Politica ed economia negli anni della transizione
3.3.4. I TERRITORI SOVIETIZZATI : REPRESSIONE E MOVIMENTI DI RESISTENZA
Nei paesi del Baltico e in Ucraina, in Belarus e in Moldavia le vio- lenze continuarono ben oltre la fine della guerra. I territori già entrati in possesso dell’URSS nel 1939-40, in seguito al patto Molotov-Ribben-
trop, vennero riconquistati dall’Armata rossa nel 1943-44 e sottoposti fino all’inizio degli anni cinquanta a una sovietizzazione particolar- mente brutale. Essa fu contrastata da una tenace resistenza armata, alla quale i sovietici reagirono con la deportazione dei “banditi” e delle loro famiglie. Nei nuovi territori Stalin operò con la stessa pa- noplia di strumenti di natura nazionale e sociale già impiegati nel 1939-41. In Lituania, ai contadini venne restituita la terra che, dopo l’invasione, i tedeschi avevano riconsegnato alla Chiesa cattolica e ai grandi proprietari (in buona parte di nazionalità tedesca). Vilnius, che nel periodo interbellico era appartenuta alla Polonia e dove nel 1939 i lituani avevano rappresentato appena il 2% della popolazione, divenne in pochi anni una città “lituano-sovietica”, in cui la naziona- lità titolare si trovò in netta maggioranza rispetto ai pochi polacchi sopravvissuti al conflitto e agli spostamenti di popolazione78. La “li-
tuanizzazione” della repubblica fu promossa e sostenuta dal primo segretario del partito comunista in carica fino al 1974, Antanas Snieˇc- kus. Meno accentuata fu l’indigenizzazione delle nuove strutture sta- tali in Estonia e in Lettonia, dove l’elemento russo si rafforzò costan- temente nei decenni del socialismo sovietico, soprattutto nei grandi centri urbani come Tallinn e Riga.
Fino al 1953, la sovietizzazione incontrò nel Baltico una resistenza accanita. Le bande dei guerriglieri indipendentisti, aiutate dalla popo- lazione e costituite da ex membri delle formazioni che avevano godu- to dell’appoggio tedesco contro i sovietici, arrivarono a contare circa 50.000 uomini che condividevano un programma nazionalista di indi- pendenza ed erano fiancheggiati dalla popolazione locale. La liquida- zione dei Fratelli della foresta (come essi si denominavano) impegnò per quasi un decennio numerosi reparti dell’esercito e delle forze di sicurezza sovietici e rappresentò un capitolo complesso e ancora poco esplorato delle vicende dell’Europa orientale del secondo dopoguerra. Dagli Stati baltici all’Ucraina e alla Romania i partigiani anticomunisti vengono oggi celebrati come eroi nazionali, sconfessando la condanna ufficiale dell’epoca comunista, motivata dalla collaborazione di loro esponenti con le truppe di occupazione nazista79.
La sovietizzazione dell’Ucraina occidentale si inserì nella micidiale sequenza di repressioni e orrori di massa iniziata con le purghe stali-
niane del 1937-38. In seguito alle modifiche del confine polacco-so- vietico e all’inclusione della Bucovina settentrionale e della Transcar- pazia, strappate alla Romania e all’Ungheria, il territorio della repub- blica passò da 445 a 576.000 km2. Secondo la definizione di Roman
Szporluk, l’Ucraina divenne per volontà di Stalin un’«imitazione di Stato»80 quando, nel gennaio 1945, il Comitato centrale del PC(b)US
dispose la creazione di ministeri degli Esteri e di delegazioni diplo- matiche delle repubbliche di Ucraina e Belarus per consentire all’URSS
di aumentare il proprio peso politico alla conferenza di pace. A parti- re dal 1943 Stalin appoggiò l’aspirazione degli ucraini dell’Europa orientale a unificarsi nella repubblica sovietica con questo nome. Il dittatore sovietico non era, secondo Serhiy Yekelchuk, un inveterato “etnicista” ma un politico che ragionava strumentalmente in termini di categorie nazionali81. Nella città di Leopoli, storicamente popolata
da polacchi ed ebrei, gli ucraini passarono in appena tre anni, dal 1943 al 1946, dal 30% al 74% della popolazione grazie all’afflusso di oltre 400.000 connazionali che andarono a occupare le posizioni am- ministrative lasciate scoperte dalla catastrofe demografica causata dal- la guerra82. Non vi era contraddizione tra il fatto che nel 1944 Niki-
ta Chruˇsˇcëv, nelle sue vesti di primo segretario del partito dell’Ucrai- na, rivendicasse la Crimea per la sua repubblica (richiesta alla quale lo Stato sovietico avrebbe aderito nel 1954), e la caccia spietata al nazionalismo indipendentista ucraino alla quale egli stesso presiedette nel secondo dopoguerra.
