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CECOSLOVACCHIA E POLONIA

Collaborazionismo e resistenza nei paesi occupat

2.4.1. CECOSLOVACCHIA E POLONIA

Collaborazionismo e resistenza nei paesi occupati

2.4.1. CECOSLOVACCHIA E POLONIA

L’annuncio del patto sovietico-tedesco nell’agosto 1939 e la successi- va, fruttuosa collaborazione fra i due regimi totalitari in Polonia la- sciò interdetta l’opinione pubblica progressista europea e paralizzò a lungo l’attività dei comunisti illegali ancora operanti in Europa orientale. Il Komintern, una pura cinghia di trasmissione della politi- ca estera sovietica, ricevette da Stalin l’ordine di sostenere la posi- zione di Mosca e non prendere parte ai movimenti di resistenza ai tedeschi37. Nei primi due anni di guerra, a guidare – con scarso

successo – il fronte civile antinazista furono i governi democratici in esilio: il Consiglio nazionale cecoslovacco guidato da Beneˇs, creato a Parigi nell’ottobre 1939 e riconosciuto nel luglio 1940 dal governo britannico come governo provvisorio, e il governo polacco a Parigi, e in seguito a Londra, guidato dal generale W/ladys/law Sikorski. So-

prattutto per quest’ultimo si poneva il dilemma del rapporto con l’Unione Sovietica. Stalin aveva deportato centinaia di migliaia di polacco-ucraini nel 1935-38 e un numero ancora maggiore di polac- chi dalle zone conquistate nel 1939. Con l’invasione tedesca del- l’URSS, il quadro ideologico tornò più chiaro e la strategia del Ko-

mintern si adeguò alle esigenze dello sforzo militare sovietico. I go- verni in esilio non comunisti si sforzarono di giungere a un accordo con l’Unione Sovietica.

Il compito si rivelò più agevole per Beneˇs, bendisposto verso i so- vietici per inclinazione politica generale e per l’evoluzione della situa- zione interna del Protettorato di Boemia e Moravia. Dopo oltre tre anni di tiepida collaborazione con le autorità di occupazione, la popo- lazione civile aveva qui iniziato a dare segnali di rivolta in seguito al- l’arrivo a Praga nel settembre 1941 di un luogotenente assai temuto, Reinhard Heydrich. L’integrazione dell’economia in quella del Reich e l’aumentata repressione antiebraica si aggiunsero al tentativo di liquida- re ogni residuo spazio politico rimasto alla popolazione ceca. Il 27 maggio 1942 due partigiani inviati da Londra riuscirono ad assassinare Heydrich, il dirigente nazista di più alto grado mai eliminato da un movimento di resistenza europeo38. Nonostante la reazione degli occu-

panti, che rasero al suolo due villaggi scelti a caso e ne massacrarono l’intera popolazione, funzionasse da deterrente sino alle ultime fasi del- la guerra, Beneˇs fu molto abile a conquistare alla sua opera di rico- stituzione di una Cecoslovacchia indipendente un consenso che spazia- va dalle forze politiche locali (agrari, socialisti nazionali, socialdemo- cratici, comunisti) fino ai governi occidentali e, soprattutto, all’URSS.

Nel dicembre 1943 egli firmò con Stalin, a Mosca, un importante trat- tato bilaterale di amicizia, che prevedeva la ricostituzione dello Stato ceco-slovacco entro i confini pre 1938 e l’espulsione della popolazione tedesca dalla regione dei Sudeti39. Dalla catastrofe politica di Monaco

Beneˇs aveva tratto l’insegnamento che la presenza di ampie minoranze non assimilate (vere e proprie “quinte colonne”) aveva costituito la causa scatenante del conflitto mondiale, e convenne con Stalin sulla necessità di dare alla futura Europa centro-orientale una forma il più possibile “nazionale”, cioè monoetnica, e al proprio paese un’impronta finalmente “slava”, ripulita da influenze germaniche e ungheresi40.

