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LA BULGARIA DA STAMBOLIJSKI A BORIS

Vincitori e sconfitti: Polonia, Romania, Ungheria e Bulgaria

1.5.4. LA BULGARIA DA STAMBOLIJSKI A BORIS

Per la Bulgaria il trattato di Neully sancì la perdita di tutti i territori occupati durante la guerra e gettò il paese nell’isolamento internazio- nale, obbligandolo al pagamento di pesantissime riparazioni, che rovi- narono le finanze statali, e imponendo la riduzione dell’esercito a di- mensioni simboliche. Al nuovo Stato, una monarchia costituzionale retta da Boris III, restarono 103.000 km2 e meno di 6 milioni di abi-

tanti, prevalentemente rurali. Al censimento del 1934 i bulgari, di re- ligione ortodossa, rappresentavano l’87% della popolazione e i turchi musulmani il 10%, mentre le altre comunità (macedoni, ebrei, arme- ni, romeni, russi) conservavano un peso trascurabile76. Rispetto non

solo agli altri Stati balcanici ma anche all’Ungheria e alla Polonia, il paese si distingueva per una struttura fondiaria democratica, basata sulla piccola e la media proprietà (il 70% degli appezzamenti coltiva- bili era compreso fra 5 e 50 ettari). Tale assetto derivava dalla radica- le riforma agraria su base etnica attuata dopo la guerra russo-turca

(1877-78), che aveva portato all’esodo della popolazione turca più abbiente.

L’esperimento politico populista portato avanti nei primi anni dal leader dell’Unione agraria e primo ministro Aleksandar Stambolijski trovò, così, un contesto sociale e politico favorevole. Il partito di Stambolijski, l’Unione agraria (Balgarski Zamedelski Naroden Sajuz –

BZNS), già contrario alla guerra e animato da un forte pregiudizio an-

tiurbano e antielitario, andò al governo dopo le elezioni del 1919, vinte con oltre il 30% dei voti, mentre il partito comunista bulgaro si piazzava secondo con il 18%: la percentuale più alta mai ottenuta nell’intera regione da un partito comunista prima della Seconda guer- ra mondiale77. Dopo alcuni mesi di difficile coalizione con altri parti-

ti di sinistra, il BZNS ottenne una vittoria schiacciante alle nuove ele-

zioni del marzo 1920 che permise a Stambolijski di governare da solo. Iniziò un triennio di regime semiautoritario dai tratti rivoluzio- nari, che incise fortemente sulla storia politica e sociale bulgara del Novecento. A differenza della Romania, dove il pregiudizio antiurba- no si esauriva nell’odio etnico e nella violenza politica dell’estrema destra, nel regime agrario bulgaro le tendenze illiberali (ad esempio la formazione delle Guardie arancioni, corpi paramilitari incaricati di perseguitare gli oppositori politici; la retorica ferocemente antiurba- na) si accompagnarono a numerosi provvedimenti volti a trasformare la società e a innalzare il suo livello di vita78. Stambolijski impose un

limite di 30 ettari alla proprietà agraria, introdusse il servizio civile obbligatorio maschile e femminile, varò una tassazione punitiva nei confronti della borghesia urbana e dei capitali (banche e assicurazio- ni), incoraggiò la formazione di cooperative agricole sostenute da consorzi statali per il grano e il tabacco. La fondazione di centinaia di scuole rurali contribuì alla lotta all’analfabetismo, che diminuì dal 58% del 1910 al 31% del 193479. Questo dato collocava la Bulgaria

nella media della zona balcanica. In Jugoslavia la percentuale di anal- fabeti si attestava negli anni trenta intorno al 40%, con una forte dif- ferenziazione regionale fra la Slovenia (5%) e la Bosnia-Erzegovina o la Macedonia, dove superava il 65%80.

Se la politica economica e sociale di Stambolijski fu dominata da un’ideologia di stampo volontaristico che gli alienò interi gruppi so- ciali e contribuì alla sua caduta, la sua politica estera apportò pro- fondi cambiamenti alla tradizionale ideologia nazionale bulgara. Stambolijski improntò la propria strategia internazionale all’antirevi- sionismo (con un atteggiamento conciliante verso il regno SHS sulla

questione macedone) e, mentre tentava senza troppo successo di dif- fondere nell’Europa centro-orientale l’ideologia ruralista attraverso

l’Internazionale verde, cercò di far uscire il paese dall’isolamento di- plomatico. Nel marzo 1923 firmò a Niˇs un accordo con il regno SHS

