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L ’ ATTACCO TEDESCO ALL ’ URSS E LO STERMINIO DEGLI EBREI ORIENTAL

Guerra di sterminio a Est

2.3.2. L ’ ATTACCO TEDESCO ALL ’ URSS E LO STERMINIO DEGLI EBREI ORIENTAL

L’attacco della Germania all’URSS nel giugno 1941 era stato pianifica-

to a Berlino da oltre un anno e solo l’invasione della Jugoslavia ne ritardò l’attuazione di qualche mese. Secondo Mark Mazower, la guerra a Est, che assunse immediatamente un carattere “totale” e ge- nocida, dette una spinta decisiva al progetto nazista di costruire una nuova Europa, dominata dal Reich e ripulita delle sue componenti “indesiderabili”, in primo luogo gli ebrei e le popolazioni slave26. La

politica antisemita codificata dalle leggi di Norimberga e adottata in tutta l’Europa orientale a eccezione della Bulgaria fu seguita dall’alle- stimento dei ghetti in Polonia nel 1940 e raggiunse lo stadio successi- vo con la formazione nell’estate 1941 di “gruppi speciali” mobili (Einsatzgruppen). Tali unità accompagnarono fino al 1943 il fronte so- vietico in continuo avanzamento e perseguirono il compito di “ripuli- re” i territori conquistati da elementi sospetti, funzionari del partito comunista sovietico, ma, in primo luogo, dagli ebrei. In meno di tre anni, l’azione genocida condotta su un territorio vastissimo da un ap- parato di 300.000 unità, compresi gli ausiliari locali, provocò la morte di quasi 2 milioni di persone, in grande maggioranza ebrei del Baltico e originari dell’antica “zona di insediamento” di epoca zarista, gli

shtetl27. Intere comunità plurisecolari (Bia/lystok in Polonia, Vilnius e

Kaunas in Lituania) vennero annientate a colpi di mitragliatrice nel giro di pochi giorni. Fra gli alleati dei nazisti, le truppe di occupazio- ne romena contribuirono con propri Einsatzgruppen agli eccidi che accompagnarono l’invasione dell’URSS in Bessarabia e Bucovina e nel-

la città di Odessa. Secondo le stime di Radu Ioanid, nel 1941-42 il governo romeno guidato dal generale Antonescu organizzò lo stermi- nio di 280-300.000 ebrei e circa 10.000 rom, deportati e massacrati nella regione della Transnistria28.

L’invasione tedesca assunse un carattere genocida anche nel trat- tamento dei prigionieri di guerra sovietici, soprattutto in Ucraina, Be- larus e nella regione della Volga. Nel febbraio 1942 la mortalità dei campi di detenzione e concentramento raggiungeva percentuali eleva- tissime e dei quasi 4 milioni di soldati catturati ne restavano in vita appena 1,1. La popolazione civile delle grandi città conquistate venne decimata dalla fame e dalle violenze degli occupanti29. Diversi autori

sottolineano che la ferocia delle politiche naziste nei territori orientali occupati nel 1941-44 contribuì ad alienare all’amministrazione tede- sca anche le simpatie di coloro, come i nazionalisti ucraini dell’OUN-B,

guidata da Stepan Bandera, aveva salutato le truppe tedesche come liberatrici e tentato di costruire un esercito nazionale antibolscevico: un progetto fallito proprio per l’opposizione del comando militare te- desco30. Solo nel 1943 i tedeschi accolsero la richiesta del Comitato

centrale ucraino a Cracovia di istituire un corpo armato di ucraini: la divisione SS-Galizien, forte di 22.000 uomini, che combatté sotto il

comando germanico non solo in Ucraina ma anche in Slovacchia e nei Balcani, dove venne impegnata nella repressione della rivolta slo- vacca dell’agosto 1944 e nella lotta antipartigiana. Alla vigilia del crollo del Reich, questa unità si era trasformata nella “prima divisione dell’Armata nazionale ucraina”, che contava oltre 70.000 effettivi31.

Nel Baltico la collaborazione con le autorità naziste venne favorita da un approccio meno ostile alle popolazioni locali, dovuto anche al- l’importante presenza storica tedesca, e dallo spirito pubblico che, dopo due anni di occupazione, accomunava la quasi totalità della po- polazione nel sentimento antisovietico. Nel 1941 venne creato il Commissariato del Reich per il territorio orientale, composto dai di- stretti generali di Estonia, Lettonia, Lituania e Russia Bianca, sotto- posto a un commissariato centrale con sede a Riga. L’occupazione te- desca garantì al Baltico un’autonomia puramente formale. L’econo- mia venne solo parzialmente riprivatizzata e fu sopratutto messa al servizio della pianificazione bellica; le terre espropriate nel periodo sovietico furono solo date in affitto ai contadini, non restituite. Nelle terre baltiche, e in particolare in Lettonia, la politica di sterminio an- tiebraico si manifestò immediatamente nelle sue forme più brutali: al- l’inizio del 1942 il comando locale delle SS di Riga comunicava l’avve-

nuta liquidazione di 229.000 ebrei lettoni32. Gran parte degli eccidi

vennero condotti dai battaglioni di polizia, nei quali era inquadrato personale locale, e in seguito da legioni di SS estoni e lettoni create

fra il 1942 e il 1943. Il bilancio totale dello sterminio ebraico nel Bal- tico raggiunse a fine conflitto i 250.000 morti. In Lituania, che pure possedeva un’importante comunità ebraica, sulla collaborazione con le autorità di occupazione prevalse invece un atteggiamento di ostili- tà. Esso produsse una decisa resistenza con atti di sabotaggio portati a segno dal locale partito comunista clandestino, o con il boicottaggio economico-politico delle forze di occupazione attuato dall’opposizio- ne nazionalista moderata.