Nel caso cecoslovacco, la mancata integrazione della componente slovacca aveva contribuito alla disgregazione dello Stato e le vicende slovacche del 1939-44 dimostravano quanto la questione fosse com- plessa. Lo Stato slovacco indipendente di Jozef Tiso godette di un notevole consenso almeno fino al 1942. Si trattava di un regime auto- ritario di forte ispirazione cattolica, nel quale gli elementi di conser- vatorismo sociale e politico, uniti al nazionalismo anticeco e antiun- gherese, prevalevano sui postulati ideologici. Il regime di Tiso si ca- ratterizzò in senso antisemita soprattutto dopo il settembre 1940, quando una legge costituzionale autorizzò il governo a legiferare per decreto in materia di “arianizzazione”. Per i quasi 100.000 ebrei slo- vacchi ciò significò la spoliazione economica, la privazione del passa- porto e la concentrazione in campi speciali in attesa del loro trasferi- mento coatto in Palestina. Dopo l’invasione dell’URSSuna nuova legge

andò a regolare minuziosamente la discriminazione e l’esclusione de- gli ebrei dalla vita economica, sociale e culturale. Nell’ottobre 1941, circa 15.000 ebrei vennero deportati da Bratislava in campi di lavoro, mentre nel marzo-giugno 1942 le autorità slovacche disposero la de- portazione a Lublino e ad Auschwitz di 52.000 ebrei (solo parzial- mente attuata per l’intervento del Vaticano e delle organizzazioni sio- niste)41. Fino al 1944 la Slovacchia fu un debole ma fedele alleato

della Germania e i gruppi della resistenza agirono nell’isolamento dalla popolazione. La svolta fu provocata dall’offensiva sovietica nei Carpazi. Il 29 agosto 1944 venne proclamata un’insurrezione cui par- tecipò un’ampia ed eterogenea coalizione di forze: comunisti, volonta- ri legati al governo di Londra, nazionalisti slovacchi e militari che avevano rotto con il regime di Tiso. L’insurrezione, forte di 60.000 uomini in armi, si trasformò presto in una guerra semiregolare di cir- ca due mesi contro le unità slovacche e tedesche inviate a reprimerla, costò oltre 10.000 morti da entrambe le parti e fu seguita da una dura repressione42. La Slovacchia sarebbe stata liberata dalle truppe

sovietiche provenienti dall’Ungheria e dalla Romania solo nel marzo- aprile 1945.

Per gli uomini di governo polacchi, l’accordo con l’Unione Sovie- tica si presentava assai più problematico e moralmente scabroso. Sul- la scia dell’esperienza storica della resistenza successiva alle tre parti- zioni della seconda metà del Settecento, la società polacca aveva mes- so a punto meccanismi burocratici e dispositivi militari clandestini che funzionarono in modo efficiente sino a tutto il 1944, non solo nel territorio del Governatorato generale, ma anche in tutto quello del- l’ex repubblica polacca interbellica. Divisa in numerose fazioni e cor- renti (dal 1944 addirittura in due eserciti, uno filo-occidentale e l’al- tro filosovietico), la resistenza polacca all’occupazione tedesca fu la più attiva in Europa insieme a quella jugoslava e raggiunse risultati militari importanti: i sabotaggi impedirono a un trasporto su otto di raggiungere le truppe tedesche impegnate sul fronte orientale. Reparti irregolari polacchi tennero impegnato mezzo milione di soldati tede- schi e contingenti militari dell’armata del generale Anders combatte- rono in tutta Europa a fianco degli Alleati; il secondo corpo militare contribuì in modo decisivo alla liberazione di Bologna, il 21 aprile 1945 (il cimitero monumentale posto alla periferia orientale della città ospita i resti di quasi 1.500 soldati polacchi).

