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La Seconda guerra mondiale

2.1

La sfida tedesca, 1938-39

Alla fine degli anni trenta la Germania nazista iniziò a preparare il terreno per una guerra europea di conquista attraverso un impres- sionante spiegamento di risorse ideologiche, diplomatiche ed econo- miche. Entro il 1941 tutti gli Stati della regione finirono per soc- combere all’offensiva tedesca: come vittime aggredite militarmente (Polonia e Jugoslavia), come oggetto di occupazione militare (Ceco- slovacchia), come alleati/satelliti (Ungheria, Romania e Bulgaria) o, infine, come Stati formalmente indipendenti ma in realtà vassalli del Reich tedesco (Slovacchia e Croazia). Sin dalla presa del potere da parte di Hitler, la sua politica estera mirò apertamente alla revisione del trattato di Versailles e alla conquista dello “spazio vitale” per una Grossdeutschland patria di tutti i tedeschi che vivevano dispersi nella metà orientale del continente. Nell’ottobre 1933 la Germania uscì dalla Società delle nazioni; nel febbraio 1935 riottenne in segui- to a un plebiscito il bacino carbonifero della Saar e nel marzo 1936 rimilitarizzò la Renania, violando le clausole del trattato di Versail- les. Nel 1934 Hitler tentò anche un colpo di mano in Austria, ma fu allora contrastato dall’opposizione del fascismo italiano a un’espan- sione tedesca a Sud.

L’annessione pacifica dell’Austria alla Germania del 15 marzo 1938 accelerò drammaticamente la crisi europea. Né l’alleato italiano, né le potenze occidentali, né, tantomeno, l’Unione Sovietica di Stalin mostrarono alcun reale interesse a difendere il sistema di Versailles. La vicenda austriaca innescò un effetto domino, la cui prima vittima fu l’architrave dell’intero sistema di sicurezza europeo, la Cecoslovac- chia. Subito dopo l’Anschluss, fra le popolazioni tedesche della Ceco- slovacchia – riunite nel partito dei Sudeti di Konrad Heinlein e Karl

Hermann Frank – si diffuse una mobilitazione nazionalista che venne presto a fondersi con la crescente insoddisfazione degli slovacchi. Il partito popolare, guidato da due prelati cattolici – Andrej Hlinka (1920-38) e Jozef Tiso (1938-45) –, chiedeva l’autonomia della regio- ne, mentre gli ungheresi di Slovacchia pretendevano la riannessione alla madrepatria. Hitler appoggiava il movimento nei Sudeti e in caso di conflitto contava sull’appoggio militare dell’Ungheria, cui veniva promessa la Slovacchia meridionale. Budapest non aveva mezzi e ri- sorse per combattere, preferendo trattative bilaterali con il governo cecoslovacco. Il presidente della repubblica, Beneˇs, rifiutò ogni ipote- si di autonomia ai Sudeti e alla Slovacchia e il 21 maggio 1938 proce- dette al richiamo dei riservisti. La Gran Bretagna e la Francia cerca- rono di mediare, ma entrambe contavano su un appoggio militare alla Cecoslovacchia da parte dell’URSS, che nel 1935 aveva stretto con essa

un trattato di assistenza. Tuttavia, Stalin pose la condizione che le truppe arrivassero in Cecoslovacchia passando dalla Polonia e dalla Romania, che però si opposero.

Nel settembre 1938 la situazione giunse al punto di non ritorno. Dopo inconcludenti trattative tra il governo cecoslovacco e i leader tedeschi dei Sudeti, in un violento discorso a Norimberga (12 settem- bre) Hitler invocò il diritto all’autodeterminazione per la comunità tedesca. Mentre il primo ministro inglese Chamberlain concordava con le parti una revisione “etnica” del confine ceco-tedesco, Hitler aumentò la posta in gioco, evocando il problema degli ungheresi in Slovacchia e dei polacchi a Teschen. La guerra, che appariva inevita- bile, venne temporaneamente evitata in seguito alla conferenza di Monaco del 29-30 settembre. Hitler, Mussolini, Chamberlain e il pri- mo ministro francese, Daladier, si accordarono sulla cessione alla Germania dei territori germanofoni dei Sudeti e garantirono le nuove frontiere della Cecoslovacchia. La repubblica aveva da poco costruito un sistema di fortificazioni all’avanguardia nella regione dei Sudeti, che avrebbe potuto mettere in seria difficoltà l’esercito tedesco. A sud-est, l’Ungheria disponeva di un potenziale militare assai modesto. Nonostante questo, lo Stato cecoslovacco crollò senza opporre alcuna resistenza1.