Fu, tuttavia, in Polonia che la distruzione degli ebrei d’Europa as- sunse le dimensioni e le forme più spaventose. Il genocidio si sovrap- pose a una guerra brutale per l’intera popolazione polacca, indipen- dentemente dalla nazionalità e dalle convinzioni politiche. Hitler non intendeva sconfiggere la Polonia, ma cancellarne la stessa esistenza.

La presenza della più grande comunità ebraica europea trasformò la Polonia occupata nel terminale della deportazione degli ebrei europei e nel luogo del loro annientamento fisico. Alla conferenza di Wann- see (20 gennaio 1942), le autorità naziste concordarono tappe e meto- di della deportazione che avrebbe dovuto investire 21 milioni di ebrei sparsi in tutto il continente. Si iniziò ad ampliare e potenziare i cam- pi già esistenti (Auschwitz-Birkenau, Che/lmno) e a costruirne di nuo-

vi nel Governatorato generale (Sobibór, Be/l ˙zec, Treblinka: fino all’ot-

tobre del 1943 vennero qui sterminati 1,7 milioni di persone). Nel maggiore dei complessi concentrazionari, Auschwitz, dall’inizio del 1942 all’autunno 1944 venne trasportata in diverse ondate la popola- zione dei ghetti delle principali città polacche (Leopoli nel marzo 1942, Varsavia nel luglio-settembre 1943, /Lód´z nell’estate 1944), cui

si aggiunsero deportati ebrei dal Protettorato di Boemia e Moravia, dalla Slovacchia, dall’Olanda, dalla Grecia, dall’Austria e dall’Unghe- ria (questi ultimi, quasi mezzo milione, rappresentarono l’ultimo im- portante “trasporto”, nell’estate 1944). Oltre agli ebrei, nei campi della Polonia trovarono la morte centinaia di migliaia di polacchi e slavi, rom, omosessuali e oppositori politici. Ad Auschwitz vennero deportati 1,3 milioni di persone: 900.000 furono sterminate al loro arrivo, mentre altre 200.000 non sopravvissero agli stenti.

La Seconda guerra mondiale, più sanguinosa in Europa orientale che nella metà occidentale del continente, assunse in Polonia e in Ucraina un carattere genuinamente genocida. La pratica e la cultura della violenza entrarono a tal punto nella vita quotidiana da venire interiorizzate dagli stessi civili. Nel luglio 1941 gli abitanti non ebrei del villaggio di Jedwabne, un centro di appena 3.000 abitanti nel nord-est della Polonia – che nel 1939 aveva subìto l’occupazione so- vietica e veniva ora invaso dai nazisti – catturarono e uccisero meto- dicamente l’altra metà della popolazione, ovvero i loro compaesani ebrei “colpevoli” di avere collaborato con gli occupanti precedenti. Dalle indagini condotte negli anni novanta emerse che del pogrom, attribuito per decenni agli Einsatzgruppen, erano invece interamente responsabili i “vicini di casa”33. Un demografo polacco calcola che

fra il 1939 e il 1945 morirono in Polonia, vittime della violenza belli- ca e degli stenti, 5,6 milioni di persone, il 21% della popolazione prebellica. Esse si dividevano fra 3 milioni di ebrei (appena un deci- mo della comunità sopravvisse alla Shoah) e non ebrei (oltre 2 milioni di polacchi, circa mezzo milione di ucraini e bielorussi)34. Un terzo

di tutte le abitazioni presenti sul territorio polacco venne distrutto, o gravemente danneggiato dal passaggio del fronte (9 su 10 a Varsavia, rasa al suolo dopo le insurrezioni scoppiate nel 1943 nel ghetto ebrai-

co e nel 1944 tra la popolazione polacca). In Ucraina, una commis- sione statale calcolò il numero delle vittime in 4,5 milioni, di cui oltre 3 milioni classificati come civili35.

La Shoah distrusse, secondo Antonio Ferrara, le comunità ebrai- che come «pilastro del vacillante edificio dell’antico regime dei rap- porti tra nazionalità e classi sociali dell’Europa centro-orientale». Il loro sterminio «costituì uno degli atti più rivoluzionari compiuti dal regime nazista – cui baltici, ucraini e altri cooperarono per le stesse ragioni per cui cechi, polacchi e altri avrebbero poco dopo appoggia- to l’espulsione dei Volksdeutsche». Gli ebrei dell’Europa orientale, in- fatti, avevano sempre avuto stretti legami col mondo di lingua tede- sca. La Shoah fu dunque, involontariamente, «una tappa della de-ger- manizzazione (destinata a concludersi nel dopoguerra) dell’Europa centro-orientale»36.

2.4

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