All’interno del paese, la resistenza si attivò per cercare di salva- re la popolazione ebraica. La diffusa convinzione che gli ebrei fos- sero un “corpo estraneo” nella società polacca lasciò il posto a sentimenti di pietà che portarono nel 1942 una scrittrice cattolica,

distintasi in precedenza per il suo nazionalismo e antisemitismo, a fondare un movimento clandestino di aiuto agli ebrei43. I suoi at-

tivisti riuscirono a salvare quasi 10.000 ebrei dal ghetto di Varsavia in condizioni di pericolo. Come sottolinea Carla Tonini, si trattò del «più grande atto di resistenza contro il progetto di sterminio di un intero popolo»44. Alla rivolta del ghetto di Varsavia dell’a-

prile-maggio 1943 seguì, nell’agosto-settembre 1944, una massiccia ribellione cui partecipò gran parte della popolazione della capitale e costò la vita a oltre 200.000 persone. I combattimenti terminaro- no il 2 ottobre, mentre i rivoltosi attendevano inutilmente l’inter- vento delle truppe sovietiche accampate sulla sponda destra della Vistola45. Proprio le reciproche diffidenze e la malcelata ostilità di

Stalin nei confronti dei polacchi amareggiarono una cooperazione necessaria in chiave antitedesca ma sempre conflittuale. Nonostante Sikorski firmasse nel giugno 1941 un patto di collaborazione con l’ambasciatore sovietico a Londra, Majskij, i due paesi restavano divisi dalla questione cruciale delle frontiere. Stalin chiedeva che l’URSS conservasse i territori ex polacchi situati a est della linea di

confine dei riti uniate e ortodosso, ovvero il confine polacco-rus- so proposto dal ministro degli Esteri inglese Curzon nel 1920, e questa posizione trionfò alla conferenza interalleata di Teheran svoltasi dal 28 novembre al primo dicembre 1943. La Polonia, che perse a vantaggio dell’URSS 110.000 km2 di territorio sulla frontie-

ra orientale, fu compensata con 60.000 km2 delle terre più fertili

dei prosperi possedimenti tedeschi situati a est dei fiumi Oder e Neisse46.

Al conflitto sulle frontiere si aggiunse un episodio solo apparen- temente minore: nell’aprile 1943 i polacchi furono informati dai nazi- sti del massacro di Katyn e dell’identità dei suoi perpetratori, che la propaganda tedesca indicò (una volta tanto, correttamente) nelle for- ze speciali sovietiche. La sconcertante rivelazione causò aspri contra- sti fra il governo di Londra (e la sua emanazione militare in Polonia, l’Armia Krajowa – AK, antifascista e filo-occidentale) e le forze parti-

giane organizzate dal partito comunista, ricreato nel 1942 da mili- tanti e agenti sovietici. La morte del primo ministro Sikorski nel lu- glio 1943 indebolì il governo in esilio, costretto a collaborare mili- tarmente con i sovietici in posizione sempre più subordinata man mano che il fronte avanzava verso ovest. Il 22 luglio 1944 venne creato a Lublino, su iniziativa sovietica, il Comitato nazionale di libe- razione polacca (PKWN) incaricato di amministrare i territori liberati

dall’Armata rossa; il 31 dicembre esso si trasformò in governo prov- visorio. Il nuovo primo ministro del governo in esilio a Londra, Sta-

nis/law Miko/lajczyk, si trovò in una situazione disperata: l’assetto ter-

ritoriale del paese dipendeva unicamente dalla benevolenza di Stalin, mentre il minuscolo partito comunista polacco si metteva al servizio dell’Armata rossa nella sovietizzazione dei territori orientali già libe- rati. Qui il grosso della repressione (60.000 arresti, 50.000 deportati in Unione Sovietica) si verificò prima ancora della fine della guerra. L’occupazione tedesca e sovietica aveva fatto tabula rasa dell’élite mi- litare e amministrativa e nel 1945 il paese non disponeva più di una propria macchina statale.

2.4.2. LOTTA DI LIBERAZIONE E GUERRE CIVILI

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