Il 6 ottobre, il nuovo governo ceco di centro-destra concesse l’au- tonomia alla Slovacchia e alla Rutenia, mentre il 2 novembre, a Vien- na, un arbitrato italo-tedesco approvato dagli anglo-francesi dispone- va il ritorno all’Ungheria della Slovacchia meridionale (un milione di persone, oltre due terzi delle quali di nazionalità ungherese). La muti- lazione territoriale della Cecoslovacchia indusse Beneˇs a dimettersi e a lasciare il paese. Essa segnò anche la fine della Piccola Intesa, i cui

membri non tentarono neppure di difendere l’alleato: la Romania car- lista era strettamente controllata dalla Germania e ospitava importanti minoranze tedesche, mentre la Jugoslavia subiva la pressione congiun- ta italo-tedesca.

La conferenza di Monaco e il successivo arbitrato di Vienna, dei quali la classe politica europeo-occidentale si sarebbe vergognata nei decenni successivi, presentavano un duplice paradosso. Da un lato, essi legittimarono i metodi hitleriani, mentre, dall’altro, l’applicazione dei principi wilsoniani sul confine etnico e sul diritto all’autodetermi- nazione contribuì in modo determinante al crollo in Cecoslovacchia del sistema democratico su di essi fondato. Secondo Carol Skalnik Leff, il centralismo praghese, proclamato nel nome del nation-build-

ing cecoslovacco, aveva portato in un vicolo cieco il conflitto tra le

due nazionalità “titolari” a causa del cocciuto rifiuto di riconoscere i diritti di autonomia slovacchi. Con Monaco entrò in crisi irreversibile il «modello di relazioni triangolari di élite» fra cechi unitaristi, slovac- chi “cecoslovacchisti” e slovacchi autonomisti che dal 1918 aveva ret- to la repubblica2.

Nei mesi successivi, l’agonia dello Stato cecoslovacco proseguì con uno spostamento a destra del baricentro politico e la messa al bando del partito comunista. Nel marzo 1939 la crisi giunse a un al- tro snodo. Il 10 marzo il presidente ceco Emil Hácha, successore di Beneˇs ed esponente dell’élite conservatrice cattolica, destituì il gover- no slovacco guidato da monsignor Tiso e proclamò lo stato d’emer- genza. Tiso rispose proclamando il 14 marzo l’indipendenza della Slovacchia, con l’appoggio determinante di Hitler. Il giorno seguente, l’esercito tedesco occupò ciò che restava della Cecoslovacchia, il cui territorio divenne il “Protettorato tedesco di Boemia e Moravia”. Há- cha restò sino alla fine della guerra presidente del Protettorato, i cui organi amministrativi svolsero fino al 1945 un ruolo di collaborazione e mediazione fra gli occupanti e la popolazione ceca.

Apparve, tuttavia, evidente che Hitler non si sarebbe arrestato alla Cecoslovacchia. Il 22 marzo fece occupare il porto di Memel, appartenente alla Lituania ma popolato da tedeschi; poi rivolse l’at- tenzione alla Polonia, le cui relazioni con il Reich, sostanzialmente corrette fino alla seconda metà degli anni trenta e regolate dal tratta- to di non aggressione del 1934, si erano deteriorate dopo Monaco. Il primo conflitto era sorto intorno a Danzica e al suo corridoio, la cui municipalità era diretta dal 1935 dal partito nazionalsocialista. Nel- l’ottobre 1938 la Germania propose alla Polonia di cederle la città, alla quale si sarebbe unita grazie a un’autostrada e a una ferrovia dal- lo statuto extraterritoriale. Il governo polacco oppose un netto rifiuto

ma la sua causa iniziò a pericolare nella primavera successiva, in se- guito alla firma del Patto d’acciaio italo-tedesco. Si trattava di un’al- leanza rivolta proprio contro la Polonia, le cui frontiere erano garan- tite – sulla carta – dagli anglo-francesi, dall’Ungheria (con la quale la Polonia condivideva ora la frontiera meridionale) e, infine, dall’Unio- ne Sovietica. Proprio quest’ultimo alleato avrebbe dato il colpo defi- nitivo al sistema di Versailles e all’illusione di poter preservare la pace europea.

2.2

Dal patto Molotov-Ribbentrop

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