A partire dalla fine del 1943, il problema principale degli ideologi bolscevichi in Ucraina divenne la creazione di una visione nazionale e “slava” del paese, distinta da quella dei nazionalisti dell’esercito in- surrezionale. Dopo la Seconda guerra mondiale una delle principali vittime del sincretismo ideologico bolscevico fra internazionalismo e patriottismo divenne la Chiesa cattolica di rito greco. L’uniatismo traeva origine dall’Unione di Brest, l’atto di separazione dal Patriarca- to di Mosca che nel 1595-96 aveva posto gran parte degli ucraini e dei bielorussi ortodossi sotto la giurisdizione del papa di Roma. Stalin considerava il cattolicesimo orientale, che contava in Ucraina oltre 4 milioni di fedeli – guidati dall’arcivescovo di Leopoli, Iosyf Slipyj –, uno dei maggiori ostacoli all’integrazione sovietica dell’Ucraina e at- traverso le autorità locali avviò una campagna di denigrazione intesa a dimostrare la connivenza del clero uniate con gli invasori nazisti. L’arcivescovo venne arrestato nell’aprile 1945 e condannato a 8 anni di lavori forzati insieme ad altri religiosi. Nel marzo 1946 il governo sovietico imbastì la convocazione di un sinodo che sancì la «riunifica- zione» della Chiesa uniate galiziana con il Patriarcato ortodosso rus-
so. Numerosi religiosi, monaci e fedeli che rifiutarono di abiurare vennero arrestati e deportati in campi di lavoro forzato. L’esempio venne seguito nel 1948 dalle autorità romene e cecoslovacche, mentre nel 1949 fu decretato lo scioglimento della Chiesa uniate della Tran- scarpazia83.
La resistenza armata nelle regioni della Galizia e della Volinia, oc- cupate per la prima volta dall’URSS nel 1939, si trasformò in una
guerra semiregolare dal bilancio pesantissimo. Nel 1946 un rapporto ufficiale ammise l’uccisione, durante la riconquista dell’Ucraina, di 110.000 “banditi” e l’arresto di altri 250.00084. L’UPA, l’esercito in-
surrezionale ucraino, nei tre anni di guerra civile a sua volta aveva eliminato circa 30.000 funzionari e soldati sovietici, colpendo anche i civili sospettati di collaborare con le nuove autorità. Nel 1953 il mini- stro dell’Interno, Lavrentij Berija, stimò in mezzo milione le persone uccise o arrestate dal 1944 dell’Ucraina occidentale85. Particolarmen-
te colpite furono le regioni annesse all’URSS dalla Romania e dall’Un-
gheria, la cui popolazione non slava venne sottoposta a più riprese a repressioni sistematiche, particolarmente estese negli ex territori ro- meni. Nel 1944-60, dalla Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia (RSSM) circa mezzo milione di cittadini di nazionalità romena venne
deportato nelle regioni interne dell’URSS. A ciò si aggiunga che nel
1946-47 il paese subì le terribili conseguenze di una carestia che, se- condo le stime di una commissione scientifica moldava incaricata di valutare l’impatto delle repressioni in epoca sovietica, provocò la morte di 200.000 persone e che può essere in parte addebitata all’in- differenza delle autorità86.
Anche la Transcarpazia subì, nel 1944-45, un’ondata di deporta- zioni. Dalla piccola regione, che nello scorso secolo cambiò per ben cinque volte la propria appartenenza statale (impero asburgico, Ceco- slovacchia, Ungheria, Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina, Ucraina indipendente), nell’autunno 1944 circa un decimo della po- polazione di etnia ungherese venne deportata nei campi di lavoro si- beriani, insieme ad altri 300.000 cittadini dell’Ungheria orientale, a seguito di un’operazione definita nel gergo dei servizi di sicurezza
malenkaja rabota (lavoretto). Molti dei deportati, soprattutto anziani e
donne, morirono in prigionia, mentre gli altri fecero ritorno dopo quasi dieci anni87. Nel gennaio 1953 i cosiddetti “insediamenti spe-
ciali” siberiani ospitavano ancora 171.000 membri dell’esercito rivolu- zionario ucraino, 138.000 persone provenienti dal Baltico (di cui 80.000 lituani), 35.000 polacchi, altrettanti moldavi e 18.000 kulaki prelevati dalla Lituania nel 195188. Il prezzo più alto della sovietizza-
proprio dalle regioni annesse, o riannesse, all’URSS alla fine della
guerra.