dei resistenti serbi pro- vocarono reazioni violente. In risposta a un’azione partigiana, nel gennaio 1942 le autorità ungheresi massacrarono a Novi Sad quasi 3.000 civili, in maggioranza serbi ed ebrei. La Slovenia venne spartita fra il Reich, che incorporò i due terzi settentrionali (province di Stiria e Carinzia), mentre all’Italia andarono la capitale Lubiana e le zone

limitrofe, il litorale di Trieste e parte della Dalmazia, territori che essa mantenne fino all’estate 1943.

Anche il Montenegro finì sotto l’occupazione militare italiana, la quale fallì, tuttavia, nel tentativo di creare un governo autoctono leale e incontrò in seguito grandi difficoltà a domare le frequenti rivolte che, come quella del luglio 1941, investirono ampie zone del paese. L’esercito italiano impiegò un anno a reprimere la ribellione, senza pe- raltro riuscire a ristabilire la propria autorità su un territorio tanto im- pervio. Sull’occupazione militare italiana del 1941-43 della Slovenia, della Dalmazia e del Montenegro diversi recenti studi decostruiscono il mito, accettato da molti specialisti stranieri, di un’“occupazione alle- gra” (per usare un’espressione introdotta dalla storiografia jugoslava e recentemente ripresa da Eric Gobetti), ovvero, di un regime di super- visione blando e sostanzialmente tollerante. Il quadro che emerge dalle nuove ricerche descrive invece un’amministrazione militare caotica, de- bole, inefficiente e meno sistematica di quella tedesca anche nella re- pressione ma, proprio per questo, spesso capace di atti di uguale fero- cia18. Alla strategia dei patti di non belligeranza con le élite locali si

accompagnò un velleitario tentativo di italianizzazione, dove l’arrogan- za dell’occupante e la sua convinzione di svolgere una “missione civi- lizzatrice” analoga a quella degli imperi romano e napoleonico si in- crociavano con un diffuso senso di impotenza e frustrazione19. L’im-

provvisazione portò le autorità a infilarsi in situazioni paradossali: in Croazia, esse contrastarono la politica antiserba della locale coalizione croato-musulmana, negligendo gli atti di sabotaggio e terrorismo com- piuti dalla popolazione serba20. Un ruolo importante venne, infine,

svolto dall’Italia nelle regioni occupate della Macedonia occidentale (il resto della regione era occupato dalla Bulgaria) e soprattutto nel Koso- vo centro-meridionale. Le due zone a maggioranza albanese furono an- nesse ai territori albanesi sotto occupazione italiana sin dall’aprile 1939. Con lo smembramento della Jugoslavia si venne a formare una “Grande Albania”, per quanto in un quadro di dominazione straniera e di anarchia politico-militare. La popolazione kosovara accolse inizial- mente gli italiani come liberatori e Roma rispose con misure di pro- mozione della lingua albanese. Alla regione non fu, tuttavia, concessa un’amministrazione autonoma locale neppure dopo l’8 settembre 1943, quando la Germania rilevò il controllo dell’Albania21.

Il caso più interessante e controverso, per i suoi risvolti successivi a partire dal secondo dopoguerra fino alle guerre balcaniche del 1991-95, è costituito dalla Croazia. Secondo Barbara Jelavich, il regi- me ustaˇsa poggiava su strutture deboli, controllate fino al 1943 dal

governo fascista italiano. La sua legittimità nazionale era inoltre mina- ta dalla perdita del litorale. Lo Stato croato era, in realtà, una creatu- ra multietnica: dei 6,5 milioni di abitanti, appena 3,4 milioni si di- chiaravano croati, contro 2 milioni di serbi, 700.000 musulmani, 150.000 tedeschi e 18.000 ebrei22. Ante Paveli´c, a capo dei fascisti

croati da oltre un decennio, era stato designato dallo stesso Mussoli- ni. Nel maggio 1941 la Croazia venne dichiarata una monarchia sotto il principe Aimone di Spoleto – già duca di Savoia – divenuto Tomi- slav II, che non visitò mai il proprio regno. Zagabria aderì al patto

tripartito e al patto anti Komintern, ma venne riconosciuta solo dagli alleati dell’Asse e da Stati indipendenti non ostili alla Germania, come Finlandia e Spagna23. I partiti politici del periodo jugoslavo,

compreso quello contadino di Maˇcek, mantennero un atteggiamento riservato, sospesi fra ostilità e collaborazione limitata. Una posizione più benevola, anche se non totalmente acritica, venne assunta dall’in- fluente Chiesa cattolica, guidata dall’arcivescovo di Zagabria Alojzije Stepinac, il quale condannò gli eccessi razzisti del regime ma appog- giò fervidamente la campagna di conversione forzata al cattolicesimo e di snazionalizzazione condotta nelle regioni a maggioranza serba (Krajine) della Bosnia24.

Lo Stato croato si distinse per l’estrema brutalità con la quale cercò di risolvere la questione etnica, una violenza fortemente ideo- logizzata, non frutto di pura imitazione del modello hitleriano, che a differenza degli altri regimi filonazisti dell’Europa orientale – con l’eccezione della Bulgaria – non si rivolse in primo luogo contro la (piccola) comunità ebraica, quanto, piuttosto, contro la popolazione serba e rom. Gli eccidi organizzati nella primavera del 1941 furono seguiti, in agosto, dall’allestimento dei campi di concentramento e sterminio intorno a Jasenovac, sulle rive del fiume Sava. Per quasi quattro anni vi transitarono centinaia di migliaia di detenuti e, se- condo le stime più aggiornate, sulle quali convergono ormai ricerca- tori serbi, croati e occidentali, vi furono uccise circa 100.000 perso- ne. Oltre a gran parte della comunità ebraica croata, perirono 50.000 serbi e oltre 30.000 cittadini di etnia rom25. Da solo, il

complesso di Jasenovac fu responsabile di un decimo del milione di morti causati dal 1941 al 1945 dal conflitto mondiale in Jugoslavia. Il bilancio totale delle politiche razziali del fascismo croato raggiun- ge il mezzo milione di morti, tre quarti dei quali di nazionalità ser- ba. Nessun alleato di Hitler riuscì a perpetrare, senza alcuna pres- sione politica o cooperazione logistica tedesca, un massacro di tali proporzioni.

2.3.2. L’ATTACCO TEDESCO ALL’URSS E LO STERMINIO

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