quale primo passo verso la formazione di una Federazione balcanica in grado di risolvere il problema macedone81. Alla moderazione di-

plomatica del BZNS faceva da contraltare la sua aggressiva costruzione

di un’egemonia politica che incontrava sempre più oppositori. Nel 1922 partiti conservatori e di estrema destra, sostenuti da organizza- zioni di tipo terroristico come l’Organizzazione rivoluzionaria interna macedone (in lingua macedone Vnatreˇsna Makedonska Revolucioner-

na Organizacija – VMRO) e da settori dell’esercito, si unirono in

un’opposizione decisa al regime. Il 22 aprile 1923 le elezioni per il rinnovo della Camera decretarono una schiacciante vittoria del BZNS,

che conquistò 212 dei 243 mandati, e una disfatta del cosiddetto “Blocco costituzionale”. L’unico modo per eliminare gli agrari e Stambolijski rimaneva il ricorso al colpo di Stato, poi attuato nella notte tra l’8 e il 9 giugno 192382.

L’assassinio del primo ministro chiuse una fase complessa ma di- namica della recente storia del paese e ne aprì una convulsa nella quale, fino al 1940, un sostanziale pluralismo convisse con tentativi di colpi di mano e atti di terrorismo. Nel settembre 1923 l’ancora po- tente partito comunista bulgaro tentò, su ordine del Komintern, un’insurrezione armata che l’esercito represse con violenza. I massimi dirigenti, Vasil Kolarov e Georgi Dimitrov (quest’ultimo dirigente e poi segretario generale del Komintern dal 1935 al 1943), furono co- stretti a riparare all’estero. Nel 1924 il partito venne ufficialmente bandito e tutto il gruppo dirigente si rifugiò in Unione Sovietica. In un primo momento, le direttive provenienti da Mosca spinsero i mili- tanti clandestini all’azione terroristica. Nell’aprile 1925, durante i fu- nerali di un generale impegnato nella repressione anticomunista, un’e- splosione devastò la cattedrale di Sveta Nedelja a Sofia: 163 apparte- nenti all’élite politica e militare del paese vennero uccisi e circa 500 rimasero feriti. La successiva campagna di terrore poliziesco determi- nò un sostanziale indebolimento del movimento comunista e delle forze di sinistra, Unione agraria inclusa. Solo nel 1936 i comunisti bulgari riuscirono a rientrare nella sfera pubblica grazie all’organizza- zione di un Fronte popolare. La Bulgaria fu l’unico paese esteuropeo in cui il partito comunista, al momento dell’occupazione sovietica nell’autunno 1944, risultasse indebolito rispetto alle posizioni occupa- te nel periodo interbellico83.

Dal 1926 al 1934 il paese conobbe un consolidamento istituziona- le. Le elezioni del 1931, abbastanza libere, portarono alla formazione di un governo di coalizione agraria guidato da Nikola Muˇsanov, che

si rifaceva al romeno Maniu e tentò di alleviare gli effetti della crisi (devastanti soprattutto per le esportazioni agricole), pur senza ricorre- re al radicalismo di Stambolijski. Nel maggio 1934, tuttavia, il gover- no venne rovesciato da un colpo di Stato ispirato da un movimento paramilitare denominato Zveno (Collegamento), guidato dai colonnel- li Damjan Velˇcev e Kimon Georgiev, che istituì un sistema dittatoria- le basato sul corporativismo. Fondato nel 1930, Zveno non era un movimento fascista di massa e non proponeva una propria ideologia. In politica estera si opponeva all’orientamento filoitaliano e filotede- sco di parte dell’élite bulgara, soprattutto di origine macedone, e orientò il paese in senso filooccidentale. Si nutriva soprattutto, come la sanacja polacca, di un diffuso malcontento nei confronti del parla- mentarismo e dei partiti politici (inclusa l’ultranazionalista VMRO ma-

cedone), dei quali ordinò lo scioglimento. Nel gennaio 1935, tuttavia, emerse il crescente ruolo politico del sovrano nella gestione delle fre- quenti crisi. Re Boris III estromise dal governo gli “zvenari” e instau-

rò un sistema di «democrazia disciplinata»84. Il re governò il paese

fino quasi alla fine della Seconda guerra mondiale, cercando di limita- re l’influenza tedesca e italiana (la famiglia dello zar bulgaro era di origini italiane) e assicurando un certo pluralismo politico.

1.6

Alla periferia dell’Europa di mezzo:

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